Alicia nel paese...

Je accuse


Dal Signor Malaussène, di Daniel Pennac, scena della morte di zio Stojil, lui "che era l'onore della vita" e (...) si è messo a morire piano, con la cicca in bocca, chino sulla sua scacchiera. "Mi avevi giurato di essere immortale! - gli grida Malaussène. Lui risponde: "E' vero, ma non ti ho mai giurato di essere infallibile... Del resto io non muoio, arrocco". C'è una scacchiera lontana, che odora di anni '60, di Boom economico che gratta alle porte, promesse, giovani fabbriche, giovani imprenditori, hippies, beat, spiccioli nel portafogli C'è un autobus verde che traccia le arterie nel cuore di Roma e accarezza Testaccio, la via Galvani, il mattatoio, le ragazze dalla gonna ruota che trascinano al guinzaglio galline come fossero cani Ci sono un paio di occhi azzurri, guance smunte, un naso adunco C'è lui dietro di lei - capelli bruni come castagne, occhi di bragia verdi, bocca carnosa, culo rotondo - che appoggia la sua mano maschia, col palmo largo, sulle dita di lei strette intorno al corrimano di quel mezzo pubblico sovraffollato e decide che sì, è quella la donna della sua vita C'è un matrimonio frettoloso, incinto della prima dei tanti figli, in una chiesa senza nome, senza sfarzo, in un giorno di giugno, alla metà del mese, quando le rose sfiorite lasciano il posto al profumo dei gelsomini in boccio Ci siamo noi, ci sono loro, io vengo dopo: 1960-prima figlia, 1960- secondo figlio, 1962-terzo figlio, 1965-quarta figlia, 1977-io. 1977/2007 Non mi avevi detto che un giorno saresti diventato vecchio. Che le tue ossa avrebbero scricchiolato, che il tuo equilibrio vacillato, né mi avevi avvertita che i tuoi occhi sarebbero stati appannati dalla patina del tempo. Eravamo d'accordo che gli anni ti imbiancassero le tempie, ma tutto il resto non era nei patti. Non sono pronta per vederti morire e aspettavo la tua vecchiaia - m'avevi ingannato - come un'onda lenta che pian piano si sarebbe mangiata lentissimamente la rena che faceva di te la mia splendida scultura di sabbia, papà. Cos'è questa storia, adesso, dell'onda che si infrange sugli scogli? Pensi forse di poter sempre fare a modo tuo, di fare l'originale e stravolgere i programmi di una senilità programmata per defilarti anche questa volta? No, non sono d'accordo. Io non voglio smettere di essere figlia, e, lo sai, tu sei l'ultimo filo che fa di noi un tappeto. Noi figli, sconosciuti, agguerriti, infami, feriti a morte. Spenderei del tempo perso, spanderei veleno, se ti dicessi adesso cosa ne penso io di quei campioni che hai allevato in squadra... ... della raccattapalle che gioca a fare la badante con la tua pensione per glissare qualsiasi vita che non sia sul teleschermo come quella dei Sim's, ed evita tutte le responsabilità annesse e connesse neanche fossero vibrioni del colera... ...della Melandri de'noantri che gira per gli ospedali dove tu ti fai operare con la penna USB al collo, per far vedere che ha studiato, che ha due figli perfetti, una vita oliata, la tessera fedeltà della Coin, l'abbonamento a Class... la stessa ragazza che non aveva i soldi per i caffè nei bar e che leggeva all'ombra di Che Guevara ora ha voltato gabbana e sottopaga una filippina perché gli lustri il cotto del suo balcone affacciato su San Pietro su cui sventola la bandiera americana.... ...sul naufrago affogato di alcool, di matrimoni, che non t'assomiglia né ti piglia ma che sfoglia i mesi dei calendari come un esattore delle assicurazioni, dall'alto del suo posto raccomandato, col culo parato, il fegato rattoppato, i denti malati, e la coscienza pure... Eravamo in cinque, siam rimasti in due - come i piccoli indiani di Agatha Christie - due orfanelli, diversi, rattoppatti, ognuno dei quali si è rintanato nel proprio angolo per leccarsi le ferite. I tuoi cinque figli si sono scissi, tre di qua, due di la; tu hai scelto di stare con i campioni e noi, papà, noi siam rimasti in disparte. Mignolo e anulare piegati fin quasi sul polso, cercando sempre di non disturbare, di non preoccupare, di non chiedere, aspettare né sperare. Io e lui, mio fratello, quelli che i "campioni" etichettano, deridono, schifano - ma sempre alle spalle, falsi come gli epitaffi del regime, perché non si sa mai che un giorno o l'altro possa ritornare comodo - dalla parte sbagliata, sempre, per principio. E tu lì, a guardare... A guardare me, che attraverso i sei occhi della prole prediletta - perché più debole, e intanto feroce - sono stata puttana, cocainomane, egoista, sfuggente, interessata, alcolista, pazza, isterica, corrotta, venduta, porca. Eppure, anche in fondo all'anima corrotta che ti dipingono come mi appartenesse, a cui tu assisti, senza fiatare come in un cinema di prima visione, io soffro, amo, grido. Non morire, papà. Non lasciarmi sola.