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ECCE HOMO - 1x01 - La Speranza

Post n°12 pubblicato il 09 Aprile 2010 da lapostadisandro
 

Posto al lato della persona stesa supina, individuai il processo tifoideo. Ci misi su il palmo della mano sinistra e sul suo dorso la mano destra. A questo punto iniziai a comprimere lo sterno verso il basso, perpendicolarmente alla colonna vertebrale.
Un minuto. 70 compressioni. Niente. Riprovai. Un altro minuto.
Il tempo sembrava eterno.Poi qualcosa successe. La persona distesa per terra sull’asfalto bagnato, iniziò a muoversi. Piccoli movimenti. Impercettibili. Posi le due dita della mia mano all’altezza della regione laringea, avvertii subito la pulsazione. Il cuore della persona, che si trovava di fronte a me, riprese il suo battito regolare. In quel momento sopraggiunse l’ambulanza. Il resto non lo ricordo. Rammento solo che mi accasciai per terra e che qualcuno si avvicino a me.

Appena riaprii gli occhi mi trovavo disteso su di un lettino d’ospedale. Verso di me sopraggiunse un’infermiera.
“Salve, finalmente si è ripreso!”
“Dove sono? Cosa è successo?”
“Si trova in ospedale. Ha avuto un incidente, si riposi”
Gli occhi erano troppo pesanti, forse per colpa del sedativo somministratomi dalla gentile infermiera. Mi riaddormentai.

Nel silenzio della mia mente, iniziai ad avvertire delle voci. Dapprima indistinte poi sempre più chiare.
“È lui? Possiamo parlagli?”
“È sotto sedativo. Ha subito un forte shock”
“Ma sta bene?”
“Si. È lui che ha salvato vostro padre? Adesso come sta?”
“È in terapia intensiva. I medici hanno detto che l’operazione è andata bene, si rimetterà presto. Volevamo ringraziarlo per aver soccorso nostro padre. I paramedici sostengono che senza l’intervento di questo signore sarebbe sicuramente morto.”
“Appena si sveglia gli dirò che siete passate.”
Con un improvviso scatto sollevai la mano. Pesantissima, dovuto all’effetto delle droghe. Il mio gesto, se pur lento e inavvertibile, fu notato da chi era in quella stanza.
“Salve, come si sente?”
“Bene” risposi all’infermiera.
“Qui ci sono due persone che vorrebbero parlarle. È in grado di farlo?”
“Si”
Le vidi che si portarono al lato sinistro del letto. Erano due ragazze. Una dai capelli colore della pece e con due occhi enormi ma dolci, in stile manga. L’altra aveva capelli uguali, tranne per una serie di ciuffi di colore viola. Marcatamente truccata, aveva un aspetto grazioso se pur inquietante.
“Salve, io sono Simona e lei è mia sorella Daniela. Siamo le figlie del signore che ha soccorso sta mattina. Volevamo ringraziarti per quello che ha fatto.”
“Come sta vostro padre?”
“Se la caverà. Voi come state?”
“Credo bene. Ho delle lesioni superficiali e qualche ustione lieve. I miei ritmi vitali sono ancora bassi ma consoni al fatto che mi hanno somministrato un analgesico.”
“Lei è un medico?”
“OSS” mi guardarono e non capirono “Operatore Socio Sanitario, un gradino sotto all’infermiere”
“Quindi è uno dei nostri?” fece l’infermiera che stava trascrivendo qualcosa sulla mia cartella clinica.
“Si. Mi chiamo Federico Nichetti”
“Allora sei tu il mio OSS che oggi si doveva presentare al turno di pomeriggio?”
“Anche se con modalità diverse, comunque sono qui”
“Il tuo primo giorno di lavoro e lo passi come degente, bel colpo” mi sorrise e andò via.
“Mi spiace, ha perso un giorno di lavoro”
“Non si preoccupi, credo che sia meglio come è andata”
Le due ragazze mi porsero ancora una volta i loro ringraziamenti e mi salutarono.

La notte scese inesorabilmente. Ero stato per troppo tempo disteso. Decisi di scendere dal letto e fare un po’ di movimento. Uscì dalla mia stanza e mi diressi lungo il corridoio. Non ero mai stato in quel ospedale, ma avrei dovuto iniziarlo a conoscere.
C’è da dire una cosa sugli ospedali. Anche se possono sembrare dispersivi, in realtà non lo sono. Tutto sta nel leggere le indicazioni. Certo per i non addetti ai lavori, alcune sigle possono risultare incomprensibili. Ma io sapevo come muovermi. Mi recai in terapia intensiva. Un infermiere mi bloccò chiedendomi dove stessi andando. Una volta spiegato chi ero e cosa ci facevo lì, molto ironicamente mi guardò.
“Gran bel modo di iniziare il primo giorno di lavoro!”
Mentre stavo per ritirarmi scorsi una figura a me familiare. Era Daniela, la ragazza dark ma dall’aspetto grazioso. Mi fermai, lei mi vide e si fermò anche lei. Poi mi venne incontro.
“Stai bene a quanto pare”
“Si. Sei qui per far compagnia a tuo padre?”
In alcune strutture ospedaliere permettono ad alcuni parenti di rimanere. Sia in caso di necessità, per firmare delle carte e quindi scegliere in caso di urgenza come agire. Sia perché, nonostante non ci sia bisogno, vogliono rimanere per poter stare vicino al loro caro.
“Si. Faccio da guardia al vecchio”
Rimasi sorpreso per il linguaggio utilizzato. Insomma è suo padre!
“Non dovresti parlare così di tuo padre”
“Senti, per quello che hai fatto, lui e parte della mia famiglia te ne sono grati, ma non venirmi a dire come devo parlare”
“Ha rischiato di morire”
“Per quanto mi riguarda, sarebbe stato meglio”
Rimasi allibito da ciò che sentii. Non feci in tempo a controbattere che lei mi guardo dritto negli occhi e riprese a parlare.
“Credi di aver fatto la cosa giusta? Forse è così. Ma non per me. Tu oggi non hai salvato la vita a una persona. Hai salvato un mostro.”
I suoi occhi si velarono di rabbia, ma ben presto divennero lucidi. Mi guardò intensamente, poi si voltò. Si diresse verso la sala d’attesa e si rannicchiò sulla poltrona.
Rimasi a guardarla. Non mi accorsi che dietro di me era arrivato il Primario.
“Il Signor Nichetti?”
“Si. Sono io”
“Piacere, sono il Dottor Duraci. Volevo ringraziarla per quello che ha fatto oggi”
Non capii a cosa stesse alludendo. Si, avevo soccorso il padre di Daniela ma non capivo cosa potesse centrare.
“Vede l’uomo che ha salvato sta mattina è il Dottor Della Casa. È il direttore Sanitario di questo ospedale. Il mio capo, il suo capo. Credo che capirà se oggi non si è presentato a lavoro. Comunque benvenuto tra noi. Benvenuto all’Ospedale ‘La Speranza’.”

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