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17 febbraio 2009

Post n°51 pubblicato il 12 Febbraio 2009 da cineforumborgo
 

TUTTA LA VITA DAVANTI

Regia: Paolo Virzì
Soggetto: Michela Murgia, dal libro “Il mondo deve sapere - Romanzo tragicomico di una telefonista precaria” (ISBN Edizioni, 2006)
Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesco Bruni
Fotografia: Nicola Pecorini
Musiche: Gabriella Conti, Marco Streccioni
Montaggio: Esmeralda Calabria
Costumi: Claudette Lilly
Effetti: Paolo Zeccara, Franco Galiano
Interpreti: Isabella Ragonese (Marta), Sabrina Ferilli (Daniela, capotelefonista), Massimo Ghini (Claudio), Valerio Mastandrea (Giorgio Conforti, sindacalista), Elio Germano (Lucio 2, venditore), Micaela Ramazzotti (Sonia, mamma di Lara), Laura Morante (voce narrante), Valentina Carnelutti (Maria Chiara, telefonista), Paola Tiziana Cruciani (la madre di Sonia), Mary Cipolla (la madre di Marta), Tatiana Farnese (signora Franca), Caterina Guzzanti (Fabiana Lanza Campitelli), Nicolò Senni (Sebastiano Mangiarotti), Edoardo Gabbriellini (fidanzato di Marta), Lele Vannoli (addetto alla Security)
Produzione: Paolo Virzì per Motorino Amaranto/Medusa
Distribuzione: Medusa
Durata: 89’
Origine: Italia, 2008

Magari tanti risvolti sfuggiranno ai più. Magari Paolo Virzì e Francesco Bruni suo compagno fisso di sceneggiature, che dalla culla si sono abbeverati a sorsate ghiotte alla fonte della commedia italiana, si saranno scocciati di sentirselo ripetere. È un fatto che, nel suo esserne attuale e originale rilettura, “Tutta la vita davanti” è una gerla traboccante di omaggi a quella tradizione. Il sindacalista dei precari di oggi Valerio Mastandrea è l'amaro punto di arrivo del percorso iniziato dall'agitatore protosocialista Mastroianni in “I compagni” di Monicelli: i diritti erano un lusso e reclamarli costava la vita agli albori industriali torinesi, difendere i diritti degli addetti a un mastodontico call center romano è una missione impossibile per la diffidenza e la paura dei lavoratori prima che per la volontà delle aziende di tornare alle mani libere di un secolo fa.
Ne fa simbolicamente fede il raffronto tra i due monologhi-chiave nei rispettivi film. Quello affidato a Mastandrea sembra fatto per commuovere solleticando le nostalgie per la sinistra idealizzata e perduta: "Mio padre era verniciatore alla Fiat. Quando c'erano le manifestazioni ci portavano anche me, e mi piaceva un sacco, perché era come una festa: ci andavano tutti e novemila e vedessi come erano belli, forti, allegri, con le tute blu, coi cartelli, gli striscioni. Lì in mezzo anche l'ultimo arrivato si sentiva invincibile: se toccavano uno toccavano tutti".
Il controcanto è la sciroccata Sonia (Micaela Ramazzotti, un po' Marilyn un po' Sandrelli), bella e scema di buon cuore, di facili costumi ma di sani principi. Quella che prende la protagonista Marta come baby sitter e la presenta al call center dove lei già lavora. Che si porta a letto il sindacalista Giorgio e subisce poi la ritorsione aziendale per averlo frequentato. Esemplare la sua battuta a proposito dei volantini che Giorgio distribuisce invitando a denunciare gli abusi: "Sei quello che dà i dépliant pubblicitari, però de politica".
Sonia, solo più debole ed esposta, è come il boss Massimo Ghini, la sua sottocapa Sabrina Ferilli e come Elio Germano il più "vincente" e poi disperatamente più "perdente" dei venditori dell'inutile prodotto che il call center promuove: vittime del mondo illusorio in cui la produttività e la "motivazione" delle telefoniste e dei venditori si misurano come le nomination e le "esclusioni" del Grande Fratello.
Una brillante soluzione di sceneggiatura porta la Marta di Isabella Ragonese - a inizio film neolaureata in filosofia con lode e abbraccio accademico, un minuto dopo giovane disoccupata - a ricomporre tutto, saperi ed esperienze di vita, nel saggio che le farà varcare l'ambita soglia di una prestigiosa università. Dove si formula un'audace chiave di lettura dell'oggi collegando Heidegger e call center, mito della caverna e reality show.
Brillante ma troppo consolatoria rispetto a un dramma socio-generazionale che tale resta? Senza scadere nell'ovvietà che un film non fa la rivoluzione, difficile non ricordare l'eterna querelle: nel servire a veicolare argomenti tosti la commedia paga il compromesso di annacquarli. “La Grande Guerra” docet. Tanto per non essere ipocriti: chi scrive si augura che questo film lo vedano in tantissimi, ma senza dimenticare - come, sicuramente, gli autori per primi - di che stiamo parlando.
Paolo D’Agostini, La Repubblica

Bellissima apertura, il sogno di Marta (Isabella Ragonese), neolaureata in filosofia teoretica, che tutte le mattine dall'autobus vede il mondo ballare e cantare al ritmo della canzoncina socializzante del call center dove lavora. Poi, forse, un po' troppa voce fuori campo, ma passa presto e il film di Paolo Virzì si tuffa con generosità e bravura nella storia corale di questi ragazzi precari e smandrappati, perfettamente cesellati uno a uno, soprattutto le donne. Non mancano crudeltà e cinismo e soprassalti di follia nel finale. Era cominciato tutto come una commedia e invece, pian piano, inesorabilmente, con piccoli scivolamenti impercettibili, Marta, Giorgio, Sonia, Claudio, Daniela, Lucio diventano i protagonisti di un horror da lavoro quotidiano, quello senza regole e certezze, neppure un contratto a termine, solo punteggi, vittorie, prestazioni, capacità di ingannare al telefono vecchiette e poveri di spirito. Il venditore di frullatori multiuso Elio Germano, top nella sua categoria, alla prima défaillance impazzisce, tutti gli altri seguono a ruota, quelli che non hanno voluto ne sentire ne vedere, vittime e carnefici insieme, come Claudio, che Massimo Ghini dipinge sopraffatto dalla vita. Si salvano in corner Giorgio (Valerio Mastandrea, bravo come sempre) e Marta, il sindacalista e la precaria filosofa, che un po' di coscienza hanno saputo salvare.
Sorprende per bravura la strepitosa Micaela Ramazzotti, creatura meravigliosa che evita la volgarità anche quando recita tutta nuda, anche quando la vestono da coattona, anche quando, scacciata dal call center, finisce a battere. Infine, il bel film di Paolo Virzì offre a Sabrina Ferilli un grande ruolo: la sua donna in carriera, perfettamente tratteggiata anche nell'abbigliamento versione fetish-dominatrix de noantri, è la creatura più sola e disperata che il cinema italiano ci abbia regalato da molto tempo in qua. Sabrina ne fa una Bette Davis della nuova periferia romana: sarà difficile dimenticare lo sguardo insieme folle e patetico con cui accompagna il sinistro dondolio del passeggino vuoto.
Piera Detassis, Ciak

PAOLO VIRZI’
Filmografia:
La bella vita (1994), Ferie d'agosto  (1995), Ovosodo  (1997), Baci e abbracci  (1999), My name is Tanino  (2001), Caterina va in città  (2003), N - Io e Napoleone  (2006), Tutta la vita davanti (2008)

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Commenti al Post:
Gaia.dgl1
Gaia.dgl1 il 12/02/09 alle 13:01 via WEB
Definirlo un "bel film di Paolo Virzì" mi pare abbastanza...assurda come critica. Al di là di questo, X CHI L'HA VISTO avrà notato le "qualità" recitative della RAMAZZOTTI, sia di culo che di f..a!!! A cinquant'anni....Virzì s'è tolto pruriti e sfizio voyeuristico alla Brass, x confenzionare un film che è assolutamente inarrivabile x "stile e messaggio" a quelli che ha girato in precedenza. Voto: 5/6.
 
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