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Associazione Giovani Padani - Valle Camonica
 

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« LA BATTAGLIA DI LEGNANOLeggende dalla Val Saviore »

29 maggio La Canzone di Legnano: il Parlamento

Post n°4 pubblicato il 27 Gennaio 2008 da theriddle
 
Tag: Poesia

Giosuè Carducci

I
Sta Federico imperatore in Como.
Ed ecco un messaggero entra in Milano
da Porta Nova a briglie abbandonate.
"Popolo di Milano", ei passa e chiede,
"fatemi scorta al console Gherardo."
Il consolo era in mezzo de la piazza,
e il messagger piegato in su l'arcione
parlò brevi parole e spronò via.
Allor fe' cenno il console Gherardo,
e squillaron le trombe a parlamento

II
Squillarono le trombe a parlamento:
ché non anche risurto era il palagio
su' gran pilastri, né l'arengo v'era,
né torre v'era, né a la torre in cima
la campana. Fra i ruderi che neri
verdeggiavan di spine, fra le basse
case di legno, ne la breve piazza
i milanesi tenner parlamento
al sol di maggio. Da finestre e porte
le donne riguardavano e i fanciulli.

III
"Signori milanesi," il consol dice,
"la primavera in fior mena tedeschi
pur come d'uso. Fanno pasqua i lurchi
ne le lor tane, e poi calano a valle.
Per l'Engadina due scomunicati
arcivescovi trassero lo sforzo.
Trasse la bionda imperatrice al sire
il cuor fido e un esercito novello.
Como è coi forti, e abbandonò la lega."
Il popol grida: "L'esterminio a Como."

IV
"Signori milanesi," il consol dice,
"l'imperator, fatto lo stuolo in Como,
move l'oste a raggiungere il marchese
di Monferrato ed i pavesi. Quale
volete, milanesi? od aspettare
da l'argin novo riguardando in arme,
o mandar messi a Cesare, o affrontare
a lancia e spada il Barbarossa in campo?

V
Or si fa innanzi Alberto di Giussano.
Di ben tutta la spalla egli soverchia
gli accolti in piedi al console d'intorno.
Ne la gran possa de la sua persona
torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano
la barbuta: la bruna capelliera
il lato collo e l'ampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia,
ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
È la sua voce come tuon di maggio.

VI
"Milanesi, fratelli, popol mio!
Vi sovvien" dice Alberto di Giussano
"calen di marzo? I consoli sparuti
cavalcarono a Lodi, e con le spade
nude in man gli giurâr l'obedienza.
Cavalcammo trecento al quarto giorno,
ed a i piedi, baciando, gli ponemmo
i nostri belli trentasei stendardi.
Mastro Guitelmo gli offerì le chiavi
di Milano affamata. E non fu nulla."


VII.

«Vi sovvien» dice Alberto di Giussano
«Il dí sesto di marzo? Ai piedi ei volle
Tutti i fanti ed il popolo e le insegne.
Gli abitanti venian de le tre porte,
Il carroccio venía parato a guerra;
Gran tratta poi di popolo, e le croci
Teneano in mano. Innanzi a lui le trombe
Del carroccio mandâr gli ultimi squilli,
Innanzi a lui l'antenna del carroccio
Inchinò il gonfalone. Ei toccò i lembi.»


VIII.

«Vi sovvien?» dice Alberto di Giussano:
«Vestiti i sacchi de la penitenza,
Co' piedi scalzi, con le corde al collo,
Sparsi i capi di cenere, nel fango
C'inginocchiammo, e tendevam le braccia,
E chiamavam misericordia. Tutti
Lacrimavan, signori e cavalieri,
A lui d'intorno. Ei, dritto, in piedi, presso
Lo scudo imperïal, ci riguardava.
Muto, col suo dïamantino sguardo.»


IX.

«Vi sovvien,» dice Alberto di Giussano,
«Che tornando a l'obbrobrio la dimane
Scorgemmo da la via l'imperatrice
Da i cancelli a guardarci? E pe' i cancelli
Noi gittammo le croci a lei gridando
- O bionda, o bella imperatrice, o fida,
O pia, mercé, mercé di nostre donne! -
Ella trassesi indietro. Egli c'impose
Porte e muro atterrar de le due cinte
Tanto ch'ei con schierata oste passasse.»


X.

«Vi sovvien?» dice Alberto di Giussano:
«Nove giorni aspettammo; e si partiro
L'arcivescovo i conti e i valvassori.
Venne al decimo il bando - Uscite, o tristi,
Con le donne co i figli e con le robe:
Otto giorni vi dà l'imperatore -.
E noi corremmo urlando a Sant'Ambrogio,
Ci abbracciammo a gli altari ed a i sepolcri.
Via da la chiesa, con le donne e i figli,
Via ci cacciaron come can tignosi.»


XI.

«Vi sovvien» dice Alberto di Giussano
«La domenica triste de gli ulivi?
Ahi passïon di Cristo e di Milano!
Da i quattro Corpi santi ad una ad una
Crosciar vedemmo le trecento torri
De la cerchia; ed al fin per la ruina
Polverosa ci apparvero le case
Spezzate, smozzicate, sgretolate:
Parean file di scheltri in cimitero.
Di sotto, l'ossa ardean de' nostri morti.»


XII.

Cosí dicendo Alberto di Giussano
Con tutt'e due le man copriasi gli occhi,
E singhiozzava: in mezzo al parlamento
Singhiozzava e piangea come un fanciullo.
Ed allora per tutto il parlamento
Trascorse quasi un fremito di belve.
Da le porte le donne e da i veroni,
Pallide, scarmigliate, con le braccia
Tese e gli occhi sbarrati al parlamento,
Urlavano - Uccidete il Barbarossa -.


XIII.

«Or ecco,» dice Alberto di Giussano,
«Ecco, io non piango piú. Venne il dí nostro,
O milanesi, e vincere bisogna.
Ecco: io m'asciugo gli occhi, e a te guardando,
O bel sole di Dio, fo sacramento:
Diman la sera i nostri morti avranno
Una dolce novella in purgatorio:
E la rechi pur io!» Ma il popol dice:
«Fia meglio i messi imperïali.» Il sole
Ridea calando dietro il Resegone.

NOTE:

I. Sta Federico ecc.: essenziale e vigoroso, il verso d'apertura
delinea la sempre paurosa potenza di Federico Barbarossa e
insieme fa quadro. Disceso per la quinta volta in Italia
nell'ottobre 1174, dopo avere vanamente tentato di assalire
Alessandria ed essersi fortunosamente liberato dalla cerchia
dei "latini acciari" nell'aprile 1175, secondo cantano le quartine
Su i campi di Marengo, l'imperatore riparò dapprima a Pavia,
poi, nella primavera del 1176, a Como, per raccogliervi gli
eserciti di rinforzo provenienti dalla Germania e in un secondo
tempo per unirsi alle milizie alleate di Pavia e del marchese
Guglielmo di Monferrato. La scena è a Milano, alla vigilia della
battaglia di Legnano (29 maggio 1176).
3. da Porta Nova: una delle sei porte che aveva allora Milano,
quella verso Monza e Lecco (le altre: Romana, Ticinese,
Comasca, Vercellina, Orientale). Da Monza o Lecco, non da
Como, viene il messaggero, che dunque reca a Milano un
messaggio dei confederati lombardi, non un'intimazione
dell'imperatore, come immaginava il Manzoni. Lo confermano
d'altra parte i versi originari: "Ed ecco un messager lombardo a
briglia / abbandonata entrar da Porta Nova"; e lo ha dimostrato il
Gandiglio nella sua felice analisi del contesto carducciano. - a
briglie abbandonate: a briglia sciolta, e perciò a gran carriera.
4. passa e chiede: passa chiedendo, chiede senza fermarsi.
5. fatemi scorta: guidatemi. - al: fino al, dal - console
Gherardo: personaggio storico, il più insigne cittadino milanese
del tempo: Gherardo o Gerardo Cagapisto, detto
abbreviatamente Pisto, giureconsulto e oratore, più volte
console di Milano tra il 1150 e il 1179, anche se non proprio
nell'anno di Legnano, e rappresentante dei Milanesi in tutti gli
atti importanti della Lega Lombarda.
6. Il consolo: la forma latineggiante (mentre dicono "console" i
vv. 5 e 9 e la prima redazione; "In mezzo de la piazza il console
era") serve ad evitare i due e consecutivi, ma anche ritaglia la
parola con aulica nettezza.
7. arcione: la parte anteriore della sella; per sineddoche, sella.
8. parlò: transitivo: disse, - spronò via: "Il cenno al cavallo, che
dice anche l'impazienza del cavaliere, e nulla più. La corsa è
tutta in quel via, come uno non anche mosso che è già lontano".
9. fe' cenno: fece un gesto di comando, diede ordine ai
trombettieri del Comune.
10. a parlamento: chiamando il popolo a riunirsi in piazza.
11. Squillarono ecc.: ripresa, con lievi varianti ma con efficace
effetto complessivo, del v. 10: la quale "accentua il carattere di
epopea popolaresca, la sciolta narratività del racconto detto e
non letto (per così dire)".
12-20. ché non anche ecc.: il parlamento viene convocato
all'aperto con squilli di tromba perché, dopo la demolizione di
Milano ordinata dal Barbarossa quattordici anni innanzi (1162),
non erano stati ancora (anche) ricostruiti il palazzo del Comune
(con espressione nobilmente arcaica, palagio) e la sala delle
pubbliche riunioni (arengo) e la torre con la campana che
chiamasse i cittadini a raccolta. Accenna sì il poeta al palazzo
pubblico, poi della Ragione, che verrà edificato soltanto nel
1233, su' gran pilastri; nel Broletto Nuovo, poi piazza dei
Mercanti, traendo egli nozione e suggestione storica da parole di
G. Giulini, autore di Memorie spettanti alla storia [...] di Milano
nei
secoli bassi (1870); "ampio edificio quadrilungo, il quale di sotto
ha un gran portico con due ordini d'archi sostenuti da grossi
pilastri". E dai particolari delle fonti la suggestione s'allarga a
visione, a pittura, della città in rovina, tra il nero dei ruderi e
il
verdeggiar dei rovi, in quella misera piazza attorniata da casipole
di legno. - Da finestre e porte ecc.: "queste donne, questi
bimbi, fermi su le porte, affacciati alle finestre che sono appena
più su delle porte, danno a questa adunata un aspetto
novissimo e come un tono domestico e dimesso, e
un'aspettazione più dolorosa. Gli ultimi sono già fuori".
22-24. La primavera in fior ecc.: la primavera matura conduce tra
noi, nelle nostre terre, torme di tedeschi, come è accaduto tanto
spesso, come accade secondo il costume delle genti
ermaniche (pur come d'uso). Evidentemente il console riferisce
ai suoi concittadini, qui e nei versi successivi, quanto ha saputo
dal messaggero, e così ora s'intende il significato di quel
messaggio, che è d'informazione e d'allarme: scendendo dalle
Alpi sono arrivati rinforzi all'imperatore, e tutto l'esercito
imperiale è in movimento; preparatevi a ricevere questa nuova
invasione e aggressione, e, se potete, prevenite e attraversate le
mosse del nemico. - lurchi: ingordi, rapaci, come lupi che alla
buona stagione escono dalle loro tane per scendere a valle e far
bottino.
25-26. Per l'Engadina ecc.: due arcivescovi ghibellini, Filippo di
Colonia e Wichmann di Magdeburgo, scomunicati dal papa
Alessandro III, nemico del potere imperiale e sostenitore della
Lega (ma qui, nel discorso del console, la parola "scomunicati",
come oserva il Valgimigli, "aggiunge al suo senso specifico un
tocco iroso e ingiurioso"), guidarono gli eserciti (trasser lo
sforzo, bella espresione arcaica, ove "sforzo" significa forza
raccolta d'armi e d'armati, esercito, come spesso "vis" latino)
per l'Engadina, cioè per la valle dell'Inn, fino al lago di Como. In
verità i rinforzi attesi dall'imperatore discesero, pare, per la
valle
del Reno e poi per quella del Ticino, se Federico uscì da Como
per andare loro incontro fino a Bellizona: "Sarebbe una piccola
offesa alla verità poetica".
27-28. Trasse la bionda imperatrice ecc.: Beatrice di Borgogna,
seconda moglie di Federico, venne a sua volta in Italia, recando
all'imperatore se stessa e un altro esercito, composto di nuove
leve e perciò fresco e gagliardo (novello). Senonché nella
primavera del 1176 l'imperatrice doveva già essere in Italia
accanto al marito, e all'estate del 1159, al tempo della seconda
spedizione in Italia di Federico e dell'assedio di Crema, le
cronache ascrivono invece la discesa di ici nella penisola con
un nuovo esercito: altra e certo consapevole infrazione di
Carducci alla storia; ché, come sempre o quasi sempre,
spostamenti di tempi e concentrazioni di fatti rispondono a fini
estetici e drammatici, in una coincidenza di verosimile storico e
vero poetico. Peraltro non insisterei eccessivamente sulla
gentilezza e sul fascino dell'"eterno femminino regale" connessi
con l'aggettivo bionda, come fa il Valgimigli, né essendo
quell'aggettivo pronunciato dal console di Milano, vi avverto,
come suggerisce il De Robertis, un lieve sapore d'ironia. Bionda
è detta l'imperatrice dalle antiche cronache, e bionda è tipico
attributo, da canzone di gesta e da ballata romantica, di una
donna nordica e di nobile sangue; così come, più avanti, la
bruna chioma di Alberto di Giussano entra nella
caratterizzazione tipica del prode guerriero latino.
29-30.Como è co' i forti ecc.: diserzione, tradimento di Como: ha
abbandonato la Lega passando dalla parte del più forte,
l'esercito imperiale. Donde un grido di esecrazione e una
minaccia di distruzione (esterminio, altro arcaismo), - Como: "a
prima era all'inizio del verso, qui è alla fine: come un suggello e
una minaccia decisa"
32. fatto lo stuolo: "altra espressione tecnica dell'antico
linguaggio militare": raccolte e ordinate le sue schiere.
33-38. l'oste: altro arcaismo, "che accentua la storicità e la
poesia". - il marchese di Monferrato ed i pavesi: che, al pari di
Como, avevano abbandonato la Lega e fatto causa comune con
l'imperatore. - Quale volete: quale cosa volete, quale proposta
scegliete. E tre sono le proposte che ora il console enuncia:
testare sulla difensiva, venire a patti, affrontare il nemico in
campo aperto. - l'argin novo: quello che aveva sostituito la cinta
difensiva distrutta. Così, in armi dietro i bastioni, i Milanesi
avevano accolto Federico nel 1158 e nel 1159, ricevendone l'una
e l'altra volta assalto e assedio. - mandar messi: che significa
inchinarsi all'autorità e ai diritti dell'imperatore (Cesare) e
conclusivamente accettare il solo accordo possibile con lui, la
resa. La seconda proposta è "fatta senza persuasione, anzi, per
incitamento e inasprimento, onde poi la terza, la decisiva" - il
Barbarossa: ora Federico è designato col nomignolo, che riduce
a un tratto la maestà prima conferitagli dal titolo di Cesare e lo
riconduce al ruolo di tiranno, di nemico.
39-40. A lancia e spada ecc.: "non voglio lasciare di mettere in
rilievo la diversa interpunzione del v. 38 e del v. 40, che pure
nelle parole uguali; ma quello deve correr rapido, senza
spezzamenti, dietro alla foga della conclusione in forma
interrogativa, e questo, con le pause delle due virgole, riproduce
la risolutezza della risposta che rimbomba come tuono
nell'assemblea".
41. Alberto di Giussano: il giovane capitano della Compagnia
della Morte, drappello di guerrieri che avevano giurato di vincere
o di morire. Le cronache parlano dell'alta statura e della forte
corporatura di alberto, e da queste replicate notizie, che forse si
uniscono a momenti e immagini di letteratura medioevale,
nasce e campeggia il ritratto monumentale della quinta strofa.
42. tutta la spalla: cfr. l'immagine di Franceschino Malaspina in
I.G.I. XIV Poeti di parte bianca. 42-43: "tu dritto in piedi tutta /
ergei =
la testa su i minor baroni". - soverchia sopravanza. Il Valgimigli
vi riconosce una reminiscenza dei Fatti di Enea, là dove frate
guido da Pisa parla di Turno: "Era lo più bello di tutta Italia ed
era
sì grande che dalle spalle in su era maggiore di tutti gli altri
uomini".
43. gli accolti ecc.: i cittadini riuniti intorno al console: in
piedi, a
definire interamente la statura di Alberto.
45. torreggia: si leva come torre, domina come torre: all'altezza
si unisce la robustezza.
46. la barbuta: elmo prolungato nella parte anteriore fino a
coprire tutto il volto. Ma Alberto è a testa scoperta, e quell'"elmo
in mano è solo come un ricordo di più, o un annuncio, di guerra".
Ed è un tocco che accresce la storicità del quadro forse senza
rispettare la storia, che molto più tardi, a quanto pare, i guerrieri
milanesi adottarono un simile elmo. Così come, subito
appresso, la cappelliera che scende copiosa sul collo e sulle
spalle di Alberto richiama certo tempi più avanzati, addirittura, in
Milano, il secolo seguente. I consueti anacronismi carducciani,
felicemente poetici e rappresentativi.
47. lato... ampie: si accentua il ritratto in ampiezza e gagliardia.
48. chiara onesta: due aggettivi che ai tratti tipici ed esteriori
del
poderoso guerriero lombardo aggiungono la franchezza e la
nobiltà dell'espressione, e umanizzano e rischiarano il ritratto
incontrandosi con la luce del sole che lo colpisce.
50. È la sua voce ecc.: "la voce ha l'impeto e la freschezza di un
tuono di maggio che annunzia tempesta ma anche promette un
rinverdire della terra e del ciclo".
51. Milanesi ecc.: indirizzandosi ai Milanesi, a esordio della sua
commossa e impetuosa orazione, Alberto rivela
un'immediatezza e un trasporto d'amor fraterno che certo non
aveva il netto e composto "Signori milanesi" del console.
52. Vi sovvien: vi torna in mente. Espressione ripetuta altre
cinque volte al principio di ognuna delle strofe successive,
ognuna delle quali rievoca un episodio di umiliazione subita dai
Milanesi.
53. calen di marzo: il primo marzo del 1162, quando Milano,
stretta d'assedio e allo stremo delle forze, mandò all'imperatore
acquartierato in Lodi gli otto consoli che con le spade sguainate
gli giurarono obbedienza, cui seguirono, tre giorni dopo, trecento
cavalieri che ai piedi dell'imperatore deposero gli stendardi, e
mastro Guitelmo (o, come dice un cronista, Guintelino) che a lui
consegnò le chiavi della città. - sparuti: emaciati, abbattuti, per
la fame patita e la pena del momento.
55. obedienza: "per effetto della dieresi ha suono stanco, e dice
prostrazione grande, sacrificio e strazio".
56. Cavalcammo: "o ci fosse anche Alberto fra quei trecento, o
sè accomuni, nel racconto e nell'animo, con quelli", come
dicono i cronisti, non "gli stendardi", come interpreta il
Valgimigli,
che ama credere in un altra voluta deviazione di Carducci dalle
fonti storiche.
60. E non fu nulla e non bastò.
 
 
 
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