Creato da NudaParola il 03/04/2011

Due volte vent'anni

Parole nude alla soglia dei 40 anni. E stavolta ho deciso di vuotare il sacco... Per farmi un regalo.

 

« Se fossi una escort...Mmmm.... interessante »

Il sapore acre dell'estate

Post n°8 pubblicato il 08 Aprile 2011 da NudaParola
 
Tag: Eva
Foto di NudaParola

 

Per quindici anni i miei sono stati proprietari di 200 ettari di terreno dove, proprio quell'estate, avevano deciso di costruire una villetta a due piani, dopo una lunghissima trafila burocratica e dopo aver ultimato il nuoco pozzo dal quale sgorgava acqua di sorgente. Odiavo quella campagna. Ho sempre amato il mare, io. E, invece, tutti i fine settimana, quarantacinque minuti di macchina all'andata ed altrettanti al ritorno per rirtovarsi intorno ad un barbeque ed avvicendarsi a preparare le vigne per la nuova stagione (incalcolabili i serprenti mai del tutto estinti), a raccogliere pomodori sotto un sole cocente, invasi da vespe attieati dall'odore del miele che si levava dai fichi. A mamma la campagna è sempre piaciuta. Comprare quell'apprezzamento di terreno è stato per i miei come realizzare un antico sogno nel cassetto. per me, l'inizio di un incubo imposto. Ho subìto i primi anni, poco più che adolescente, ma compiuti i diciotto anni, ho iniziato a scalpitare, a dar fondo al mio temperamento ribelle, dopo anni d'imposizioni e vacanze forzate in campagna! Mi piacevano solo le rose. Ho visto sbocciarne e morirne di bellissime appena fuori dalla veranda: la costruzione di quella villetta costò tutta una stagione estiva (i miei quindici anni) buttata alle ortiche per seguire da vicino i lavori degli operai. Una vera sofferenza. radunai allora tutti i miei cugini organizzando incontri di pallavolo, cucinando deliziosi manicaretti e torte rustiche con seguito di chili di gelato al pistacchio variegato alla nocciola (me lo sogno ancora la notte, essendo - allora - il mio preferito) ed ogni altra varietà di gusti possibili e (in)immaginabili. Chiaramente era un metodo efficace per riuscire a "corrompere" amici e parenti ad aggiungersi a quella gabbia di matti a cielo aperto, ma di settimana in settimana vedevo il gruppo assottigliarsi e l'alternativa del mare imbastire una concorrenza assai sleale con i peccati di gola.

Il nostro terreno confinava con una civilissima e superaccessoriata villa attigua con un giardino sconfinato al centro del quale dominava la scena (e faceva scintillare gli occhi) una di quelle piscine favolose che, tutta appiccicaticcia e madida di sudore, rappresentava per me un miraggio nel deserto. Blindatissima, con un grande cancello invalicabile... ma non si scorgeva mai anima viva e nessuno ci aveva mai visto nessuno in quel posto, al quale si accedeva percorrendo un piccolo viale cosparso di ciottoli (anche quello proprietà privata, ma accessibile) e, girando intorno al perimetro della casa, un giorno mi sono imbattuta in una siepe dalla quale - ho realizzato dopo un paio di notti insonni - era possibile darsi il giusto slancio per oltrepassare il pesante cancello oltre il quale mi si sarebbero spalancate le porte del Paradiso.

Eravamo ogni week-end almeno trenta persone e ciscuno era impegnato in un'attività che richiedeva tempo e fatica (mamma, per esempio, portava tutti gli ingredienti che servivano a realizzare uno di quei pranzi imperiali in tipico stile natalizio... e giù con le lasagne al forno, gli involtini primavera. le cotolette alla milanese...), altri raccoglievano frutti dagli alberi o patavano le vigne. Mio fratello con mio cugigno e degli altri amici organizzavano partite di calcetto e per ore non li si vedeva e non li si sentiva. Io, l'unica figlia femmina, con la scusa di andare a raccogliere le rose - purché non stessi a rimpere le scatole ai miei, ricordando loro quanto maledissi quel luogo - assecondavo ogni mia iniziativa senza batter ciglio.

Non potrò mai dimenticare la sensazione di benessere e ludibrio durante la prima immersione in quell'acqua trasparente dal fondo azzurro. Non mi preoccupavo di sapere o appurare se realmente ci fosse qualcuno in casa: in fondo, pensavo, non stavo facendo niente di male. Ricordo di aver preso entrambi i seni tra le mani, nuda e accaldata, dopo aver spruzzato dell'acqua sul viso in fiamme, e massaggiando con lenti movimenti circolari, la sensazione sotto i polpastrelli dei pollici è stata quella di due capezzoli turgidi. Seguendo il movimento ondulatorio delle onde, ho cominciato a muovere una mano dal seno al ventre, ferma sul Monte di Venere, spingendo solamente due dita verso l'interno della vagina. Attraverso l'acuqa cristallina, le cosce ben spalancate, potevo vedere chiaramente le dita sparire, risucchiate dalla vulva vorace e ho ripetuto quel gesto per due o tre minuti. Ero eccitata, volevo sentire qualcosa di duro dentro di me... Avessi almeno avuto il mio vibratore!

 

Ho portato le dita alle labbra, suggendo avida e lussuriosa i miei umori. Rammento di aver succhiato con particolare foga, pensando al pene che avevo voglia di far lievitare ed esplodere nella mia bocca, senza riuscire a trattenere un gemito di frustrazione.

"Sa che questa è violazione di proprietà, signorina?".

Ho sentito la voce di un uomo provenire dalla parte opposta a quella da cui mi ero intrufolata ma sono rimasta stranamente calma e imperturbabile. Man mano che quella figura si avvicinava, mettevo a fuoco tutto del corpo meno che il viso, a causa di un fascio di luce solare che investiva in pieno le iridi, ma la voce era... una bella voce. Indossava pantaloni di lino colo ghiaccio e una camicia bianca a righe, leggermente aperta, con le maniche arrotolate fino ai gomiti.

"Non fare il moralista!", ho esordito sbuffando infastidita per quell'interferenza.

"Stavo morendo di caldo e ho pensato che non ci fosse niente di male. Dopotutto lo spettacolo è piaciuto anche a te, no?", l'ho punzecchiato allusiva, sfidandolo con un mezzo sorriso mentre, intanto, uscivo dalla piscina. Quando sono riuscita a vederlo in volto, non mi è sembrato niente male. Quaranta, forse quarantacinque anni. Leggermente abbronzato, capelli scuri, aria sportiva, quella leggera peluria che sul torso di un uomo che - quando fuoriesce dalla camicia - mi spinge a fare pensieri sconci.

"Non ci davanmo del lei?", mi ha fatto notare l'uomo con una punta di sarcastico disappunto.

Ho scosso il capo: "No. Tu mi davi del lei. Io ti stavo dando del tu".

Un sorriso più aperto, quasi spontaneo ha mutato l'espressione di quel volto falsamente severo e accigliato.

"Ma tu fai sempre così?".

"Così... come?", ho chiesto inscenando i panni della collegiale sprovveduta.

"T'intrufoli in casa degli sconosciuti come una ladra?".

"Ma io non stavo rubando! Non mi sono nemmeno avvicinata alla casa: stavo solo morendo di caldo e così...".

"Ho visto quello che stavi facendo", ha tagliato corto lui, allusivo.

"E ti sei eccitato?".

Ho sorriso quando l'ho visto distogliere lo sguardo.

"Ce l'ho ancora duro", mi ha confessato in un soffio, senza guardarmi in volto.

"Ma chi sei?", ha sbottato in uno scatto di stizza e frustrazione.

"E a te che te ne importa?", gli ho fatto eco cercando con il palmo della mano la patta dei suoi pantaloni.

"Io devo solo sopravvivere a questa cazzo d'estate, in questo cazzo di posto e se entrambi possiamo trarne beneficio e divertirci un po'.. cosa c'è di male?".

Slacciata la cintura dei calzoni, ho insinuato una mano all'interno, fino ad aprire un varco nei boxer che consentisse al suo sesso di godere del tocco delle mie dita. L'uomo ha subito avuto la reazione che mi aspettavo, inclinando la testa indietro e spingendo il bacino in avanti con un lungo gemito di piacere.

"Cazzo, potresti essere mia figlia!".

"E' davvero durissimo, paparino...", l'ho canzonato strusciando contro il suo corpo e carezzandomi nel mentre un seno, la lingua passata più volte sulle labbra ad inumidirle e la mano a contenere quell'asta che si bagnava e continuava a spingere eretta e turgida tra le mie dita.

"Quanti anni hai, sedici... diciassette?", ha domandato in un singulto roco.

"Ventuno".

"Bugiarda".

L'ho sentito affondarmi una mano tra i capelli e spingermi con forza la testa contro il suo grembo quanto gliel'ho preso in bocca.

 

Piegata su me stessa, le gambe ben divaricate, con una mano ho iniziato a masturbarmi, facendo scivolare le dita dentro e fuori mentre il suo glande rischiava di soffocarmi. Ma mi piaceva. Lo volevo tutto. Da tutte le parti. Una contrazione più forte delle altre mi ha fatto capire che non avrebbe resistito ancora a lungo così, una mano appoggiata alla base del grosso pene, la mia testa ha commnciato a muoversi avanti e indietro, sempre più rapida. Mi sono fermata solo quando lui era al limite, sollecitando con la punta della lingua la cappella per riprenderlo ancora in bocca, fino in gola. Stavolta la sua mano mi ha immobilizzata al suo ventre, inondandomi con lunghi fiotti ravvicinati mentre godeva rumorosamente.

L'ho passato sui seni, disegnando piccoli arabeschi di sperma intorno ai capezzoli e, stringendolo tra le tette ho continuato a masturbarlo fino a riportarlo al pieno turgore iniziale.

"Stai godendo come un porco, lo sento", ho sottolineato catturando la cappella tra le labbra frattanto che continuava ad eiacularmi copiosamente tra i seni floridi e torniti.

Mi sono alzata costeggiando l'albero più vicino al quale mi sono appoggiata voltandogli le spalle, gambe distanziate e cosce divaricate, massaggiando con il dito medio, sapientemente inumidito di saliva, l'apertura dell'ano, mugugnando e gemendo voluttuosa, consapevole del fatto che non avrebbe tardato molto a ricambiarmi il piacere.

Sentire la punta del suo cazzo che s'accostava al mio buchino e smaniava dalla voglia di riempirlo, mi ha fatta bagnare al punto da non saper resistere alla tentazione di riservare alla mia povera vagina fradicia le stesse attenzioni. Il clitoride era durissimo: quando l'ho avuto dentro di me e godermi fin nelle viscere, l'orgasmo è culminato fulmineo nel cervello, espandendosi in ogni fibra del mio essere. Mi sono piegata cercandolo e guidandolo con la mano avanti e indietro, impastandomi le dita del suo liquido bianco e vischioso. Dalla vagina gli umori sono schizzati potenti e continui, un rantolo di eccitazione soffocato da un grido liberatorio quando l'amplesso ha raggiunto il suo acme.

Per tre mesi consecutivi i nostri incontri sono stati costanti e ripetuti. Non ho mai saputo il nome di quell'uomo e lui non ha mai chiesto del mio. Mi ha imboccata con dei fichi che ha condiviso dalla mia bocca dopo averli usati per masturbarmi; un pomeriggio mi ha chiesto di cavalcarlo, ché aveva voglia di sentirmi sopra di sé e ho goduto di una prospettiva diversa ma squisitamente appagante (amo stare sopra...). Riversa sul letto, con la testa che sporgeva appena fuori dal materasso, uscito dalla doccia, una volta e senza alcun preavviso, me l'ha spinto fra le labbra fino a farmi quasi soffocare, facendoselo succhiare fino a riempirmi la gola di cazzo e sperma. Quella volta lì l'ho sentito scivolarmi agli angoli della bocca, misto a saliva; un' altra volta, invece, mi ha chiesto un pompino mentre ero seduta sul water a fare pipì. Non avevamo mai molto tempo durante i nostri incontri, perciò il più delle volte eravamo costretti a rapporti fugaci e animaleschi. Pochi i preliminari. A volte lui si faceva trovare con il membro eretto in mano: io dovevo solo montarlo, allargare le cosce e prenderlo dentro. Altre volte, era lui a montarmi da dietro, sul cofano della macchina, quando già rivestita mi accingevo a tornare dai miei. Era il suo bacio dell'arrivederci. Forzava la mia apertura, mi faceva urlare e poi godere. Mi ha fatto godere moltissimo...

Ho amato la campagna fintanto che c'è stato lui a scoparmi. Il mio clitoride rimpiange le lunghe pennellate profonde inferte dalla sua lingua e quel fare sesso in modo assolutamente naturale, lasciandomi prendere ovunque il suo sesso eretto riuscisse a colmarmi, raggiungermi e riempirmi...

Dall'anno successivo ho ripreso a frequentare il mare - dopo la decisione dei miei di vendere la casa in campagna - e sono rinata. Ma penso a quella lunga, torrida estate e ancora gocciolo...

 

 

 
 
 
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