Creato da cariante il 04/11/2008
Un diario scritto con una penna intinta nelle lacrime

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I.

Post n°142 pubblicato il 16 Settembre 2009 da cariante

Ciao amore,
oggi sto malissimo...
sono molto confusa, e mi manchi molto... Ho bisogno di scriverti perchè nonostante io mi senta come quando ci siamo parlati giovedi, mi fa tanto male stare lontana da te.
Io spero, che in qualunque modo vada a finire questa situazione, non lo so, ... io non so proprio cosa mi sta succedendo...
Non odiarmi, ti prego... non lo sopporterei...
Claudia

Vincolato alle tue parole di più di tre anni fa che come uncini straziano la mia anima quando mi avvicino o mi allontano dal tuo nome, dal tuo viso, cerco di rimettermi in piedi. Un poco per volta, lentissimamente. Braccia amiche mi stringono, mi esortano, mi supportano. Mi castigano quando tentenno troppo. Quelle stesse braccia amiche che tu anelavi quando eravamo, credevo, cosa sola. Le stesse e così distanti, mio maledetto amore ormai perduto, ormai distante.

Sei la mia sola luce. Il mio sole e la mia luna e più che mai me ne
accorgo ora, che non sei vicina a me. Ho in petto un vuoto incolmabile
e mi rendo conto che quel vuoto c'é perche non ci sei tu. Sono un
cieca che sa cos'é la luce ed aspetta di nuovo l'alba.
Vorrei prendere su di me anche solo un poco del male che senti. Vorrei
prendere tutta la paura e l'angoscia che hai e farla solo mia.
Andrà tutto bene tesoro mio.

Così ti risposi, cercando di darti forza. Con vergogna posso dire che quelle stesse parole potrebbero uscire dalla mia bocca oggi, dopo più di un anno che non ti sento. Ma non è andato tutto bene. Non poteva andare tutto bene. Le tue erano parole di chi voleva calmarsi la coscienza prima del tradimento, o durante lo stesso. Eppure, nella tua infantile difesa contro le tue stesse azioni, io ho trovato la forza di credere in te. Credevo in te quando non volevi sentirmi, credendo scioccamente che fosse la tua vergogna e la tua contrizione a spingerti. Credevo scioccamente in te ogni volta che piangevi. Gianni Rodari dice che le lacrime dei bimbi capricciosi sono leggere come il vento mentre quelle dei bimbi affamati pesano quanto il mondo intero: le tue sono sempre state lacrime di bambina capricciosa. Eppure ogni tua singola lacrima per me era un mondo intero, un motivo per combattere, un motivo per vivere, un motivo per soffrire.

Dio mio, quanto ho sofferto per te. Non credevo fosse possibile tanto dolore. Osservo crudelemente le lapidi sui bordi delle strade e trovo un perverso sollievo nel pensare all'agonia dei genitori, fratelli, figli sofferenti. Il dolore cerca compagnia. Dio mi perdoni.

La strada per l'Inferno inizia con un foglio che si trova per caso mentre si arrabatta casa. Una distrazione bizzarra per una donna che si poneva ad essere tanto precisa. Il lastrico dell'inferno ha la consistenza, il colore e la temperatura del nostro, del tuo, appartamento a Guidonia, il sapore delle mie lacrime e del mio vomito, il rumore della mia voce che ripete all'infinito "perché mi hai fatto questo".

Non hai mai conosciuto quel dolore. Innanzi a tanta sofferenza il tuo "amare tantissimo", l'amare tantissimo di chi serve i suoi desideri prima di tutto, svanisce nel nulla, una briciola, una minuzia. Non conoscerai mai quel dolore, quell'abisso di agonia infinita che ti trappa pezzi di ego e ti dilania la fiducia che puoi provare negli altri e per te stesso. E' il mio dolore, mio. Quel dolore che mi rende vivo, che mi rende umano. Forse non maturo, non ancora e forse mai ma che mi offre la possibilità di crescere come persona. Soffro perché posso provare sofferenza, pura, distillata. 

Si, soffro. Ogni giorno, ogni ora.  Anche adesso.

Quando leggo che la marca di gomme da masticare che sto comprando proviene dal tuo paese mi si blocca lo stomaco. Quando non ho pensieri e quando ne ho troppi l'ira mi monta. Tardiva. Inutile ormai. Questo altro me, meno disperato e più cattivo, ti avrebbe fatto male, molto male. E forse era quello che volevi: essere dominata, sottomessa, riportata all'ovile. Ma ti ho concesso fiducia perché lungo gli anni l'hai pretesa, l'hai vinta e ti sei crogiolata in essa a tua comodità.

Il trolley. Io sulla porta. Il tuo sguardo perso innazi a me. Dai, su, entra mi dicesti. Non mi bastava. Misi alla prova te rischiando quel paradiso, quella fiducia che ora so effimera al tuo fianco. Sei sicura? Ti chiesi. Si, dai, puoi dormire sul letto. Mi sarebbe bastato. Un primo passo. Feci la cosa che mi risultò più naturale. Ti baciai sulla fronte e me ne andai con un sorriso amaro, nuovamente verso il pavimento del negozio, certo che avresti compreso. Mi chiamasti in lacrime, quelle lacrime delle quali sei sempre stata prodiga. Capirà, mi ripetevo. Capirà.

Il giorno dopo eri troppo impegnata a WoW per pensare di uscire con me la sera. sempre troppo stanca.

Mi alzo dal letto cercando un motivo per farlo, agrappandomi ad ogni buona novella con sorriso amaro. Di fronte allo specchio del bagno talvolta, sempre più raramente per fortuna, vengo colto da tosse nervosa che mi sconquassa le viscere, senza motivo. Eppure pensando solo il tuo nome la tosse scompare, esorcizzata. E osservo con malinconia e orgoglio il reticolo di cicatrici che mi hai donato che mi solca l'anima. Una linea per ogni volta che sei fuggita, una linea per ogni volta che non mi hai risposto al telefono quando più necessitavo di te, una linea per ogni tradimento, per ogni parola egoista, per ogni carognata. Per ogni delusione. Per ogni volta che non hai compreso chi ero e per ogni volta che hai preso il frutto dei miei sacrifici come se ti fosse dovuto. Per ogni volta che hai rinnegato le responsabilità che avevamo preso assieme.

"Sono errori che devo fare".

Me lo hai detto mentre ero in lacrime toccando Castro Pretorio, supplicandoti di fermarti, di non andare con lui. Una frase magica che ha giustificato il tuo gettarmi nel Pozzo della mia desolazione. Una frase che mi sono ripetuto in queste centosessanta settimane, più di mille giorni, mentre mi flagellavo domandadomi perché. E rispondendomi in mille modo diversi, tutti esatti. Mi dissi che Dio mi aveva tradito, nonostante la mia fede. Nonostante avessi cercato di attenermi per quanto possibile alle sue regole. Cercavo nella fede un supporto che è venuto, in parte, mentre cercavo Grigiotto in mezzo alle siringhe ed ai rovi mentre tutto ciò che ricevevo da te come supporto era il ticchettio sulla tastiera mentre livellavi a WoW. Solo molto dopo ho compreso che Dio non mi aveva maledetto. Ti eri maledetta da sola. Innanzi ad una prova importante, a quella più importante, tra essere una donna onesta e completa ed una bambina mossa solo dai suoi desideri hai scelto la strada più comoda e facile, quella che porta in discesa verso il bosco. Ed ogni volta che ti ritrovavi ad un bivio sceglievi sempre la strada più semplice e meno lontana da me. Dalle responsabilità che ti ricordavo, dal negozio che odiavi e che abbandonasti sulla mia schiena.

"E' un atto egoistico da parte mia ma non ne voglio più sapere nulla".

E' buffo come ricordo certe tue parole in certi attimi. Eravamo a Porta maggiore, sotto gli archi, dopo aver parlato con la tua odiata commercialista. "Un buco senza fondo" lo chiamavi. Come lo sciocco che sono ero convinto che una volta eliminate le tue paure saresti tornata. Che dimostrandoti il mio ennesimo sacrificio ti saresti ricordata chi sono. L'ho riempito, da solo. Un anno e mezzo di risparmi all'ultimo centesimo per poterlo chiudere, quasi due. Tante cose che mi sono tolto, nella sola speranza di u tuo sguardo, di un tuo sorriso. E poi anche le chiamate sono svanite.

Un peso che tu, come sempre, non volesti ed che io accettai subito.Ma il tuo sguardo era già perduto nelle monete del gioco che compravi online, come sempre mentendomi, mentre io facevo due lavori per pagare l'affitto di casa e nei forum di gioco dove davi benvenuti ai newbie con il tuo amichetto mentre io mi arrabbattavo per coprire negozio e stand a Lucca che tu non volevi neanche toccare. E mentre scopavi con lui e chissà con altri sul letto comprato dai miei genitori io dormivo sul pavimento in mattone del negozio sussurrando preghiere affinchè comprendessi. Ma eri assordata dai tuoi stessi mugolii di piacere e urla di bestie ferite.

Guardami. Guardami adesso, da te mutilato ma più forte dopo aver strisciato per tanto tempo sulle mie viscere.

Ricorda chi ero e chi sono quando avrai cinquanta, sessanta, settant'anni. Non distogliere lo sguardo, non riempire la tua bocca con i tuoi "bastabastabasta" che appaiono innanzi alle cose che ti danno fastidio. Guardati da donna pienamente matura e poi da vecchia, e domandati nei momenti peggiori ed in quelli migliori se a quei bivi non avresti potuto scegliere una strada più impervia, se alla fuga non era preferibile la lotta. Se alla persona, se ne avrai, che ti sarà accanto non sarebeb stato auspicabile qualcuno in grado di amarti come ti ho amato, e come ti amo, io. Perché nessuno potrà mai perdonarti tanto male e continuare a provare quello che provo ora.

 
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