Caos ed Essere
Un viaggio, sette emozioni: l'essere e i suoi frammenti.
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Non si scappa da se stessi...
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L’abilità della labilità
La giostra, il manicomio, muri bianchi e poi imbrattati, tinte stinte di un funerale ilare in cui il cadavere in rigoroso livor mortis pronuncia la blasfemia del suo trapasso...full immersion nei pensieri viandanti arrendevoli ma battaglieri, apnea costante di un istante in cui il verbo cambia sembiante...riemergere dal flutto, rielaborare il lutto, essere messia e sinestesia col virtuosismo monco di chi arranca a respirare...
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Post n°10 pubblicato il 04 Luglio 2011 da FrammentiDellessere
Il controllo mi fotte. Ingoio i pensieri strozzati nel loro regolare fluire dai limiti di una possibilità scremata della sua valenza intima, spogliata del suo referente astratto, e resa puro significante che sussegue lettere come fossero inganni incastonati come perle fasulle nell’etere delle mie domande. Non esiste oltre ne altrove, e la scelta diventa solamente una roulette truccata da un magnete che attira il risultato nel grembo della sua ipocrisia, riducendo la multidirezionalità della possibilità ad un unico senso obbligato che io, come gregge dei miei impulsi, necessariamente imbocco, continuando il gioco al massacro col quale tento di regolarizzare l’ansia. Ieri, avvolto quasi nell’adeguatezza di me stesso, ho visto bambini correre a perdifiato. Donarsi al caos ed al piacere di schizzare da un punto qualsiasi verso una tangente scelta dall’istinto dei piedi, e correre, correre, come se tutta la loro vita, tutta la loro gioia, in quell’istante fosse il semplice concedersi al respiro del vento, e l’unico scopo sovrapporre i passi sull’asfalto della spensieratezza. Folli, di quella follia quasi animale di chi, privo di qualsiasi condizionamento, tocca con immediatezza le proprie sensazioni, senza filtri graffiati che ne ovattano il suono, ed il tatto. Sui loro visi ho sovrapposto il mio volto di troppo tempo fa, depolarizzando il sorriso e sovrapponendogli lo sguardo spento e l’incedere contenuto e sorvegliato di chi non ha mai conosciuto la libertà. Mi chiedo se sono nato triste, o probabilmente lo sono diventato con eccessiva fretta, isolato nel sogno intangibile del mio autismo a oltranza. Una vita sotto controllo, portato ai confini estremi della paralisi, quasi fino a diventare invisibile per evitare la mortificazione del giudizio, quello stesso giudizio che, divenuto autoinflitto, abita il tribunale della mia inquisizione, saturando le carceri di fantasmi con i quali far compagnia ai frammenti inesplosi e inesplorati. Ricordo un giorno in piscina, è passato ormai qualche anno da allora, in piedi sull’orlo sdrucciolevole della vasca ad osservare il mio riflesso con gli occhi austeri e superbi di chi guarda dall’alto un limite inviolabile, disprezzandolo. Paura, fottutissima paura di tuffarmi, accoppiarmi con la mia immagine, e perdere il controllo sul mio corpo stabile sulle proprie gambe, come se quel breve salto nel vuoto potesse mettere all’istante in discussione il possesso di me col quale avevo riequilibrato la mia esistenza, frustrandone completamente l’estemporaneità. Quel cloro, quell’acqua, quello specchio denso, un muro di cemento ceruleo sul quale sbattere la vergogna della mia diversità, uscendo ancora una volta sconfitto nello scontro con tutto ciò che di più recondito ed atavico alberga nelle regioni tremolanti dell’inconscio. Fiato in sordina e palpebre serrate, ad isolare fuori da questo eone ogni contatto con la provvisorietà fenomenica del reale, solo musica senza suono in una dimensione parallela della quale essere energia… |
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Ingoio la notte
Nella sua prospettiva dissonante
Placo la sete
Sotto le palpebre
Socchiuse
In quell’istmo inconsistente
Che tremula il desiderio
Di respirare luce..
Il fiato divarica le cosce
Sul bivio dell’insinuazione
Gocciola malinconia
Sull’altare profanato della luna
La purezza apre le cosce agli insulti della frustrazione, scabrosa la copula con i limiti dell’insoddisfazione in cui ritrovarsi immacolata e puttana, col ventre gravido di speranze consumate.
Barcollo
Estraneo ai miei stessi passi
Instabili
Come pensieri
In equilibrio
Sulla traccia del tuo abbandono
Annuso
La pelle dell’assenza
Tenera
Come la placenta
Di una patologia in travaglio
Che geme il respiro
Del suo incostante ritorno
Sbalordito
Il nonsenso
Naufraga ancora
Tra le vertigini delicate
Della memoria
Sull'incanto delle sue grazie scivola il piacere di un'euforia languida che taglia il silenzio col suono della sua pelle...dolce è la caduta nell'immagine di un profilo che diventa lare e venerazione...
prego
la bestemmia
di un giorno inesistente...
infinito
il tempo
che travalica l'istante...
l'attesa
preme la sua vagina
madida
di promesse disattese
sul palmo della frustrazione
e intanto fotto ogni attimo
in un respiro
che muore,
per ogni sogno
che muore...
Inviato da: woodenship
il 20/10/2011 alle 20:47
Inviato da: FrammentiDellessere
il 08/08/2011 alle 11:07
Inviato da: Ossimoro_Tossico
il 05/08/2011 alle 21:50
Inviato da: FrammentiDellessere
il 03/08/2011 alle 10:09
Inviato da: scorpione.scorpione
il 02/08/2011 alle 23:22