Creato da LunaDelleCiliegie il 07/05/2006

Il Blog della Luna

Tenere una nota blu, per tutto il tempo che ci resta, tenerla e non farla morire... instabilità che cerca disperata l'infinito e in questo finito si consuma, nota blu che si estenua di luce segreta ultramarina, è un po' questo l'amore.

 

 

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Potere dell'arte. Luciano Ventrone a Montefalco.

Post n°16 pubblicato il 14 Luglio 2011 da LunaDelleCiliegie
Foto di LunaDelleCiliegie

L’entrata.

Entrano, quasi intimoriti, si accalcano all’entrata, guardandosi in dietro, verso la porta. E’ come se avessero paura di quello che troveranno, come se temessero di non essere nel posto giusto, adatto a loro.

Entrano, sospinti dalla folla dietro di loro, non possono fare altro che entrare, a piccoli passati, stretti in gruppetti rassicuranti di amici e conoscenti, non sono cose che le persone normali fanno da sole queste, c’è bisogno di un supporto sociale. Ci si vergogna ad andare da soli in certi luoghi, è come dichiarare la propria incapacità di relazione.

Prima sala.

Danno un’occhiata veloce alle tre pareti di esposizione dal fondo della sala. Hanno l’aria interrogativa, forse anche un po’ delu
sa. Sembra tutto troppo facile, troppo scontato… Non era una mostra di pittura?

Si guardano, alzano sopracciglia, poi uno di loro si avvicina ad una delle prime tele: Un metro, poi sempre più vicino. Gli altri lo seguono. Un Cesto di frutta. La foto di un cesto di frutta, o forse no. Luce diafana che piove sulla frutta e che la fa sembrare vera, o finta, più vera o più finta. Sono indecisi.

E allora la vedi la meraviglia. La meraviglia pura del primo che si era avvicinato, e che allarga un sorriso mentre stringe le palpebre per mettere bene a fuoco un particolare minimo e scovare il segreto.

Il segreto.

Scoprire o solo intuire il segreto diventa la loro missione. E li vedi da lì in poi assieparsi attorno ad ogni dipinto, sempre più vicini, scavalcarsi, scostare gli altri. I nasi quasi a sfiorare la tela, le dita, affamate di indicare, di far notare agli altri il micro dettaglio che forse loro non hanno colto. Entrerebbero dentro la tela se potessero.

Si infilerebbero tra i colori per riuscire a vedere una singola pennellata e sciogliere la certezza. E’ questo che li disarma e li attrae, l’impossibilità di cogliere con certezza una traccia, più si avvicinano, più dovrebbero raccogliere in quel breve spazio percorso briciole di dati, tocchi di pennello che costruiscono le forme più che perfette. E invece non le trovano, e si disperano, a modo loro.

Iniziano a spostarsi da un quadro all’altro, dai più grandi ai più piccoli cercando indizi, sul come sia possibile raggiungere tanta verità, andare oltre la verità, inventarne una nuova, incapsulata in un fondale inesistente. Prendere le cose che loro vedono ogni giorno e renderle ancora più vere. Pensavano di conoscerle bene. Le hanno mangiate per tutta la vita, le hanno infilate in sacchetti di plastica trasparente una o due volte a settimana, e sistemate in bei cesti o in scomparti freddi. Sanno riconoscerne il grado di maturazione dal colore e dalla consistenza sotto le dita, saprebbero dire esattamente di ognuna che sapore ha. Eppure, di tutta quella frutta e quella verdura che vedono incorniciata ora, non saprebbero dire il sapore. E’ la stessa che mettono sulle loro tavole ma non lo è. Ed impazziscono dietro questo pensiero.

Fiori e profili

Ora non è più solo una scoperta, diventa una specie di missione, ci sono altre due sale e forse, forse se guarderanno bene troveranno le loro risposte. Sciamano attraverso gli archi, i gruppi si sparpagliano, ognuno attratto da soggetti differenti: una zucca spaccata in due su un fondo nero, un vaso di ciliegie mature, cedri, foglie di vite. Gli oggetti richiamano i loro gusto, una volta davanti alla tela però una mano invisibile li prende per i vestiti e li attira, più vicini, più vicini, fin sulla superficie della buccia, fin dentro i semi. Prenderebbero la tela e la strizzerebbero per vedere se esce il succo se potessero. Non sanno, che nuove emozioni stanno per assalirli.

Non profumano i dipinti ad olio, eppure le rose di Ventrone le puoi davvero annusare.

Rose bianche, su un fondo color ghiaccio, variazioni di grigi e bianchi, quanti ne possono esistere?

Non tutti si soffermano davanti alle rose. Tutti sono attratti dalla zucca o dalle angurie, ma le rose, no. Le rose bianche sono difficili, non ammaliano con colori sgargianti, non ti afferrano la gola con il ricordo di sapori succosi, non le vedi da lontano stagliarsi come soli. Se ne stanno lì nelle loro microsfumature, apparentemente disinteressate agli sguardi. Qualcuno ci passa davanti senza nemmeno vederle, in pochi si avvicinano. Eppure, chi trova il coraggio, chi lotta contro i propri sensi assuefatti da tutti quei colori golosi, chi dà una possibilità al bianco, ne viene assorbito completamente. Non è la perfezione che rapisce, è l’imperfezione. La perfezione della rosa bianca dura un istante, poi inizia il lento viaggio verso la decadenza. E’ sul bordo impercettibilmente arricciato e imbrunito della rosa bianca che risposa il segreto. Il segreto che tutti hanno ricercato affamati in tutte le altre tele, il segreto rassicurante che hanno bisogno di portarsi a casa, sapendo che c’è una spiegazione logica e terrena a tutta quella meraviglia. In pochi lo scopriranno, in pochi si appoggeranno sul bordo dei petali delle rose bianche, e riposeranno lo sguardo, e il cuore accorgendosi che esso non è altro che lo scopo arcaico e ancestrale dell’arte, regalare alle persone l’illusione, per un attimo, un giorno o secoli, di conoscere il segreto dell’immortalità.



 
 
 
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