Creato da LunaDelleCiliegie il 07/05/2006

Il Blog della Luna

Tenere una nota blu, per tutto il tempo che ci resta, tenerla e non farla morire... instabilità che cerca disperata l'infinito e in questo finito si consuma, nota blu che si estenua di luce segreta ultramarina, è un po' questo l'amore.

 

 

Potere dell'arte. Luciano Ventrone a Montefalco.

Post n°16 pubblicato il 14 Luglio 2011 da LunaDelleCiliegie
Foto di LunaDelleCiliegie

L’entrata.

Entrano, quasi intimoriti, si accalcano all’entrata, guardandosi in dietro, verso la porta. E’ come se avessero paura di quello che troveranno, come se temessero di non essere nel posto giusto, adatto a loro.

Entrano, sospinti dalla folla dietro di loro, non possono fare altro che entrare, a piccoli passati, stretti in gruppetti rassicuranti di amici e conoscenti, non sono cose che le persone normali fanno da sole queste, c’è bisogno di un supporto sociale. Ci si vergogna ad andare da soli in certi luoghi, è come dichiarare la propria incapacità di relazione.

Prima sala.

Danno un’occhiata veloce alle tre pareti di esposizione dal fondo della sala. Hanno l’aria interrogativa, forse anche un po’ delu
sa. Sembra tutto troppo facile, troppo scontato… Non era una mostra di pittura?

Si guardano, alzano sopracciglia, poi uno di loro si avvicina ad una delle prime tele: Un metro, poi sempre più vicino. Gli altri lo seguono. Un Cesto di frutta. La foto di un cesto di frutta, o forse no. Luce diafana che piove sulla frutta e che la fa sembrare vera, o finta, più vera o più finta. Sono indecisi.

E allora la vedi la meraviglia. La meraviglia pura del primo che si era avvicinato, e che allarga un sorriso mentre stringe le palpebre per mettere bene a fuoco un particolare minimo e scovare il segreto.

Il segreto.

Scoprire o solo intuire il segreto diventa la loro missione. E li vedi da lì in poi assieparsi attorno ad ogni dipinto, sempre più vicini, scavalcarsi, scostare gli altri. I nasi quasi a sfiorare la tela, le dita, affamate di indicare, di far notare agli altri il micro dettaglio che forse loro non hanno colto. Entrerebbero dentro la tela se potessero.

Si infilerebbero tra i colori per riuscire a vedere una singola pennellata e sciogliere la certezza. E’ questo che li disarma e li attrae, l’impossibilità di cogliere con certezza una traccia, più si avvicinano, più dovrebbero raccogliere in quel breve spazio percorso briciole di dati, tocchi di pennello che costruiscono le forme più che perfette. E invece non le trovano, e si disperano, a modo loro.

Iniziano a spostarsi da un quadro all’altro, dai più grandi ai più piccoli cercando indizi, sul come sia possibile raggiungere tanta verità, andare oltre la verità, inventarne una nuova, incapsulata in un fondale inesistente. Prendere le cose che loro vedono ogni giorno e renderle ancora più vere. Pensavano di conoscerle bene. Le hanno mangiate per tutta la vita, le hanno infilate in sacchetti di plastica trasparente una o due volte a settimana, e sistemate in bei cesti o in scomparti freddi. Sanno riconoscerne il grado di maturazione dal colore e dalla consistenza sotto le dita, saprebbero dire esattamente di ognuna che sapore ha. Eppure, di tutta quella frutta e quella verdura che vedono incorniciata ora, non saprebbero dire il sapore. E’ la stessa che mettono sulle loro tavole ma non lo è. Ed impazziscono dietro questo pensiero.

Fiori e profili

Ora non è più solo una scoperta, diventa una specie di missione, ci sono altre due sale e forse, forse se guarderanno bene troveranno le loro risposte. Sciamano attraverso gli archi, i gruppi si sparpagliano, ognuno attratto da soggetti differenti: una zucca spaccata in due su un fondo nero, un vaso di ciliegie mature, cedri, foglie di vite. Gli oggetti richiamano i loro gusto, una volta davanti alla tela però una mano invisibile li prende per i vestiti e li attira, più vicini, più vicini, fin sulla superficie della buccia, fin dentro i semi. Prenderebbero la tela e la strizzerebbero per vedere se esce il succo se potessero. Non sanno, che nuove emozioni stanno per assalirli.

Non profumano i dipinti ad olio, eppure le rose di Ventrone le puoi davvero annusare.

Rose bianche, su un fondo color ghiaccio, variazioni di grigi e bianchi, quanti ne possono esistere?

Non tutti si soffermano davanti alle rose. Tutti sono attratti dalla zucca o dalle angurie, ma le rose, no. Le rose bianche sono difficili, non ammaliano con colori sgargianti, non ti afferrano la gola con il ricordo di sapori succosi, non le vedi da lontano stagliarsi come soli. Se ne stanno lì nelle loro microsfumature, apparentemente disinteressate agli sguardi. Qualcuno ci passa davanti senza nemmeno vederle, in pochi si avvicinano. Eppure, chi trova il coraggio, chi lotta contro i propri sensi assuefatti da tutti quei colori golosi, chi dà una possibilità al bianco, ne viene assorbito completamente. Non è la perfezione che rapisce, è l’imperfezione. La perfezione della rosa bianca dura un istante, poi inizia il lento viaggio verso la decadenza. E’ sul bordo impercettibilmente arricciato e imbrunito della rosa bianca che risposa il segreto. Il segreto che tutti hanno ricercato affamati in tutte le altre tele, il segreto rassicurante che hanno bisogno di portarsi a casa, sapendo che c’è una spiegazione logica e terrena a tutta quella meraviglia. In pochi lo scopriranno, in pochi si appoggeranno sul bordo dei petali delle rose bianche, e riposeranno lo sguardo, e il cuore accorgendosi che esso non è altro che lo scopo arcaico e ancestrale dell’arte, regalare alle persone l’illusione, per un attimo, un giorno o secoli, di conoscere il segreto dell’immortalità.



 
 
 

E per la serie un post all'anno.... BUON NATALE!!

Post n°15 pubblicato il 12 Dicembre 2008 da LunaDelleCiliegie

I am in the room
waiting for Santa and for Claus.
Suddenly by night they will arrive,
can't you feel the typical:
"Cling, cling, cling, cling, cling!".

Presents for the good,
coal for the bad,
proprio come diceva mia mamma.

Christmas with the yours,
Easter what you want,
peace between Blur and Oasis.

Christmas with the yours,
Easter what you want.
Don't throw atomic bombs,
because it's Christmas time!

Panettone is on the table,
and everybody's drinking Moscato.
Go to buy a tree, but not a true tree,
because otherwise it would
die die die die die!

Panettone is on the table,
but it is another one:
infatti è quello senza canditi!

Christmas with the yours,
Easter what you want
Peace between Lino e Cecchetto!

Christmas with the yours,
Easter what you want,
don't drop atomic bombs
at least at Christmas time.

Oh, it's Christmas time,
please don't drop the bomb, don't drop it!
Proprio come diceva mia mamma.
sai come diceva mia mamma?

Christmas with the yours,
Easter what you want,
peace between Lino e Cecchetto!

Christmas with the yours,
Easter what you want,
livin' the refreshing world of Christmas.
Monsieur Chirac, garde la bombe chez toi.

 
 
 

C'è tempo

Post n°14 pubblicato il 22 Ottobre 2007 da LunaDelleCiliegie

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno che hai voglia ad aspettare
un tempo sognato che viene di notte
e un altro di giorno teso
come un lino a sventolare.

C'è un tempo negato e uno segreto
un tempo distante che è roba degli altri
un momento che era meglio partire
e quella volta che noi due era meglio parlarci.

C'è un tempo perfetto per fare silenzio
guardare il passaggio del sole d'estate
e saper raccontare ai nostri bambini quando
è l'ora muta delle fate.

C'è un giorno che ci siamo perduti
come smarrire un anello in un prato
e c'era tutto un programma futuro
che non abbiamo avverato.

È tempo che sfugge, niente paura
che prima o poi ci riprende
perché c'è tempo, c'è tempo c'è tempo, c'è tempo
per questo mare infinito di gente.

Dio, è proprio tanto che piove
e da un anno non torno
da mezz'ora sono qui arruffato
dentro una sala d'aspetto
di un tram che non viene
non essere gelosa di me
della mia vita
non essere gelosa di me
non essere mai gelosa di me.

C'è un tempo d'aspetto come dicevo
qualcosa di buono che verrà
un attimo fotografato, dipinto, segnato
e quello dopo perduto via
senza nemmeno voler sapere come sarebbe stata
la sua fotografia.

C'è un tempo bellissimo tutto sudato
una stagione ribelle
l'istante in cui scocca l'unica freccia
che arriva alla volta celeste
e trafigge le stelle
è un giorno che tutta la gente
si tende la mano
è il medesimo istante per tutti
che sarà benedetto, io credo
da molto lontano
è il tempo che è finalmente
o quando ci si capisce
un tempo in cui mi vedrai
accanto a te nuovamente
mano alla mano
che buffi saremo
se non ci avranno nemmeno
avvisato.

Dicono che c'è un tempo per seminare
e uno più lungo per aspettare
io dico che c'era un tempo sognato
che bisognava sognare.

I. Fossati

 
 
 

Post N° 13

Post n°13 pubblicato il 30 Ottobre 2006 da LunaDelleCiliegie

AUTUNNO

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C'è un'ora dell'autunno che adoro.... tutto il resto del giorno no ma quell'ora... dopo pranzo, quando il sole inizia a scendere ma è ancora caldo, quando i colori sembra che abbiano tutti un po' di rosso e di arancio dentro, quando anche se l'aria è fredda sa di calore... quell'ora sa di scuola e di disegni con i funghi e le foglie marroni raccolte per strada, sa di abbracci con i maglioni già un po' pesanti e di odore di bosco...

E poi penso che questo autunno è la prima volta che non mi sento come quelle foglie... è la prima volta che c'è pace dentro a queste stanze, nonostante le ansie e i nervosismi, c'è una pintina cresciuta piano piano, che ha attraversato temporali e fulmini che l'hanno quasi arrostita e invece... è qui ed è forte e cresce, ogni giorno un millimetro, in modo impercettibile che te ne accorgi solo se pensi a come era tre mesi fa... se guardi parecchio indietro ti accorgi che è diventata enormemente forte e si nutre della sua forza...

E' il primo autunno che non sono davvero sola....

 
 
 

Post N° 12

Post n°12 pubblicato il 10 Ottobre 2006 da LunaDelleCiliegie

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Quando il mondo ti sembrerà crudele, quando ti sentirai un alieno su un pianeta che non ti vuole, quando le lacrime inonderanno i tuoi occhi impedendo loro di vedere lontano, quando il  cuore sanguinerà troppo per suggerirti la strada da imboccare, fermati e aspetta: in silenzio osserva la vita  che ti corre attorno senza vederti, scrutane le  pieghe più segrete, gli angoli più nascosti, le realtà più microscopiche.

Asciugati gli occhi, placa i singhiozzi e osserva: il passaggio improvviso di uno stormo di corvi, un solo cipresso in un campo di grano, un’ape che vola da un fiore all’altro, il nido di un merlo nascosto tra i rami, il lento passaggio delle nuvole in cielo, la neve zitta che imbianca le cime, il lieve incresparsi delle onde al mattino, la pelle bruciata di un lupo di mare, le rughe sapienti di una vecchia sull’uscio, le mani nodose di un carbonaio, un padre che legge una fiaba di draghi, i capelli d’argento di una mamma che aspetta, il piede del figlio che schiaccia il pedale, gli occhiali sul naso di una donna che cuce, il volto dipinto di un capo africano, il tatuaggio tribale di chi lo vuole imitare, il movimento degli occhi di un bimbo che sogna, gli sguardi stravolti di chi ha visto la guerra, la rabbia di chi non ha avuto giustizia, la pace e il silenzio di una pieve in campagna, la falce di luna in un cielo stellato.

Solo quando ti sarai riempito gli occhi con tutti questi microcosmi, scoprirai che in un mondo fatto di miriadi di piccole realtà, tu non sei un alieno, ma una di quelle pennellate che rendono così perfetto il dipinto dell’Universo.

 
 
 

Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 30 Settembre 2006 da LunaDelleCiliegie
Foto di LunaDelleCiliegie

SETA

E poi ci sono quelle storie che sono tali solo nello spazio di due pagine.... storie che si consumano sulla carta, che non sono mai esistite, e che vivono solo nell'anima di chi le sa ascoltare e bruciano sulla sua pelle più della realtà... Questa è una di quelle storie...

Mio Signore amato non aver paura non muoverti, resta in silenzio, nessuno ci vedrà.

Rimani così, ti voglio guardare, io ti ho guardato tanto ma non eri per me, adesso sei per me, non avvicinarti, ti prego, resta come sei, abbiamo una notte per noi, e io voglio guardarti, non ho mai visto così, il tuo corpo per me, la tua pelle, chiudi gli occhi, e accarezzati, ti prego.

Non aprire gli occhi se puoi, e accarezzati, sono così belle le tue mani, le ho sognate tante volte adesso le voglio vedere, mi piace vederle sulla tua pelle, così, ti prego continua, non aprire gli occhi, io sono qui, nessuno ci può vedere e io sono vicina a te, accarezzati signore amato mio, accarezza il tuo sesso, ti prego, piano, è bella la tua mano sul tuo sesso, non smettere, a me piace guardarla e guardarti, signore amato mio, non aprire gli occhi, non ancora, non devi aver paura son vicina a te, mi senti? Sono qui, ti posso sfiorare, è seta questa, la senti? È la seta del mio vestito, mon aprire gli occhi e avrai la mia pelle, avrai le mie labbra, quando ti toccherò per la prima volta sarà con le mie labbra, tu non saprai dove, a un certo punto sentirai il calore delle mie labbra, addosso, non puoi sapere dove se non apri gli occhi, non aprirli, sentirai la mia bocca dove non sai, d’improvviso.

Forse sarà nei tuoi occhi, appoggerò la mia bocca sulle tue palpebre e le ciglia, sentirai il calore entrare nella tua testa, le mie labbra nei tuoi occhi, dentro, o forse sarà sul tuo sesso, appoggerò le mie labbra, laggiù, e le schiuderò scendendo a poco a poco, lascerò che il tuo sesso socchiuda la mia bocca, entrando tra le mie labbra, e spingendo la mia lingua, la mia saliva scenderà lungo la tua pelle fin nella tua mano, il mio bacio e la tua mano, uno dentro l’altra, sul tuo sesso.

Finchè alla fine ti bacerò sul cuore, perché ti voglio, morderò la pelle che batte sul tuo cuore, perché ti voglio, e con il cuore tra le mie labbra tu sarai mio, davvero, con la mia bocca nel cuore tu sarai mio, per sempre, se non mi credi apri gli occhi signore amato mio e guardami, sono io, chi potrà mai cancellare questo istante che accade, e questo mio corpo senza più seta, le tue mani che lo toccano, i tuoi occhi che lo guardano, le tue dita nel mio sesso, la tua lingua sulle mie labbra, tu che scivoli sotto di me, prendi i miei fianchi, mi sollevi, mi lasci scivolare sul tuo sesso, piano, chi potrà cancellare questo, tu dentro di me a muoverti adagio, le tue mani sul mio volto, le tue dita nella mia bocca, il piacere nei tuoi occhi, la tua voce, ti muovi adagio ma fino a farmi male, il mio piacere, la mia voce, il mio corpo sul tuo, la tua schiena che mi solleva, le tue braccia che non lasciano andare, i colpi dentro di me, è violenza dolce, vedo i tuoi occhi cercare nei miei, vogliono sapere fino a dove farmi male, fino a dove vuoi, signore amato mio, non c’è fine, non finirà, lo vedi? Nessuno potrà cancellare questo istante che accade, per sempre getterai la testa all’indietro, gridando, per sempre chiuderò gli occhi staccando le lacrime dalle mie ciglia, la mia voce dentro la tua, la tua violenza a tenermi stretta, non c’è più tempo per fuggire e forza per resistere, doveva essere questo istante, e questo istante è, credimi, signore amato mio, quest’istante sarà, da adesso in poi, sarà fino alla fine.

Noi non ci vedremo più, signore.

Quel che era per noi, l’abbiamo fatto, e voi lo sapete.

Credetemi: l’abbiamo fatto per sempre. Serbate la vostra vita al riparo da me. E non esitate un attimo, se sarà utile per la vostra felicità, a dimenticare questa donna che ora vi dice, senza rimpianto, addio.

A.B. "Seta"

 
 
 

Post N° 10

Post n°10 pubblicato il 25 Settembre 2006 da LunaDelleCiliegie
Foto di LunaDelleCiliegie

C'è qualcosa che stride in questa giornata... c'è che piove e io odio la pioggia, c'è che la malinconia che di solito ne deriva oggi ha qualcosa di strano...

C'è che è tutto come ieri e tutto diverso, c'è che credo che le cose debbano seguire il loro corso e che gli incontri non accadano mai per caso e per quanto sia possibile dobbiamo prendere il buono, quello vero, che ci offrono...

C'è che la vita è così povera di momenti intensi e Totali che vale la pena sempre viverli...

E' come un quadro di De Chirico, in cui le poltrone portate fuori dal loro salotto e ammassate in strada diventano Protagoniste, che poi a leggerlo sui libri non è che capisci molto cosa vuol dire, bisogna provarlo.

Bisogna esserci quando un divano ormai sfondato viene appoggiato fuori in strada... Bisogna sedersi su quel divano in cui sentivi la schiena spezzarsi mentre guardavi la tu e che ora lì in mezzo all'asfalto e al cemento sembra la cosa più morbida e bella su cui ti sia mai seduto...

Stamani quando ho aperto la finestra c'era un vento gelido e tanta pioggia... eppure... quando sono uscita è stato come se ad ogni angolo, qualcuno avesse deciso di cambiare una poltrona...

 
 
 

Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 25 Settembre 2006 da LunaDelleCiliegie

C

i aveva pensato bene, a dire il vero negli ultimi tempi non aveva fatto altro: mentre scriveva, mentre leggeva, mentre faceva la spesa, ma soprattutto di notte, quando, stesa su quel letto dove solo qualche giorno prima avevano fatto l’amore intossicati dai loro ferormoni, si ritrovava sola in compagnia di un ricordo ancora vivo che ogni tanto le accarezzava la pelle con brividi freddi di piacere.

   Ci aveva pensato così bene che ora, tutto le appariva talmente chiaro e ragionato da spaventarla: quella sera stessa sarebbe andata a casa di lui. Sarebbe partita alle nove e venticinque dal parcheggio sotto casa, sarebbe arrivata in via Merano alle dieci meno cinque, avrebbe preso un lungo respiro e alle dieci in punto avrebbe suonato il campanello dell’intero quattordici all’ottavo piano. Lui avrebbe aperto dopo pochi secondi, si sarebbero squadrati per un attimo rimanendo immobili sul pianerottolo, poi lui l’avrebbe fatta entrare, le avrebbe offerto qualcosa da bere, magari uno scotch, e si sarebbero seduti sul divano di pelle nera nell’ampio salone con il soffitto di travi a vista: allora lei gli avrebbe detto che era tutto finito, che ci aveva pensato bene, e che la loro era una storia impossibile, senza basi, senza certezze, fatta solo di passioni travolgenti, che si sarebbero consumate inesorabilmente insieme a loro, e a quel punto sarebbe stato troppo tardi per accorgersi di aver sprecato tempo a giocare agli amanti, finendo poi per rimanere soli. Lui sarebbe rimasto in silenzio mentre lei parlava a voce bassa, poi, dopo una pausa di silenzi e di respiri, avrebbe lasciato che la sua voce profonda e matura distendesse nell’aria le sue frasi di disapprovazione, avrebbe fissato i suoi occhi in quelli di lei, e avrebbe cercato di dissuaderla come aveva sempre fatto, ma questa volta lei non avrebbe ceduto. Sarebbe rimasta ferma sulla sua posizione anche quando lui, avvicinandosi lentamente, le avrebbe detto che aveva ragione, che non potevano continuare a farsi del male e che non si dovevano vedere più, e poi, arrivato alle sue labbra, le avrebbe sussurrato mischiando la sua aria con quella di lei, che era finita. No, quella volta non si sarebbero svegliati dopo qualche ora nudi, avvinghiati l’uno all’altra, a domandarsi perché era successo ancora, quella volta si sarebbe alzata e sarebbe uscita prima che lui l’avesse potuta trascinare nel labirinto della passione.  

   Certo era assurdo però, lei che aveva sempre snobbato le relazioni serie perché le riteneva la causa principale dei divorzi, lei che aveva scritto per anni dell’amore come un’unica sola grande passione travolgente da vivere fino a quando rimane viva e dalla quale poi bisogna scappare prima dell’arrivo della noia, dell’abitudine o della riconoscenza. Ora proprio lei scappava da una storia che le avrebbe potuto dare tutto ciò che aveva sempre cercato: passione, emozioni, niente legami, amore incondizionato, senza interessi o false promesse, basato solo su uno scambio di vite fino all’osso. Ora proprio lei parlava di certezze, di basi, di stabilità, forse crescendo, cominciava a sentire il bisogno di sicurezza, di protezione, di quella fissità che negli anni passati l’aveva sempre spaventata, preferendo pensare che sarebbe potuta rimanere sola piuttosto che finire per tutta la vita accanto ad un impiegato apatico senza altri interessi a parte il lavoro e le partite della domenica. O forse era proprio il fatto di aver trovato finalmente quello che cercava che la spaventava: quando anche quella storia sarebbe finita, come era inevitabile che fosse, avrebbe avuto la certezza che non sarebbe esistito più niente di così perfetto e la sua vita sarebbe diventata inutile, non ci sarebbe più stato niente da cercare e da scoprire e tutto si sarebbe svuotato di significato: il suo lavoro, le sue passioni, i suoi desideri, la sua vita.

   Forse era proprio da questo che voleva fuggire: dalla fine, dal capolinea, dal punto di conclusione che non aveva mai messo nei suoi racconti e nei suoi romanzi, e che ora incombeva come una cappa grigia e opaca.

   “Basta pensare” si disse parcheggiando l’auto proprio sotto casa di lui: erano le dieci meno cinque, un’acquolina fine scendeva ormai dall’inizio della giornata uggiosa, stava per aprire lo sportello, ma qualcosa la bloccò, come un braccio che le bloccava le spalle allo schienale del sedile. Era lì immobile che, mentre fissava i rivoli sottili d’acqua che si inseguivano sul parabrezza intessendo un ricamo liquido e trasparente, si ripeteva: “Avanti Sofia, non fare la stupida… Forza, scendi da questa maledetta macchina”.

   Con movimenti pesanti, costrinse il suo corpo improvvisamente rigido a scendere dall’abitacolo, ora era in strada, con la pioggia che le tesseva una sottile ragnatela di goccioline minuscole sui capelli ricci. Il sole era calato già da tempo, la strada era illuminata dai lampioni e dall’insegna luminosa del negozio di antiquariato all’angolo tra via Merano e via Adelfi.                                                                                                                                                                                                                              

   Il portone del palazzo era proprio lì davanti a lei, le sarebbe bastato attraversare la strada e vi si sarebbe trovata proprio di fronte, ma le sue gambe non avevano alcuna intenzione di percorrere quei pochi metri che la separavano dalla fine di quel patimento. Allora cominciò a percorrere in lungo il marciapiede sul ciglio del quale aveva parcheggiato la sua auto: la pioggia cominciava a scendere con più decisione, impregnandole i capelli e gocciolandole sulle guance fredde e arrossate, i vestiti erano inzuppati, ma lei non si fermava, continuava a camminare a testa alta guardando l’orizzonte che si distorceva sotto la rete d’acqua che lo avvolgeva, camminò fino a che le mani non cominciarono a dolerle per il freddo e le gambe non si indurirono, allora tornò indietro lungo lo stesso marciapiede osservando al contrario la stessa strada, le stesse auto, le stesse vetrine, gli stessi semafori, gli stessi barboni, le stesse cartacce, fino a trovarsi di nuovo davanti a quel portone. Guardò in alto, su, fino all’ultimo piano dove le finestre sembravano più piccole ed il sole nasceva e tramontava sempre un po’ prima rispetto a chi viveva più in basso, le luci erano quasi tutte accese, lui diceva che odiava il buio, ma Sofia non gli credeva, diceva che erano tutte scuse per giustificare il fatto che era uno sbadato e che comunque fosse, con tutto quello che guadagnava, se lo poteva permettere. Lei era fatta così, niente mezze parole, diceva solo quello che pensava in ogni occasione.

   Guardò l’orologio: le undici, secondo i suoi piani a quell’ora avrebbe dovuto essere di nuovo sola, e invece si ritrovava ancora lì, incapace ad attraversare la strada, tremante per il freddo e livida di rabbia per essere stata così stupida da sopravvalutare la sua forza e il suo coraggio. Ma non poteva andarsene, no proprio non poteva, forse il problema era che aveva pensato troppo, doveva buttarsi, imporre a se stessa di affrontare la realtà e mettere in atto finalmente tutta quella teoria che per settimane aveva agitato le sue notti.

   Alla fine si decise, tirò un respiro profondo inalando quanta più aria potevano contenere i suoi polmoni e si spinse dall’altra parte della strada, senza accorgersene si ritrovò sulla soglia dell’interno quattordici a vivere quell’attimo di silenzio di fronte a lui che la guardava sorpreso.

   Sembrava un pulcino bagnato, con il viso rigato da una pioggia salata che mentre l’ascensore la portava all’ottavo piano non si era neanche accorta che fosse cominciata a cadere, gli occhi lucidi e una strana espressione triste che gli strinse il cuore.

   Non riuscirono a dire niente, lui le fece segno di entrare osservando quel corpo giovane e gocciolante camminare a stento. L’aiutò a togliersi la giacca e la fece sedere vicino al caminetto acceso, poi le si sedette davanti prendendole le mani fredde tra le sue calde e lisce. Si fissarono a lungo negli occhi incapaci di dire niente, poi lei prese un lungo respiro e disse:

   «Claudio… è finita» Ma questa volta non fu lui a cercare di convincerla del contrario, a cercare un contatto per dimostrarle che non poteva essere così, no, questa volta fu lei che si avvicinò, che cercò le sue labbra calde e che volle scaldare le sue, fu lei che assaggiò per prima il suo respiro, fu lei che gli sussurrò che non era vero, che non riusciva a vivere senza di lui, che aveva voglia di lui, delle sue mani, della sua pelle, della sua bocca, della sua schiena. Fu lei a togliergli il maglione pesante, i pantaloni, e a baciarlo fino a farlo impazzire, fu lei a farlo sospirare nella luce ambrata del fuoco che proiettava le sue ombre sui loro corpi abbracciati stretti. E per la prima volta, quando tutto fu finito e le loro membra riposarono intrecciate come un unico corpo perfetto, non si domandarono perché era successo un’altra volta.

   Per la prima volta non ci furono altro che loro due e quel sentimento strano al quale, fino ad allora, avevano impedito di intromettersi nella loro strana storia, ma che ora attraverso una sottile crepa vi si era intrufolato per sempre.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   

 
 
 

Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 13 Luglio 2006 da LunaDelleCiliegie

L'ultimo sforzo... Alle quattro ho l'esame di Estetica e poi si chiudono i libri fino a settembre...

Dovrei essere agitata, tesa, dovrei essere a ripassare... e invece son qu.

Sì va beh si sa che sono un genio e che so tutto però insomma mica è tanto normale questa assoluta assenza di tensione...

Sarà che ieri sera è stata una serata strana... Una di quelle che iniziano sotto tono e in cui non scommetteresti un soldo bucato e poi, ti lasci trasportare dalle coincidenze e torni a casa con una carezza sulla pelle che è come una poesia sussurrata nel caos di una discoteca...

E ti rendi conto che non servono le cose grandi per farti stare bene... basta una persona che sbuca dal passato nel posto in cui proprio non pensavi che fosse, e i suoi occhi fissi nei tuoi per tutta la serata e un leggero sfuggente sfiorarsi di dita... e brividi che non ti abbandonano e testa leggera e pensieri assenti...

Non è stato niente... Non sarà niente... ma a volte serve un po' di niente per ricordarti che sei viva e che puoi respirare un po' di niente e stare bene...

 
 
 

Post N° 7

Post n°7 pubblicato il 07 Luglio 2006 da LunaDelleCiliegie

Ok il tono non sarà proprio da Blog, magari a molti verrà sonno dopo le prime due righe, non importa, se avrete la costanza e la voglia di andare avanti, scoprirete una nuova, piccola parte di me, il nucleo primordiale della mia più grande passione...

Si inizia.....

L’idea di eseguire un gruppo di paesaggi raffiguranti lo stagno di Giverny venne a Monet nel 1909, ma solo più tardi, quando la figlia Blanche e l’amico Clemenceau con la loro vicinanza mitigarono il dolore per la perdita della moglie e del figlio, tornò intensamente al lavoro. Nei primi anni del 1900 Monet acquistò la casa a Giverny, in un prato completamente vuoto, privo di alberi ma irrigato da un braccio tortuoso e gorgogliante del fiume Epte, creò un giardino da favola scavando un grande stagno al centro e piantando sulle sue sponde alberi esotici e salici piangenti, i cui rami pendevano con le loro lunghe braccia verso la superficie dell’acqua. Nello stagno piantò migliaia e migliaia di ninfee, varietà rare e con i più bei colori dell’arcobaleno: dal violetto, rosso e arancio al rosa, lilla e malva e infine, sopra l’Epte, nel punto dove esce dallo stagno, costruì un ponticello rustico a schiena d’asino. Monet seppur anziano e malato agli occhi, curava personalmente il suo giardino, e lo rimirava per ore seduto al bordo dello stagno captando ogni particella di luce, ogni scintillio, ogni riflesso cangiante. Poi, quando fu sicuro di conoscere ogni foglia, ogni increspatura dell’acqua, fece costruire un nuovo atelier e fece sistemare delle tele su telai lunghi oltre quattro metri e alti due che potessero essere spostate su cavalletti mobili. Dispose queste tele in ovale attorno all’atelier: Monet poteva allora cominciare a dipingerle basandosi su nient’altro che sugli schizzi precedentemente realizzati e sulla sua memoria. “L’elemento base è lo specchio d’acqua – diceva lo stesso Monet – il cui aspetto muta ogni istante per come brandelli di cielo vi si riflettano conferendogli vita e movimento. La nuvola che passa, la fresca brezza, la minaccia o il sopraggiungere di una tempesta, l’improvvisa folata di vento, la luce che svanisce o rifulge improvvisamente, tutte queste cose che l’occhio inesperto non nota, creano variazioni nel colore ed alterano la superficie dell’acqua: essa può essere liscia e non increspata e poi, improvvisamente, ecco un’ondulazione, un movimento che la infrange creando piccole onde quasi impercettibili. Lo stesso accade ai colori, al passaggio della luce all’ombra, ai riflessi. Per ricavare qualcosa da questo continuo mutare bisogna avere cinque o sei tele sulle quali lavorare contemporaneamente. Coglier l’attimo fuggente, o almeno la sensazione che lascia, è già sufficientemente difficile quando il gioco di luce e colore si concentra su un punto fisso, ma l’acqua, essendo un soggetto così mobile e in continuo mutamento è un vero problema, un problema estremamente stimolante perché ogni momento che passa la fa diventare qualcosa di nuovo e di inatteso.”  

Estremizzando l’antiaccademica pratica pittorica del maestro Manet, Monet eliminò ogni convenzionalità rappresentativa per dare all’immagine la qualità di un’istantanea in rapida dissolvenza, simile all’immagine impressionata sulla retina. Al pari di essa, la superficie dipinta era costituita di soli fattori luministico­cromatici, di “tacche” di colore puro, accostate o frammentate , che ricreavano il gioco provvisorio e coloristicamente variato di una percezione visiva sintonizzata sul rapido fluire della vita.

L’occhio ricomponeva ciò che il pennello dissociava, come in una vera musica d’orchestra in cui ogni colore era uno strumento con un ruolo distinto, e i cui momenti, con le loro tinte diverse, costituivano i temi successivi.

Egli accentuava e scomponeva il colore puro con un’arditezza senza pari non solo per esaltare la superficie della tela, ma anche per esprimere concretamente la trasparenza e la vibrazione dello spazio, il luminoso volgere del sole, il moto della luce che era la festa e la vita eterna della natura. Dalla diretta osservazione di quest’ultima, lezione della quale Monet non avrebbe più fatto a meno, nacque così una visione che articolava quei principi tecnici sui quali si sarebbe poi fondato l’impressionismo: la scomposizione del tocco, la vibrazione della luce, il brillio dei colori puri.

Le pennellate di Monet erano di una complessità, di una varietà e ricchezza d’invenzione, tali da predisporre veramente il prodigioso fiorire della pittura moderna.

Scrisse il critico Cassou nel 1962: «La passione di Monet per l’impressionismo, lo conduce a quegli estremi confini dove un’arte, sorpassa i limiti che le sono propri e sembra prossima a cambiare natura, tramutandosi in un’arte diversa: la pittura in musica.» (Nasceva infatti in quel periodo l’impressionismo musicale con il Prélude à l’après­midi d’un fune di Debussy. Al tema sinfonico Debussy contrapponeva un paradigma diverso, rappresentato da un flusso sonoro capace di tradursi in sviluppo aperto e innovativo, analogamente l’impressionismo pittorico aveva permesso alla luce di penetrare nei temi raffigurativi e di frammentarli in evidenze cromatiche  diffuse, mutando il rapporto tra figura e natura circostante.) «Quest’arte supera il mondo esterno, quest’arte aspira a definire se stessa, diventando pittura pura, ma ciò era un profondo paradosso, poiché proprio nel momento in cui la pittura è pittura pura, non somiglia più alla pittura, ma ad un’altra arte e nella fattispecie, alla musica.

Scopo della pittura è di rappresentare il mondo esterno e Monet si è accanito nella ricerca di tale mondo, riesumato nello scintillio dove galleggiano le Nymphéas. Al di là di questa ricerca egli non ha trovato altro che diffusione di colori e di riflessi, materia cangiante, pittura pura per la pittura. Ma anche superamento della pittura, poiché noi non esistiamo più in questo dominio della pittura: gli elementi di un’altra arte, i suoni, ci immergono in un sogno senza confini, continuo ed esclusivo. Così liberata, resa a se stessa, essa ci appare piena di contrasti, e comincia ad agire sull’anima in modo diverso portandoci, come la musica, in un mondo di fantasia e di sogno. Ed è proprio questo che ci ha urtato nelle Nymphéas, poiché nessuno ha piacere che un’arte esca dai propri limiti e formi un’alleanza ibrida con un’arte diversa.»

«[…]Quando si rimane sul piano di immagini armoniose, non si può essere lontani dalla realtà, o almeno da quanto di essa possiamo sapere […].

Il vostro errore è di voler ridimensionare il mondo sul vostro metro, mentre ampliando la vostra conoscenza delle cose, vi ritrovereste ad aver ampliato in uguale misura la conoscenza di voi stesso.»

Con questa ultima testimonianza raccolta dall’amico Clemenceau, Monet ci accompagna lungo il resto del viaggio delle nostre piccole vite barcollanti, ancora storditi dalle tacche di colore, dalla luce puntiforme, dall’acqua, dal cielo e dalle ninfee che galleggiano nei nostri cuori riscaldandoli con quella sensazione di confine tra Nulla e Tutto assoluto, che si dilata e si restringe come uno spazio liquido man mano che ci avviciniamo e ci allontaniamo alle tele, ora sprofondando negli impasti amorfi di colore, ora cercando di mettere a fuoco l’idea primaria che ognuno di noi può trovare dentro se stesso, nel piccolo laghetto di ninfee che anche lui ha pazientemente costruito in un angolo del suo inconscio e sul bordo del quale è obbligato a sedersi nello sforzo impossibile di cogliere il mistero delle Nymphéas.

 
 
 
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