Creato da NudaParola il 03/04/2011

Due volte vent'anni

Parole nude alla soglia dei 40 anni. E stavolta ho deciso di vuotare il sacco... Per farmi un regalo.

 

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Ardori cuciti a mano

Post n°3 pubblicato il 04 Aprile 2011 da NudaParola
 
Tag: Giulia

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Avevo quattordici anni e due bambole di pezza dalle quali la notte non mi separavo mai. Non erano particolarmente belle. Anzi, erano semmai decisamente grottesche, cucite a mano, rattoppate, sgualcite, con i capelli crespi, vestite da cortigiane, con gli occhi disegnati dai quali ci si affacciava sul nulla ed espressioni vuote, prive di qualsivoglia grazia. Eppure nel mio immaginario, forse accumane da una sorte maligna e crudele, le vedevo indissolubilmente legate e accomunate da una bellezza che nessuno sguardo avrebbe saputo indagare, perché sul cuscino, ogni notte dormivano abbracciate, il viso dell'una su quello dell'altra, il ventre dell'una schiacciato contro il ventre dell'altra ed entrambe strette al mio seno quasi a volerle proteggere o a condividerne il calore, l'intimità.

Quella notte feci uno strano sogno. C'era un gran caos, gente, rumori, voci... Una palestra. La palestra della mia scuola. E c'ero anch'io. Alla sbarra facevo flessioni, piegata sulle gambe, le braccia poste in alto, incastrate alla spalliera, sulle quali esercitavo la pressione maggiore, scendendo con le gambe spalancate e risalendo per riprendere la mia posizione eretta. Indossavo un body nero: sembrava di raso, traslucido, di quelli che contengono il corpo come una seconda pelle e avevo una fascia elastica sulla fronte, ad imprigionare ciocche di capelli che altrimenti sarebbero ricadute inopportune sul viso.

Nel sogno mi si avvicinava un uomo (che per tutta la durata del sogno ho continuato a vedere solo di spalle) con il fisico di un bodyguard: muscoli scolpiti, fisico possente, aitante... esattamente il tipo di uomo dal quale non potrei mai essere attratta. Mi ripugnano i palestrati, non esiste uomo più lontano dal mio immaginario d'erotismo. Ed inveivo contro la sua figura che mi si parava davanti frapponendosi tra me e la luce del neon posta sul soffito. "Togliti... mi fai ombra!", continuavo a ripetere indispettita. "Vattene... ma che vuoi?". Non una parola. Non un suono da parte dell'uomo. Che, per tutta risposta ha portato la mano all'altezza della lampo dei jeans, abbassandola lentamente. Per slacciare subito dopo la cintura e tirare fuori dai boxer un grosso pene eretto, imponente. Che ha preso a percorrere lentamente, per tutta la lunghezza dell'asta, emettendo il primo gemito roco.

Ho continuato la mia attività ginnica fingendo di non badare a quel gesto osceno che però iniziava a turbarmi... Non avevo mai visto un uomo masturbarsi e sebbene l'individuo del sogno non destasse in me alcun interesse, vedere quel grosso membro scivolare nella mano che si muoveva avanti e indietro, sempre più enorme, svettante davanti al mio viso, mi provocava sensazioni che mai prima di allora avevo provato.

Non una parola ho scambiato con il tizio dal grosso uccello. Ad un certo punto ricordo d'esser rimasta piegata su me stessa, le braccia imprigionate all'interno della griglia degli attrezzi e le gambe spalancate. Non una parola, dicevo, ma quando l'uomo ha avvicinato ulteriormente la sua erezione al mio volto, dopo qualche istante di esitazione ho schiuso le labbra e ho tirato fuori la lingua, sfiorando appena la punta per sentirne il sapore. Poi però la voglia è stata quella di "assaggiare" di più e la bocca si è aperta e richiusa intorno alla cappella, provando a succhiare piano. Capivo dai suoni che l'uomo emetteva che questo stava procurandogli un particolare piacere... e ho continuato perché cominciava a piacere anche a me. Lo facevo entrare e uscire dalla mia bocca con movimenti sempre più rapidi, trovando la giusta sincronia tra i suoi mugugni e l'impeto con cui tornavo ogni volta ad inglobarlo.

Avevo le braccia imprigionate e non potevo usare le mani: cominciò a non piacermi più quando quella di lui, esercitando una pressione consistente sul mio capo, mi ha costretta a prenderlo tutto, fino in gola. E continuava a spingere, spingere, spingere... Mi sentivo soffocare, senza riuscire ad opporre resistenza alcuna. Sentivo la saliva lambire gli angoli della bocca e piccola gocce di sperma sulla lingua; le contrazioni di quel turgore enorme nella mia bocca e le contrazioni che sembravano anticipare l'exploit finale. Vinto un conato di vomito, ho ripreso a leccare avidamente, famelicamente, focosamente il pene in tutta la sua lunghezza; scivolando sui testicoli ho succhiato, aspirato, leccato anche quelli, masturbandolo intanto con la mano. Gli piaceva. Quasi grugniva di piacere.

Quando si è piegato su se stesso, posizionandosi tra le mie gambe aperte, ho iniziato ad urlare, a protestare... Non volevo che mi facesse nient'altro. Non volevo che mi facesse... quello che aveva in mente di farmi! Ma mi sono ritrovata con le braccia serrate dalla sua presa, immobilizzata contro la spalliera di legno, con quel grosso affare che, scostato il sottile tessuto fradicio del body, forzava la mia fessura dilatata, singendomi dentro quel fallo di carne vibrante. Mi facevano male le gambe in quella posizione e ogni colpo inferto mi faceva sussultare di piacere. Grugniva come un animale e io mi eccitavo, mi bagnavo come una cagna.

"Fottimi, scopami, riempimi!", tutto ciò che avrei voluto urlargli. Ma la voce era poco più di un singulto che mi moriva in gola. Continuava a sbattere contro il mio corpo e ad ogni affondo lo sentivo entrarmi dentro... più dentro, più in fondo di quanto pensavo un uomo potesse raggiungermi. Mi faceva male, ma mi faceva godere e sopportavo il dolore che mi colava da tutte le parti in orgasmi multipli. Mi ha sollevata quasi di peso e guidata verso il cavalletto, manovrandomi come una bambola, di schiena, con le gambe spalancate intorno al grosso attrezzo ginnico: un colpo, due, tre... e le mie urla, le mie suppliche inascoltate: era troppo grande, sentivo la carne lacerarsi ma gli umori continuavano a colare copiosi lungo l'interno delle cosce, sicché dopo le prime spinte, mi ritrovavo ad implorarlo di sfondarmi, di riempirmi...
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Mi sono svegliata di soprassalto, in un lago di sudore e umori ad impregnare le mutandine. Non capivo cosa significasse il sogno e non capivo cosa stesse facendo muovere la mia mano tra le cosce, ma sollevavo il bacino e inarcavo la schiena, raggiungendomi laddove ero più sensibile, procurandomi un piacere istantaneo più e più volte. E più mi toccavo, più venivo... e più continuavo a venire più non mi bastava godere. Guardavo le mie due bambole di pezza abbandonate sul cuscino con i loro occhioni finti e spalancati e pensavo fiera: "Voi tutto questo non lo proverete mai". E, intanto, con il lenzuola soffocavo i gemiti e le grida di quella serie di orgasmi sequenziali, belli da togliere il fiato. Volevo un pene tra le labbra e suggerlo fino a che il denso acre del suo ripieno non mi fosse esploso in viso, sulla lingua, in gola... Lo volevo sulle mani mentre facevo scivolare le mutandine lungo le cosce, fino alle caviglie. Sentivo un bottoncino sotto le dita che, solo a fiorarlo, tutte le volte mi faceva bagnare... e dopo essermi bagnata, venivo risucchiata per l'ennesima volta da quella vampata di piacere indescrivibile... intenso, violento.

Mi sono chiesta allora per la prima volta per quanto tempo ci si può procurare piacere e farlo ininterrottamente, senza tregua, fino a finirsi. Io sono andata avanti fino alle quattro del mattino: mi sono addormetata con una mano tra le gambe. E svegliata ancora fradicia. Era cambiato qualcosa all'alba di quel giorno. Ero cambiata io. E mi portai a scuola la stessa voglia febbrile della notte appena trascorsa, quella d'essere scopata furiosamente o di procurarmi non appena possibile quello stesso piacere... Lo volevo, non pensavo ad altro. Non riuscivo a pensare a nient'altro!

Mi strusciavo contro tutto e tutti e mi sentivo avvampare: il minimo contatto con un altro corpo mi faceva trasalire. Seduta all'ultimo banco, lo sguardo oltre la finestra, durante l'ora di matematica ho allargato le gambe, scostando il tessuto della gonna plissettata e ho lasciato scorrere le dita appena sotto l'elastico, raggiungendomi proprio all'altezza di quel bottoncino: solo una leggera pressione era sufficiente a farmi lacrimare la vagina dilatata e lubrificata. Non avevo nessuno vicino e sono scivolata appena sotto il banco, facendo scivolare due dita fino all'interno, avanti e indietro, lentamente. Poi con movimenti circolari. Non immaginavo che l'orgasmo sarebbe arrivato tanto in fretta. Silvio, un banco avanti al mio, fila opposta, in quel momento si era voltato per raccogliere la penna dal pavimento. Per una frazione di secondo i nostri sguardi si sono incrociati. Mi sono sentita avvampare di vergogna... ma per niente al mondo mi sarei persa il mio orgasmo! Ho gettato la testa indietro e mi sono stampata un morso nella mano per non urlare. Sulla campanella che scandiva la fine della lezione.

Sono corsa in bagno vergognandomi come una ladra: silvio, proprio lui... il ragazzo che mi piaceva di più! Il più bravo della classe, quello moralista, integerrimo, corteggiatissimo dall'intero istituto e così snob, introverso, melanconico... Mi ha raggiunta e sorpresa davanti alla finestra, con le spalle appoggiate contro il vetro e le gambe aperte, a ripulirmi degli umori che ancora grondavano. "Non così", mi ha intimato parlandomi in tono fermo e rassicurante. "Così è un peccato. Ti faccio vedere io come si fa...". E inginocchiandosi davanti alle mie gambe dischiuse, ha fatto iniziato a leccare l'interno delle cosce, a risalire verso l'inguine... trattenevo il respiro, osservando quello che mi stava facendo con irrefrenabile lussuria. Con la lingua si è insinuato tra le piccole e le grandi labbra raggiungendo il clitoride e quando ha iniziato a succhiarmi ho gettato la testa indietro lasciandomi sfuggire un suono gutturale. Mi sono appossiata al termosifone attaccato alla parete e ho inclinato il bacino all'indietro, allargando ulteriormente le gambe: capivo che era molto più bravo di me nel procurarmi piacere e volevo che mi avesse tutta, che mi leccasse ovunque, che mi facesse godere senza freni inibitori.
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Mi sono sentita potente venendo nella sua bocca. Un fiume che rompe gli argini. Non riuscivo a fermarmi. Chissà così'avrebbe pensato di me, mi domandavo con l'ultimo precario barlume di lucidità di cui ancora disponevo. Ma è stato un attimo e il piacere ha sovrastato ogni cosa, suono e morale. Ad ogni contrazione che sentivo levarsi dal ventre, mi spingevo spasmodicamente contro la sua lingua, adattandomi all'intrusione delle sue dita nel mio anfratto posteriore senza provare quel dolore inaudito che in sogno mi aveva invasa. No, mi piaceva, questa è la verità. Ho iniziato a schizzare umori senza vergogna, concedendomi piccola Lolita troia e disinibita, così come non avevo mai avuto - fino a quel momento - il coraggio di vivermi.

Volevo restituirgli il piacere, perciò ho abbassato la tavoletta del water e mi sono senduta a gambe aperte. Silvio che ha capito, mi ha raggiunta richiudendo la porta alle sue spalle e si è aperto i jeans, facendo svettare sotto il mio naso [proprio come nel sogno], il suo sesso invitante e corposo. Ho iniziato a masturbarlo con la bocca senza un attimo di esitazione, i movimenti rapidi, lo scorrere abile e lussurioso della lingua... Mi piaceva tenerlo fra le labbra e asttendere che s'ingrossasse; quando lo sentivo spingere, affondavo contro il suo grembo, prendendolo fino a sentirlo nella gola e rimanevo immobile, come in apnea, finché lui non iniziava a gemere e le contrazioni non si facevano più ravvicinate.

Mi sono alzata cedendogli il mio posto e, dandogli la schiena, sono scivolata contro il suo corpo allargando le gambe e posizionandomi in prossimità della sua erezione; l'ho sentito allargarmi le natiche con le mani e mi sono lasciata impalare contro quel grosso pezzo di carne gridando. Roteando i fianchi l'ho preso tutto dentro e ha cominciato a piacermi quello che provavo. A lui piaceva quello che facevo, come lo facevo. Portandomi due dita in bocca e masturbandomi la vagina mentre mi scopava il culo. Molto meglio che nel sogno, piccola Lolita perversa e studentessa modello che tra l'ora di matematica e quella di religione, per tutto un triennio celebrò le innumerevoli virtù di Silvio, non ultimo il dono di riuscire a spogliarmi dai panni di santa per fare di me la sua troia peccatrice che non a lungo sarebbe rimasta una sua esclusiva. E non un solo giorno l'ho amato.

Mi piaceva il suo modo di scoparmi. Abbiamo "studiato" per moltissimi pomeriggi greco a casa mia... Avevo sempre voglia. O lui sapeva farmela venire. Ma non amavo lui, no. Solo quel grosso pezzo di carne che mi spingeva fra le cosce. Mi piaceva prenderlo in mano e strusciarmelo da tutte le parti, masturbarmi per ore o, per ore, rimanere a pecorina sul letto e lasciare che penetrasse ogni mia voglia, sbattendomi e godendo nel montare la sua cagna in calore. Mentre le mie due bambole dagli occhi finti stavano a guardare...

 
 
 
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