Creato da agpcamuni il 25/01/2008
Associazione Giovani Padani - Valle Camonica
 

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Associazione Giovani Padani - Valle Camonica

L'associazione non ha finalità di lucro ed è finalizzata a promuovere la riscoperta e lo studio delle origini dei Popoli della Padania: a questa attività unisce quelle di ricerca sulle ragioni ecomoniche e politiche dell'Indipendentismo Padano e di riflessione sul significato delle lotte liberitarie di comunità e individui.

L'Associazione promuove inoltre tutte quelle iniziative volte a difendere il diritto allo studio, al lavoro ed alla casa nonché il recupero e la difesa degli usi, dei costumi e della cultura delle terre natie.

CONTATTACI:

La Sezione Camuna si trova a Capo di Ponte, in Via Italia n° 34

e-mail: mgp@giovanicamuni.com 
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« 3° Festival della Canzon...L'inno nazionale italiano »

L'Italia non esiste.

Post n°11 pubblicato il 05 Marzo 2008 da theriddle
 

di Sergio Salvi.

Edizioni Camunia. Firenze 1996.

 

L'Italia non tiene: non si può rendere "uno" il molteplice e il dissonante. 

 

L’Italia (o, meglio, l’idea dell’Italia) proprio non «tiene». Da qualsiasi parte la si sbirci, ci vengono incontro crepe, spiragli, varchi, addirittura voragini. Eugenio Montale diceva della storia che «non si snoda come una catena di anelli ininterrotta, In ogni caso molti anelli non tengono». Forse la storia non esiste. È soltanto una costruzione (abusiva) degli storici. Forse (probabilmente) l’Italia non esiste.

 

Non basta la fede (e non bastano nemmeno le opere) perché una entità immaginaria divenga reale anche se è stata immaginata per qualche secolo con indubbio fervore fino all’istituzione in suo nome di uno Stato fornito di tutti i crismi previsti dal diritto internazionale (anche se dotato di scarso carisma).

 

Probabilmente, ci si accorge che l’Italia non c’è proprio perché c’è «questo» Stato che si definisce, in maniera allo stesso tempo ingenua e sfrontata, come «italiano»: nato nel 1861 per raccogliere entro i propri confini due modelli di Italia virtuale (considerati, barando con disinvoltura, uno solo), ha smarrito strada facendo la sua motivazione originaria trasformandola un una sorta di peccato originale e nascondendosi dietro di essa.

 

Dati entrambi, senza beneficio di inventario, come scontati e addirittura coincidenti, questi modelli (del tutto astratti) sono: l’Italia-«regione naturale» e l’Italia-«nazione». È facile constatare come all’Italia-Stato siano sempre sfuggite alcune parti indispensabili di questa Italia «nazional-naturale» posta a fondamento della sua unica ragione di esistere.

 

L’Italia-Stato è così soltanto una «frazione» di un «intero»: di un intero (l’Italia nazional-naturale) che però, come vedremo, con ogni probabilità non esiste. Una frazione di zero è sempre uguale a zero. L’Italia-Sato può apparire comunque un intero in quanto Stato (e non in quanto Italia): ma non è preparata a prendere atto di questa realtà sconcertante traendone le debite conseguenze. […]

 

Da Stato concepito per tutti gli «italiani» (con la dubbia motivazione che soltanto «uniti» sarebbero potuti divenire prosperi e «liberi» al suo interno e «indipendenti» nei confronti dell’esterno), lo Stato italiano si è dunque ridotto a essere lo Stato degli «italiani» divenuti e rimasti fortunosamente nel tempo suoi cittadini (per giunta non sempre liberi, non tutti prosperi e spesso nemmeno indipendenti sul serio).

Da ciò emerge una contraddizione vistosa: alla rinuncia implicita a compiere l’unità nazional-naturale secondo il programma iniziale, si contrappone infatti la convinzione, sia pure mascherata, dello Stato repubblicano di essere, nonostante tutto, la patria di «tutti» gli «italiani»: compresi gli emigrati e gli irredenti. Lo afferma implicitamente il secondo comma dell’articolo 51 della Costituzione vigente quando stabilisce che ai «pubblici uffici» e alle «cariche elettive» dello Stato sono ammessi, insieme ai «cittadini italiani» anche «gli italiani non appartenenti alla Repubblica».

 

Ma la ragione del fallimento dello Stato italiano è un’altra ed è del tutto opposta. Oltre ad essere due cose diverse, l’Italia-regione naturale e l’Italia-nazione, assai probabilmente, non esistono se non come fantasie o astrazioni: esistono invece, sicuramente, realtà concrete che non trovano nell’Italia-Stato, così come si è strutturata e a prescindere dal suo mancato compimento, un denominatore comune.

 

A quegli aspetti che gli studiosi definiscono lo «Stato-ordinamento» e lo «Stato-apparato» (che pure esistono anche se inefficienti) non corrisponde infatti uno «Stato-comunità» (che è già cosa diversa da una nazione). Ad essi soggiacciono invece «comunità» (che potrebbero essere anche nazioni) dall’identità propria e profonda, magari stremate, che tuttavia rivelano insospettabili doti di resistenza all’assorbimento: malgrado la loro scarsa consapevolezza culturale e politica (e la loro omogeneizzazione non sarebbe certo, proprio da un punto di vista allo stesso tempo culturale e morale, da considerarsi un fatto positivo anche se fosse tecnicamente impossibile).

 

Si può allora affermare che l’Italia-Stato non funziona perché assomiglia a una macchina composta di pezzi tra loro non componibili, tenuti assieme dalla forza delle leggi a dispetto della forza di gravità. Per questa ragione l’Italia come Stato è in stato permanente di decomposizione. Lo Stato stesso sembra accorgersi tutte le volte che è costretto a guardarsi allo specchio, di girare a vuoto. […]

 

Si può pertanto affermare che se l’Italia è a pezzi lo è per propria natura. Va da sé  che non basta riformare dall’alto e in superficie ordinamenti e apparati per suscitare una comunità che non esiste, per rendere «uno» (o anche soltanto armonioso) ciò che è invece molteplice (e dissonante). Il difetto, come direbbero gli esperti in utensileria, è tutto nel manico

 

Il mito dell'origine comune. Analisi genetico-linguistica. Analisi terminologica: nazione vs stato.

 

Uno dei miti sui quali si fondano le «nazioni» moderne, quello dell’origine comune, è del resto una enorme sciocchezza: lo è soprattutto nell’accezione «tedesca», che teorizza una impossibile persistenza nel tempo di una razza incontaminabile e incontaminata.

 

Ma lo è anche nella versione, certo più cauta, che diremo «francese» in quanto enunciata con garbo sospetto da Michelet, fondata invece sulla «miscelazione omogenea» di componenti diverse. Secondo Michelet, la «nazione francese» sarebbe sorta dalla «singolare perfezione con la quale si è compiuta la fusione delle razze, lo scambio e il matrimonio delle diverse popolazioni». […]

 

Così la «nazione francese» risulterebbe scaturita dalla presunta e perfetta fusione di liguri, iberi, celti, romani, e germani, franchi ma anche burgundi, visigoti, scandinavi e alemanni).

 

Tutti sappiamo che non è vero, come la Corsica, la Bretagna e l’Alsazia dimostrano inequivocabilmente esibendo ancora oggi una «fusione imperfetta».

Il caso «italiano» è, del resto, ancora più confuso e complesso di quello francese. […]

 

Se dai dati più propriamente linguistici e culturali di passa a quelli genetici, nell’ipotesi che questi conservino una loro importanza, la situazione appare ancora più sorprendente. È stato infatti dimostrato che la situazione dell’Italia-regione convenzionale, quale appariva nel V secolo a.C., è rimasta ancora oggi sostanzialmente la stessa […]

 

L’indagine scientifica che va sotto il nome di Biological History of European Population, in corso sotto l’egida della CEE, ha rilevato che l’Italia meridionale e la Sicilia conservano sorprendentemente una impronta «greca», quella settentrionale una «celtica», la Toscana una «etrusca», la Sardegna una «sarda».  

 

Ciò significa che il mutamento linguistico intervenuto nel corso del tempo (i «greci» non parlano più greco né gli «etruschi» l’etrusco) non rivela nessuna corrispondenza con un eventuale mutamento del patrimonio genetico. I titolari di questa indagine, Alberto Piazza dell’Università di Torino e Paolo Menozzi dell’Università di Parma, ne garantiscono la serietà, così come appare insospettabile l’ispirazione agli studi compiuti, con risultati a dir poco brillanti da Luca Cavalli-Sforza, autore del fondamentale The History and Geography of Human Genes (1995), noto anche al pubblico intellettuale italiano.

 

Nel linguaggio popolare (condiviso dai politici e dai giornalisti) la «nazione» viene addirittura intesa come sinonimo di «Stato»: ma non è affatto così. Soprattutto in Italia. Basta ricordare che il Risorgimento ha «propugnato» l’esistenza di una nazione italiana (priva di Stato proprio) per tradurla proprio in una Stato.

 

Il cittadino italiano medio chiama invece «nazione» tanto la Russia sterminata (una federazione che riconosce ufficialmente al suo interno almeno una cinquantina di nazioni di cui ventuno istituite in repubbliche autonome) quanto il minuscolo Liechtenstein (la cui popolazione non si distingue per nulla da quella dei villaggi degli stati confinanti) sia come chiama «artisti» tanto Giorgio quanto Gianni Moranti, tanto Carlo quanto Raffaella Carrà.

 

Stenta, è vero, per ragioni di prossimità fisica, a ritenere San Marino una nazione, ma non batte ciglio quando constata come San Marino schieri una propria rappresentativa «nazionale» di calcio coi i crismi di FIFA e UEFA. Non riflette invece sul fatto, clamoroso, che non esiste una «nazionale» britannica e che, per uno stesso Stato, scendano abitualmente in campo ben quattro «nazionali» (oltre tutto acerrime rivali) tutte col marchio FIFA e UEFA: Inghilterra, Scozia, Galles, Irlanda del Nord.

 

La colpa di questa abitudine non è tutta sua: al contrario di FIFA e UEFA, la massima organizzazione internazionale di Stati si chiama infatti Organizzazione delle Nazioni Unite e non Organizzazione degli Stati Uniti, fornendogli così un alibi prezioso. D’altronde, non è da oggi che molto Stati barano al gioco, presentandosi, al mondo e a se stessi, come nazioni.

 

Il diritto «interstatale» si chiama infatti «diritto internazionale», anche se è ad «uso» esclusivo degli Stati.

 
 
 
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