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24 febbraio 2009

Post n°53 pubblicato il 18 Febbraio 2009 da cineforumborgo
 

SOFFIO


Titolo originale: Soom
Regia: Kim Ki-duk
Sceneggiatura: Kim Ki-duk
Fotografia: Sung Jong-moo
Musiche: Song Myung-chul
Montaggio: Wang Su-an
Scenografia: Kwang In-jun
Interpreti: Chang Chen (Jang Jin), Park Ji-a (Yeon), Ha Jung-woo (Mari), Kim Ki-duk
Produzione: Cineclick Asia/Kim Ki-Duk Film/Sponge
Distribuzione: Mikado
Durata: 80’
Origine: Corea del Sud, 2007


La gelosia, il perdono, la speranza, la passione. L’opera di Kim Ki-duk filma ancora una volta i sentimenti in maniera eccessiva ed esplosiva, e “Soffio” è da questo punto di vista una delle sue opere più radicali e potenti. Quello del regista coreano è un cinema che oltrepassa la parola - che appare sempre di più come un elemento sonoro che ha la stessa funzione dei rumori d’ambiente e della musica - e ogni moto dell’animo emerge dal silenzio, dal gesto, dall’atto estremo. “Soffio” inizia con l’immagine di un carcere dove un uomo in attesa di essere condannato a morte cerca di suicidarsi. La notizia viene comunicata nei notiziari in tv e cattura l’attenzione di una donna in crisi col marito. Per dare una svolta alla sua vita decide così di andarlo a trovare spacciandosi per una sua ex-fidanzata. Una volta che si sono conosciuti, tra i due scatta una complicità che cresce sempre di più ogni volta che si incontrano.
I luoghi chiusi dell’appartamento e della prigione hanno la stessa soffocante claustrofobia degli spazi di “Ferro 3” e del bar di “Time”. Stavolta però, in un film sempre più riconoscibile a livello autoriale in cui si sprigiona al tempo stesso l’anima intima e dolente di Kim Ki-duk, si evidenzia anche una grandiosa, incontrollabile creatività, termine da intendersi come nascita e sviluppo della creazione artistica. La protagonista, prima di conoscere il prigioniero, trascorreva il suo tempo libero plasmando delle piccole statue. Ma è nel momento in cui va a visitare il condannato a morte che nel film prende forma ed esplode questo suo gesto artistico. Ogni visita di lei è collegata ad una stagione diversa. In pieno inverno, per esempio, va in giro con un vestito estivo, tappezza le pareti della stanza del parlatorio con le immagini del mare, porta gli occhiali da soli da spiaggia e ogni conversazione (che diventa poi un’attrazione fisica incontrollata) viene preceduta da una canzone. Proprio in queste visite esplode la forza dello sguardo del cineasta, capace ancora una volta di trasformare i set e far vivere mentalmente e sensorialmente in un altro luogo rispetto a quello in cui ci si trova fisicamente.
“Soffio” appare quindi come un’opera di intermittenti respiri dove ogni stagione - come in “Primavera, estate, autunno, inverno…e ancora primavera” - appare legata a un momento della vita diverso. Le visite della donna al prigioniero è come se costruissero nell’uomo dei ricordi. Quindi una memoria che non gli è mai appartenuta oppure che ha rimosso.


L’atto creativo in “Soffio” si manifesta anche come frammento parziale di ‘cinema nel cinema’. Il direttore del carcere - lo stesso Kim Ki-duk - sceglie i soggetti e la durata delle azioni attraverso un computer da cui gestisce i movimenti della telecamera del carcere. È così lui, nella sua posizione di regista/creatore che stabilisce se la donna deve incontrare il prigioniero o no, se separare o meno i due personaggi nel momento in cui si stanno baciando. Verso la fine del film poi alterna le due immagini dell’atto sessuale tra la donna e il condannato a morte da una parte e, come controcampo, quella del marito di lei che sta giocando con la figlia dall’altro prima che spenga di spegnere il PC e vedere riflessa la sua immagine sul vetro dello schermo.
Con “Soffio” Kim Ki-duk realizza un film ancora una volta duro ma anche di struggente malinconia che si manifesta nel finale con marito e moglie che cantano una canzone della neve che cade. La riconciliazione, o meglio, l’illusione della riconciliazione, uno squarcio disteso dentro un film accumulato, densissimo di suoni e colori, che filma la seduzione con una forza e una grazia avvolgenti. Dopo la fase di stasi con “L’arco” e, in parte, con “Time”, un grande ritorno.
Simone Emiliani, Sentieri Selvaggi


Come ogni film di Kim Ki-duk, anche “Soffio”, benché non sia un capolavoro al livello di “Primavera, estate, autunno, inverno.., e ancora primavera” o di “Ferro3”, è un'esperienza di stupore. Il suo, infatti, resta un cinema di sorprendente metamorfosi, che riguarda tanto la struttura narrativa - ciò che all'inizio è misterioso, incomprensibile e glacialmente straniante, diventa poi evidente, familiare ed emotivamente coinvolgente - quanto la funzione stessa degli spazi e delle cose. Come l'arco dell'omonimo film, che diventava al contempo strumento d'armonia e di morte, così in questo caso, ed è l'invenzione migliore della pellicola, uno spazio di separazione e anticamera della morte, la sala colloquio di una prigione, grazie a un gesto creativo d'amore, non ha più pareti, ma alberi, colori, vastità, poesia. Il messaggio liberatorio, un soffio di libertà e di passione, ha come soave messaggera la giovane scultrice Yeon (Zia, che debuttò nel 2002 proprio con l'autore in “The Cost Guard”). È lei, spinta da un'apparente improvvisa follia, ad abbandonare ogni giorno marito e figlia per raggiungere la prigione di Hansung e incontrare lo sconosciuto carcerato Jang Jin (Chang Chen, “La Tigre e il dragone” e “2046”), condannato a morte dopo aver sterminato la famiglia e reso muto da un tentativo di suicidio. A ogni nuovo incontro, Yeon incolla sulle pareti della stanza dove si incontrano immagini luminose di una diversa stagione, si veste di conseguenza e intona motivetti popolari in tema. E, ogni volta, fra i due cresce il livello d'intimità e aumenta il desiderio passionale, mentre vengono osservati in video dal capo delta sicurezza (lo stesso regista), che sadicamente interrompe l'incontro nel momento più caldo. Anche se non tutto funziona al meglio (il simbolo del regista/demiurgo è fin troppo prevedibile, la storia parallela del compagno di cella innamorato geloso di Jin abbastanza superflua), ancora una volta Kim Ki-duk, alternando come sempre violenza e tenerezza, riesce a trasformare una storia in fondo banale - alla fine scopriremo che quella di Yeon è solo una vendetta sentimentale sul marito fedifrago - in qualcosa di unico. Regalandoci la preziosa sensazione che la vita possa ancora essere qualcosa di magico e di misterioso.
Stefano Lusardi, Ciak


KIM KI-DUK
Filmografia:
The isle (2000), Indirizzo sconosciuto (2001), Primavera, estate, autunno, inverno... e ancora primavera (2003), Ferro 3 - La casa vuota Esmeralda Calabria, Andrea D’Ambrosio e Giuseppe Ruggiero  (2004), La samaritana (2004), L'arco (2005), Time (2006), Soffio - Breath (2007)


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Commenti al Post:
anonimo10_1
anonimo10_1 il 25/09/09 alle 21:05 via WEB
davvero interessante questo blog e splendido il film di Kim Ki Duk, tra i migliori registi e sceneggiatori in circolazione... di recente ho visto tutti i suoi film, molto originali, molto ben interpretati e molto emozionanti... il mio preferito è l'Arco... ma tutti e 15 meritano di essere visti... spero esca presto qualcosa di nuovo... lo attendo con ansia...
 
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Un blog di: cineforumborgo
Data di creazione: 29/09/2007
 

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