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C'era una volta l'Italiano_7

Post n°114 pubblicato il 24 Febbraio 2010 da tino.pos

C’era una volta … l’Italiano

Considerazioni (un po’) amare

di Nino L. Bagnoli

(7)

I superlativi e i diminutivi “à gogo” - I primi a comparire, una trentina d’anni fa, furono due diminutivi, entrambi figli spuri della Tivvù: «attimino e «aiutino». Il primo, nel giro di qualche mese, contagiò dapprima le commesse dei negozi (“può attendere un attimino?”), il secondo nacque con i “quiz” televisivi “mi puoi dare un aiutino?”. Entrambi, poi, con la rapidità di una epidemia contagiosa e dannosa, dilagarono per tutta la Penisola, senza distinzione di status sociale o di preparazione culturale.
Fu poi la volta dei «fratellini», delle «sorelline», delle «gemelline» e dei «fidanzatini», divulgati dai Tiggì con la solita sciatteria, anche quando, per esempio, i «fidanzatini» erano Omar ed Erica che avevano, insieme, “scannato” la madre e il fratello di lei. Frutto, senza ombra di dubbio della deprecabile moda del «politicamente corretto», la perniciosa melassa ipocrita e ruffiana che deve sempre stemperare ogni espressione anche la più innocente. Ci vengono in mente le parole di una scrittrice nostra amica, Paola Locci (www.paolalocci.it): «Vorrei un paese in cui il rispetto per tutti fosse talmente grande che i vecchi si chiamano vecchi, i non vedenti si chiamano ciechi, i diversamente abili si chiamano handicappati e i neri si chiamano negri. Le parole sono innocenti.» (“Lettera a Babbo Natale”). Sacrosanto. Ma dovrebbe essere la regola di un paese normale, e il nostro non lo è.

Prendete i «superlativi» e lo scialo che se fa. Un giorno Simona Ventura, giunta ai massimi livelli di popolarità –solo Dio sa per quali oscuri meriti- salutò l’ingresso in studio di Gabriele Salvatores con un ruffiano: «il più grande regista italiano!». E il sì tanto osannato, sorrise e ringraziò, senza neanche accennare a schermirsi, magari con finta modestia, oppure sommessamente dire che –forse?- sarebbe stato più corretto dire «uno dei nostri migliori registi» (e già sarebbe stata, comunque, una mezza «marchetta»).
Rita Dalla Chiesa, nel leggere pubblicamente le lettere degli spettatori che le giungono per posta elettronica, anche quelle di ragazzini di 13 anni (!), le definisce (undici su dieci) tutte “bellissime”.
Ormai non c’è alcun aggettivo che sia usato nel grado positivo. Niente è mai «discreto»,  «passabile», e neppure «bello», «grande», «buono». Tutto è «straordinario, stupefacente, eccezionale, bellissimo, stupendo».
Annullata, così, ogni graduatoria, cosa ne discende? Che, non essendo possibile che tutto sia «bellissimo», tutto diventa banale.
La povertà del lessico di questi «conduttori» è significativa: non hanno mai aperto un vocabolario nella loro dorata vita. Non hanno mai letto un libro. La loro «cultura» si è nutrita, negli anni, delle frasi dei «Baci Perugina», di qualche verso di canzonette, e anche qui, solo i più banali.. Una delle conseguenze è la povertà e la banalità del loro linguaggio. Dànno ad ogni parola che titilli appena appena la loro fantasia, il significato che a loro fa comodo, e al diavolo i vocabolari, i libri, la grammatica, la sintassi.  

Gli avverbi dell’arroganza – Da qualche anno il lessico televisivo si è arricchito di alcuni avverbi, assimilati per “suggestione indotta”, termine para scientifico usato per nobilitare la «sindrome del pappagallo» che caratterizza gran parte della popolazione ormai del tutto dipendente dal linguaggio della televisione, dei telefilm, dei «reality» (grave iattura) e dei «talk show».
Il primo in graduatoria è «assolutamente», seguito da «ovviamente», «naturalmente», «certamente», «chiaramente» e simili.
Perché li definiamo «arroganti»? Perché sono <sparati> in faccia al prossimo in maniera affatto sprezzante, e, soprattutto, tesa a sottolineare perentorietà, o senso di superiorità che non ammette alcuna replica, anche se giusta.
Come sarebbe a dire, “ovviamente”? Ma se è ovvio per te, perché dovrebbe esserlo anche per chi ti ascolta? E perché la risposta che dài deve essere ritenuta “assolutamente” giusta? Anche quando è una risposta (99/100) stupida e banale?
In questi tempi caratterizzati da risse in Tivvù, non ci sogniamo, certo, di richiamare le parole pronunciate, nel «Discorso della montagna», da Gesù: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.» (Matteo, 5, 37).
E non facciamo ricorso neppure alle regole elementari della buona educazione, del rispetto delle opinioni degli altri.

 
(7 – Continua)

 
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