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O' trauma

Post n°95 pubblicato il 30 Agosto 2024 da casabuela

(...) E si che le mani del maestro le vedevamo prima gessigeroglificare sulla lavagna tornite paroline, pudiche rappresentazioni di un elementare abbecedario, poi arieggiare nel fumo di una sigaretta, nell'indifferenza delle Supreme Cariche che anni dopo avrebbero deprecato e vietato il malmostoso vezzo; ma si era negli anni '60, gli anni del bumme e delle cambiali e non si aveva tempo per le quisquilie salubriche degli scolaretti, "tanto da grandi avrebbero preso il vizio pure loro". Quelle mani, si diceva, alfine svettavano per la loro micidiale improntitudine sulle nostre guance. Perchè, quando c'era da menare il malcapitato, quelle mani, le mani do maestro, do prufessooor, non giocavano certo da mediano o da mezzala, ma da centravanti di sfondamento giocavano, e come ruzzolavano sugli spaurite faccette quelle vanghe dappoichè pesantuccie erano, come làrici montani, e come scapestravano mille truccoli per meglio ottener impronta e rossore sui visetti di noi innocenti vercelli che si illanguidivano, privi di guida parentale, sui sentieri dell'ignoranza indissimulata. Il malvezzo poi di riparare la grinfia con una mano, quando s'era convocati al cospetto del maestoso vangatore, al tronocattedra per la correctio compitorum, non frenava  nè la veemenza, nè il risultato delle mani do prufessooor, che anzi il risultato raddoppiava in efficacia sulla via dolorosa, tra risa e boati di satanelli che in quelle mani trovavano conforto e loggia... Insomma di punto in bianco la slavina in quantità mostruosa atterrava dove doveva atterrare e si ritornava al banco a sedere in totale spaurimento e attesa della correzione dei compiti del giorno dopo. Stessa slavina, stessa rotolosa efficienza, stesso dolore (...) Così dì dopo dì, o' trauma aumentava in proporzione, si torceva, risaliva per poi discendere le cavità sinaptiche, fendeva il follame enzematico parasimpatetico, saltellava ganno le matrici monocondriali, insomma pasticciava nelle testoline biro dei poveri pischelli traviati, per diventare alfine pragma, compagnone delle notti all'addiaccio, senza sonno perchè il trauma pensa e non ha tempo per riposare (...) A quei tempi si viveva tra incubi traumici e soporosi mulinelli di fuocherelli che il culo a stento raffrena sulle soglie del retto orifiziale, dappoichè o' trauma si sa procede a volte beato, senza sim e senza sam, tra gli intestini sazi di merda partendo dalle ipsocellule mondriane del cervello in semiasse, scendendo per lo spinale nelle aree intestinali satollandosi di aerofagica boemme di odori che i nasi meglio accorti dilettano. Esso, o' trauma, per giunta, metteva in processione e stimolo il bolo intabardato di saliva, che, finalmente insagottato, scendeva sazio per la colonna esofagea fino a un tratto torciuto, dove veniva annaffiato di acido, per pagare i vari dazi agli organi in dissesto ghiandolare, per giungere alfine al grosso intestino a corona detto "crasso" dal nome del triùnviro che nelle notti prima delle battaglie gozzovigliava così tanto, "dì pure ad libitum", mettendo a dura prova quella parte del budellame che aspira e asperge il digesto bolo per poi consacrarlo, privo di fermenti acquosi, in fecola di feci pronto per riverire il buco del culo del suo afono decoltè merdifero.

 
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Siamo infrangibile vetro umano di decadenti lettere senza alfabeto, o di alfabeti dimenticati dalla Storia, senza storia, lucide membrane di vuoto, sottovuoto. Sottili edemi liberati dalla vita, deliberati dalla Vita sotto i cieli bassi, i cicli diseguali, attori di desistenze e untori di esistenze... Molteplici eppure unici fondamenti di noi stessi, convesse, sotterranee voci univoche nel panorama del Creato, incendiari ribelli di paradisi senza orizzonte, macchine retoriche mute, scarti impauriti aggrappati ai corrimani del Destino... [davidalius]

 

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