Creato da NudaParola il 03/04/2011

Due volte vent'anni

Parole nude alla soglia dei 40 anni. E stavolta ho deciso di vuotare il sacco... Per farmi un regalo.

 

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Quel torrido Agosto

Post n°5 pubblicato il 05 Aprile 2011 da NudaParola
 
Tag: Alisea
Foto di NudaParola

Venerdì d'Agosto, l'asfalto sull'Ardeatina si scioglieva sotto i tacchi a spillo. Il top nero s'impregnava di ogni goccia di sudore nel pomeriggio feroce di quei trentasette gradi all'ombra e non un cane che si fermasse lungo la strada che scorreva nei due sensi opposti di circolazione. Perfino il servizio taxi si era rifiutato di mandarmi una macchina fin laggiù. Ero scesa dall'autobus certa d'essere giunta alla fermata giusta: una di quelle traverse avrebbe dovuto condurre a una zona industriale presso cui era ubicato l'azienda con la quale avevo fissato telefonicamente l'appuntamento per un colloquio. Ma non un'anima viva si scorgeva nei paraggi e sui miei dieci centimetri non è che potessi percorrere centinaia di metri lungo la terra battuta che ricopriva le viuzze laterali che sbucavano dalla lunga strada percorsa da auto e mezzi pesanti a velocità sostenuta. ra la settimana che precedeva il Ferragosto e nel fine settimana la città stava inesorabilmente svuotandosi. La società che mi aveva contatta però mi aveva assicurato - dopo aver preso visione del mio curriculum, di essere interessata alla mia figura professionale, ringraziandomi per la disponibilità in un periodo dell'anno nel quale era per loro ardimentoso trovare personale da inserire prima che Roma tornasse a popolarsi. "Da Settembre dovremo essere pronti per partire con il nuovo personale, già inserito e professionalmente formato", mi aveva detto la voce della gentile signorina all'altro capo del filo. "Mi raccomando solo la puntualità. Alle sei gli uffici chiudono". Le lancette del mio orologio da polso segnavano un quarto alle cinque. Ho provato a chiamare il numero che mi era stato lasciato per avvertire nel caso in cui fossi stata impossibilitata a presentarmi all'ora concordata, ma non squillava a vuoto e nessuno rispondeva. Senza considerare che ero già in ritardo di un quarto d'ora. Ho maledetto l'idea di indossare le calze a rete sotto la succinta gonna di jeans color pesca, ma ci tenevo a offrire di me un'immagine composta, a dispetto del caldo torrido e della voglia di strapparmi i vestiti di dosso. Una sgommata alle mie spalle ha anticipato la frenata di un'auto che ha attirato la mia attenzione, portandomi indietro di qualche metro. Un'auto di grossa cilindrata, sembrava una Mercedes, al che mi sono accostata trafelata, sperando di ottenere qualche informazione su come raggiungere il luogo nel quale ero attesa. Mi sono sporta all'interno dell'abitacolo e ho intravisto il polsino bianco di una camicia stretta da eleganti gemelli. Subito dopo sono riuscita a mettere a fuoco l'intera figura di un uomo dall'aspetto distinto e rassicurante.

"Meno male", mi sono detta. "Con tutti i maniaci che ci sono in giro, se non altro m'è capitato uno a posto".

"Si è persa, signorina?", ha esordito la voce dell'uomo. Una bella voce dal tono limpido, fermo, cordiale. abbozzando un mezzo sorriso.

Ho menzionato la società presso cui avevo fissato il colloquio preliminare, ma dall'espressione della sua faccia, ho dedotto che non l'avesse mai sentita nominare prima.

"E adesso che faccio?", mi sono chiesta ad alta voce, in un momento di stizza e sconforto.

"Salga e mi dica dove posso accompagnarla", mi ha proposto aprendo la portiera accanto alla guida, in un esplicito invito a montare.

Ho avuto qualche istante d'esitazione, mi sono guardata intorno e m'è sembrato di scorgere un panorama simile a certi paesaggi tipizi dell'Arizona: ho sentito l'angoscia e lo scoramento assalirmi nuovamente e, solo allora, ho colto al volo la cortese proposta.

"Va bene, ho sospirato sprofondando sul sedile e richiudendo la portiera. Ero stremata dal caldo, ho sollevato i capelli con entrambe le mani e ho respirato a fondo il clima piacevole del condizionatore. "Qui si sta bene", ho commentato sospirando. "Pensavo di morire là fuori".

L'auto, avviato il motore, è sfrecciata via come un missile.
"Allora, dove vuole che l'accompagni, signorina?", ha esordito l'uomo dalla presenza imponente, sbirciando l'interno delle cosce attraverso il tessuto della minigonna che era risalita fino all'inguine.

"Sono un cardiologo, ho un intervento stasera, purtroppo devo lasciare acceso il cercapersone e rendermi sempre reperibile sul cellulare", è sembrato volersi scusare nel rincorrersi tra una chiamata e l'altra.

"Io abito dalle parti dell'Università", ho replicato schiarendomi la voce. "Purtroppo è dall'altra parte di Roma, ma mi lasci alla prima stazione di taxi, in qualche modo mi arrangerò".

Durante il tragitto in macchina gli ho raccontato della delusione di quell'appuntamento mancato, della speranza che avevo riposto in quel colloquio. Lui aveva riso.

"Perdonami, ma non è molto credibile un'azienda che ricerca personale la settimana che precede il Ferragosto".

"Si, l'ho pensato anch'io... ma la signora al telefono era stata così gentile. Insomma, ci avevo creduto".

"Spero non ti dispiaccia se mi sono permesso di darti del "tu" - si è affrettato a puntualizzare - ma potresti essere mia figlia".

Ho annuito. Lui ha sbirciato ancora tra le mie gambe, stavolta senza riuscire a resistere alla tentazione d'insinuarvi una mano.

"Si può sapere che stai facendo?", l'ho ammonito stizzita, ritraendomi al contatto.

"Ma non fare così... so che anch'io ti piaccio. L'ho capito dal modo in cui mi hai guardato prima...".

Di rimando, ha preso la mia mano portandosela sul pacco. Così, immobile. Il mio palmo appoggiato sulla patta dei suoi pantaloni blu. Non mi ha degnata di uno sguardo. Fissava la strada fingendosi imperturbabile, ma vedevo il suo volto avvampare e agitarsi sul sedile mentre muovevo la mano avanti e indietro: lo sollecitavo con la punta delle dita e a quel contatto lo sentivo trasalire e spingere alla ricerca di quel piacere sottile che gonfiava i suoi pantaloni. Mi è sempre piaciuto masturbare un uomo mentre guida. Stavo cominciando anch'io a bagnarmi di eccitazione. Mi sentivo perversa, così squisitamente troia.

"Sei deliziosa", mi ha canzonata l'uomo del quale non conoscevo neanche il nome.

"C'è un albergo da queste parti... Ci divertiremo".

"Io mi sto già divertendo", ho risposto provocatoria. facendo scivolare la lampo dei pantaloni e abbassando la testa sul suo grembo.

Ha cominciato a decelerare e a gemere: ho estratto dai boxer un pene incredibilmente grosso e vigoroso che ho lubrificato con della saliva prima di ingoiarne la cappella lucida.

"E' il cazzo più enorme che abbia mai visto", ho sottolineato trafelata, con il viso in fiamme, "Ferma la macchina appena puoi".

Sono scesa ancora su quell'asta monumentale: per quanto la mia bocca si spalancasse, non riuscivo a contenerlo tutto senza rischiare di soffocare. Ho sentito l'auto imboccare una di quelle stradine secondarie in piena campagna e il motore spegnersi: intorno il gracchiare delle cicale e il rombo di qualche motore in lontananza mentre altre auto ci superavano, passando oltre, lungo la strada asfaltata che avevamo abbandonato. Ho allungato una gamba oltre il cambio e, scivolando con la schiena contro il volante, ho scostato l'orlo delle mutandine fradice d'umori abbassandomi piano sull'erezione che premeva contro il mio ano.

"Aspetta - gli ho intimato mordendomi il labbro inferiore - vacci piano o mi sfondi".

Allargando le natiche con le mani e scendendo per prenderlo ho avvertito un bruciore insostenibile al primo tentativo di penetrazione. Mi sono lasciata sfuggire un gemito. Mi sono sollevata e ho provato ancora, inumidendomi le dita con la saliva e facendole scivolare all'interno. Lui intanto, abbassato il top e sfilato il reggiseno, stava torturandomi i capezzoli: li strizzava, li mordeva, li stringeva fino a renderli violacei e duri come chiodi.

Ho gridato quando mi ha afferrata per i fianchi, spingendosi tutto dentro con un solo colpo. Una lacrima mi ha rigato il viso, non resistevo... Lui godeva d'ogni goccia di sangue che versavo ad ogni affondo. Era brutale, impetuoso, animalesco.

"Fermati!", ho urlato scoppiando in lacrime.

"Cazzo, mi fai male!".

"Piantala di frignare... che piace anche a te!", ha replicato per tutta risposta, riempiendomi con i suoi colpi decisi e concitati.

"Lo so che ti piace... godi, troia!".

Sentivo l'ano allargarsi in fiamme all'inverosimile: ogni volta che mi costringeva ad impalarmi ancora e ancora su quell'immenso palo d'acciaio, manovrando i miei fianchi attraverso la sua presa possente, sentivo calde lacrime rigarmi il volto sebbene comicniasse ad entrare, a uscire e a penetrarmi nuovamente con sempre maggiore fluidità e vigore. Ho inarcato il busto abbandonandomi contro il volante e spingendo il bacino contro il suo con furia febbrile, in un crescendo di foga mista a smania di porre fine a quell'agonia prima possibile. tre, quattro... al quanti colpo di bacino - ennesimo affondo nelle mie viscere - ho sentito un fiotto impetuoso di sperma riempirmi. L'ho fatto uscire da me e sono andata alla ricerca del MIO piacere, ficcandomelo fra le cosce, prendendolo fino a sentirlo nel ventre. Almeno venti centimetri di cazzo nelle mie pareti fradice: grondavo sesso da ogni poro di pelle, liquidi da ogni anfratto, fessura, buco che lui riempiva.

"Quanti soldi vuoi?", mi ha chiesto mentre lo portavo all'orgasmo e grondavo grazie al mio.

"Ti farò stare bene... mi piace pagarti. Se sarai sempre così brava con me, ti farò fare la signora. Ma con me devi essere troia. Molto troia...".

Mi sono sollevata e abbassata ripetutamente sulla sua asta lucida dei miei umori e di sperma, con una frenesia che lo ha spiazzato al punto da lasciarsi cogliere dal mio impeto tumultuoso, al culmine di un amplesso estenuante e violento.

In lontananza ho scorto un autobus che si avvicinava nella nostra direzione, diretto alla fermata posta a venti metri dalla traversa nella quale ci eravamo infrattati, di cui solo in quel momento ho scorto la presenza.

"Devo andare!", ho esordito sprizzando entusiasmo da tutti i porti mentre frettolosamente cercavo di ricompormi.

"Che cosa... ma dove vai?".

Mi sono precipitata fuori dall'abitacolo mentre il sesso dell'uomo, calco ed eretto, dominava ancora la scena, in piena eiaculazione.

"Non mi servi tu e non so che farmene dei tuoi soldi", ho risposto fiera, a tono.

"Finisci di mastrurbarti. Io sono già una signora". E sui miei tacchi ho ripreso la mia strada. Quella principale che m'avrebbe portata a casa. Mentre sull'autobus mi sarei ripulita del seme di quello sconosciuto che a rivoli densi lambiva l'interno delle cosce, colandomi caldo a macchiarmi le calze e ad orlare la gonna di un'indominta Femmina che non si vende forse perché nessuno mai potrebbe permettersela...

 
 
 
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