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GIOVANNI AGOSTINO DE COSMI (1726-1810)

«Merita di essere sradicata quella malvagia e disumana politica, che fomenta l'ignoranza nazionale e la mancanza di lumi nel popolo, nel falso supposto che si governino meglio gli uomini degradati e acceccati, degli uomini illuminati»
«Non si chiamerà mai agiata, ricca e culta una cittadinanza se si dividerà solo in due classi, l'una straricca e l'altra mendica e miserabile; l'una scienziata, e l'altra barbara; l'una industriosa, e l'altra vile e inoperosa; l'una virtuosa al sommo, e l'altra senza verun senso di moralità».

 

 

Viva la civiltà

Post n°4 pubblicato il 29 Novembre 2009 da Eteroclito
 

Per motivi a me non del tutto ignoti, nel corso degli anni ho subìto una lenta, progressiva, graduale ma significativa trasformazione: sono diventato un uomo pacifico. Dismessi i panni ormai logori del ragazzaccio di periferia, ho indossato senza quasi accorgermene quelli dell'uomo tranquillo. E qualcosa davvero deve essere cambiato in me se non rimpiango quel passato turbolento, ricco di episodi gustosi e bizzarri ma anche di pagine da rileggere per ricordare, a me e agli altri, che è preferibile sorridere ironicamente piuttosto che ringhiare rabbiosamente. Insomma, viva la civiltà.

Stamane mi è capitato di avere prurito alle mani. Ovviamente, le ho infilate in tasca e mi sono limitato a mandare garbatamente a quel paese l'improvvido interlocutore, il signor Michele, una specie di damerino nerochiomato uscito dalle nebbie della Cornovaglia, con il quale da tempo non corre buon sangue. Di solito, se la stagione è propizia e il traffico lo permette, per non rimanere fulminato da un infarto da rabbia repressa metto in atto la seguente procedura salvavalvole: salgo in macchina, percorro con studiata lentezza un breve tratto della provinciale, raggiungo la casetta di campagna dei miei nonni materni e inizio a ululare fino a quando non mi rispondono tutti i cani nel raggio di cinque chilometri. Poi, dopo aver riposto zanne, artigli, orecchie a punta e peluria lupigna nel vecchio comò sul quale campeggiano le foto di tre generazioni di antenati in linea materna, rientro in città. Ma stamane avevo da fare, ho messo la museruola al luponario che è in me e sono rimasto in città. Nella tarda mattinata, il mio stomaco, con un sordo brontolio, mi ha ricordato che gli ero debitore di una colazione come Dio comanda, dato che, alzandomi più tardi del solito, avevo avuto il tempo di concedermi a malapena un frettoloso caffè domestico mentre provavo ad applicare due spettacolari lenti a contatto castane sui miei banalissimi occhi verde ramarro. Così, rientrando a casa, mi sono fermato al bar dietro l'angolo, strombazzando per richiamare l'attenzione di un mio vicino di casa che, uscendo in retromarcia, rischiava di mettere fine ai giorni di una placida ottuagenaria che si era infilata con inattesa agilità tra un'automobile ferma e l'altra in manovra. Ero fiero di me: avevo salvato la vita a un'anziana signora del quartiere la quale, dopo una vita trascorsa a spaccarsi le ossa vendendo verdura nella piazzetta dietro casa mia, finalmente aveva potuto chiudere la malandata bancarella e ora vivacchiava prestando denaro a strozzo alla gente della zona. Ho fatto colazione con l'animo lieto di chi ha appena compiuto una buona azione, sbafando più del lecito. Uscendo dal bar con le papille gustative ancora tripudianti per il cornetto alla crema appena ingollato e l'ottimo caffè sorbito, chi ti incontro proprio sulla porta? Michele, il damerino di qualche ora prima che, passandomi accanto, sussurra una parola appena percettibile. Riesco a sentire solo “nzo”... Ero troppo in pace con me stesso per infuriarmi con quel deficiente, ma per sicurezza ho rimesso le mani in tasca, non si sa mai.

Cosa sia successo un attimo dopo, non lo so, non stavo guardando e, in ogni caso, non mi interessa. l'ho capito soltanto nel pomeriggio, quando ho incontrato lo sguardo pieno di simpatia del garzone del bar, di ritorno da una consegna a domicilio.
Dotto', ha visto che bel volo ha fatto il signor Michele?”
Sarà inciampato. Quello è distratto, ha il vizio di guardare per aria”
Sì, vero è... Però io ero proprio dietro di lei e m'è parso...”
Arriviamo al sodo: qual è il problema?”
No, niente... Però forse il signorino voleva dire 'ciao Alfonso'”
Ma perché, ti chiami Alfonso, tu?”
Nonsi, dotto'. Io Antonio mi chiamo...”
“Appunto... Lo vedi che è distratto?”.

Antonio se ne andato ridendo, come al solito. Antonio ride sempre. Beato lui.

 
 
 

Puzzle

Post n°3 pubblicato il 15 Novembre 2009 da Eteroclito
 

 

L'altra notte per la prima volta ho scritto, ma non in questa sorta di scarno tempio del nulla che è il mio blog, come avrei voluto. Ho scritto altrove. Ho scritto sulla nebbia.

Quelle parole, ormai, non ci sono più. Sono su un treno diretto chissà dove. Rimangono, di quei pensieri germogliati in parole, piccoli pezzi sparsi qua e là. Cocci di me, alla deriva nel web.

Confesso che la delusione è stata tanta. Avevo scritto d'impulso, le dita finalmente agili sulla tastiera a dar vita a quella cabala di lettere e parole che sono il codice d'accesso al mio piccolo mondo interiore. Ma al momento di pubblicare il post, qualcosa è andato storto e mi sono trovato scaraventato sulla pagina del login. Non avevo salvato la bozza. Di quelle righe, di quelle parole, di quei pensieri ne era rimasto solo uno, graziato da un tentativo di copia-incolla abortito: “una vittoria di Pirro”. Il titolo che avevo deciso di dare a quel post si era trasformato in un epitaffio.

Delusione, un po' di rabbia, la sensazione di avere tradito la fiducia di un'amica. Poi la rassegnazione. Non era destino.

Per smaltire quel frappè di sensazioni ho fatto un gioco trovato su un blog amico.

Si trattava di risolvere un puzzle. Tra le tante alternative che il programma mi offriva al modico prezzo di un mal di testa, ve ne era una particolarmente interessante: quella di ricostruire un'opera d'arte. Ho scelto un particolare della Creazione di Adamo, di Michelangelo, e mi sono messo al lavoro.

Ci sono diversi modi per iniziare a risolvere un puzzle. Il più comodo è quello di iniziare da ciò che di riconoscibile c'è in quel guazzabuglio di linee e colori, accostando tonalità e contorni. Così comincio ad inseguire ciò che sembrava essere una crepa su un muro. Tessera dopo tessera, quella lunga, frastagliata ferita inferta dal tempo a qualcosa che in origine doveva essere perfetto, mi conduce fino a due mani che si cercano senza trovarsi. Alla vista di quelle dita protese, sono assalito quella strana tristezza senza nome che mi sorprende di tanto in tanto senza preavviso né una valida ragione. E, insieme ad essa, dalle nebbie del tempo, mi pare di sentire la voce stridula della mia vecchia insegnante di Storia dell'arte del Liceo che mi mette in guardia: “Guarda che quella mano, la mano di Adamo, non è di Michelangelo ma di un suo anonimo discepolo”. Cara, vecchia, stanca prof. Corro a verificare: è vero. Quella crepa, la stessa che avevo seguito per risolvere il puzzle, aveva rovinato l'affresco proprio là dove mi aveva condotto, sulla mano di Adamo. Immagino uno o più discepoli del Maestro fare del loro meglio per restituire dignità a quella mano in frantumi, tanti pietosi ortopedici alle prese con la frattura delle dita del Primo Uomo. Povero Adamo, penso, ferito prima ancora di ricevere la vita. In quel momento, sento balenare un pensiero e mi irrigidisco per afferrarlo prima che sia troppo tardi, prima che scivoli via e scompaia tra le volute di quella specie di capitello intarsiato che è la mia coscienza.

Ecco, adesso so cos'è quel sentimento muto e senza nome che aveva fatto capolino in me alcuni minuti prima. Non è tristezza. E' compassione. Compassione per quell'Adamo riverso ai piedi della Verna; compassione per l'Adamo che c'è in ogni uomo; infine, compassione per l'Adamo che c'è in me, un Adamo senza nemmeno l'alibi di una mela.

PS: Grazie Gabri. E non solo per il giochino del puzzle che ho trovato sul blog di Normalina. :)

 
 
 

Omaggio a Trilussa (1871–1950)

Post n°2 pubblicato il 04 Ottobre 2009 da Eteroclito
 

L'Omo finto

Dice che un giorno un Passero innocente
giranno intorno a un vecchio Spauracchio
lo prese per un Omo veramente;
e disse: "Finarmente
potrò conosce a fonno
er padrone der monno!"
Je beccò la capoccia, ma s'accorse
ch'era piena de stracci e de giornali.
"Questi" - pensò - "saranno l'ideali,
le convinzioni, forse:
o li ricordi de le cose vecchie
che se ficca nell'occhi e ne l'orecchie".

"Vedemo un po' che diavolo cià in core...
Uh! quanta paja! Apposta pija foco
per così poco, quanno fa l'amore!
E indove sta la fede?
e indove sta l'onore?
e questo è un omo? Nun ce posso crede...".
"Certe vorte, però, lo rappresento",
disse lo Spauracchio, "e nun permetto
che un ucello me manchi de rispetto
cór criticamme quello che ciò drento.
Devi considerà che se domani
ognuno se mettesse a fa' un'inchiesta
su quello che cià in core e che cià in testa,
resteno più pupazzi che cristiani".

L'Omo e il lupo

Un vecchio Lupo, ner guardà le stelle,
diventò bono e se sentì er dolore
d'avé scannato tante pecorelle.
(Tutte le cose belle
fanno un effetto maggico ner core.)

E diceva fra sé: "Pe' conto mio
sarei disposto a fa' la vita onesta:
però bisognerà che me travesta
perché nessuno sappia chi so' io.
Infatti puro l'Omo s'è convinto
che pe' sta' bene ar monno è necessaria
una certa vernice umanitaria
che copra la barbaria de l'istinto".

E fisso in quel'idea
pijò la pelle d'un abbacchio morto
e ce se fece come una livrea:
poi, zitto zitto, entrò ner pecorume
che stava a magnà l'erba in riva ar fiume.
Mantenne la promessa. Da quer giorno
fu l'amico più bono e più tranquillo
de l'agnelletti che ciaveva intorno.
Benché stasse a diggiuno
nun je storse un capello e, manco a dillo,
nun se ne mise all'anima nessuno.

Ma una brutta matina
trovò tutte le pecore scannate
e un vecchio co' le mano insanguinate
che contrattava la carneficina.
"Eh!" - disse allora - "l'Omo è sempre quello:
predica la bontà, ma all'atto pratico
nun è che un lupo: un lupo dipromatico
che specula sur sangue de l'agnello".

 

 
 
 

Esordio in fa minore

Post n°1 pubblicato il 19 Giugno 2009 da Eteroclito
 

Dicono che scrivere faccia bene.

E' probabile. Se non altro, l'atto dello scrivere ci costringe a fermarci, a interrompere quella specie di gara podistica in cui si sono ormai trasformate le nostre giornate, dare forma al proprio pensiero, condividerlo, sperimentare, ragionare se non con un interlocutore (reale o fittizio, non importa) almeno con noi stessi. Scrivere, in fondo, è anche una pulsione che, come tutte le pulsioni lecite, va soddisfatta.

Questo, dunque, il punto di partenza. Ma verso quale approdo? Spero di scoprirlo scrivendo.

 
 
 
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Un blog di: Eteroclito
Data di creazione: 05/06/2009
 

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