CINEFORUM BORGOI film, i personaggi e i commenti della stagione 2019/2020 |
Messaggi di Aprile 2015
Post n°231 pubblicato il 20 Aprile 2015 da cineforumborgo
LA SEDIA DELLA FELICITÀ
Regia: Carlo Mazzacurati
Quando Carlo Mazzacurati (scomparso il 22 gennaio scorso a 58 anni) ha girato questo film, l'estate scorsa, probabilmente sapeva che sarebbe stato il suo ultimo. La malattia che poi l'ha condannato aveva già dato segnali inequivocabili, nonostante la tenacia e il coraggio con cui il regista padovano l'aveva contrastata e la dedica «a Emilia e Marina» (cioè alla moglie e alla figlia) sono un'ulteriore prova della sua consapevolezza. Eppure “La sedia della felicità” ha poco del ‘film testamentario’, se non il fatto che ripercorre una serie di temi centrali nella sua carriera di regista (ma proprio per questo non certo nuovi). Piuttosto, possiede una leggerezza e una delicatezza, autoironiche e vagamente malinconiche, che conquistano e affascinano, e si rivelano come la vera, preziosa ‘eredità’ che ha voluto lasciarci. Soprattutto rispetto a un cinema italiano che oggi appare spesso o troppo vacuo o troppo pretenzioso. Non è così per questo film che recupera lo spunto del romanzo russo “Le dodici sedie” di Il'ja Il'f e Evgenij Petrov (già portato al cinema da Nicolas Gessner e Mel Brooks) e lo declina all'interno di quella provincia veneta che da sempre ha accompagnato la sua carriera cinematografica. Lo ammetteva volentieri anche lo stesso regista di sentirsi spaesato al di fuori di quel mondo e di quella cultura. E non è un caso che dopo un inizio ‘romano’ abbia - caso abbastanza unico in Italia - abbandonato la capitale del cinema per tornare a stabilirsi nella sua Padova (così come è significativo che il suo film più sincero e per alcuni versi più riuscito, “Un'altra vita”, racconti lo smarrimento di un non-eroe proprio di fronte alla scoperta del lato oscuro di Roma). Qui la provincia diventa una specie di atteggiamento mentale, un modo di vivere e di comportarsi che non ha bisogno delle tradizionali carrellate sulla campagna devastata dai capannoni industriali o sulle cartoline ricordo di angoli folcloristici. Si fa fatica a ritrovare Jesolo, da cui muovono i due protagonisti del film, o riconoscere i diversi luoghi delle loro peregrinazioni: la ‘provincia’ di questo film è quella che stuzzica gli antropologi, quella dei modi di comportarsi, delle reazioni spesso fantasiose (e sempre divertenti) che ti mettono all'improvviso di fronte a un mondo che non avresti immaginato. (…...) Il romanzo e le versioni cinematografiche precedenti giocavano molto del loro interesse sulle complicazioni della trama e della ricerca. Mazzacurati e i suoi cosceneggiatori, Doriana Leondeff e Marco Pettenello, puntano invece tutto sulle caratterizzazioni dei vari personaggi, specchi di un mondo ‘marginale’ e ‘provinciale’ (…...) ma anche campioni di un'umanità sorprendentemente surreale, come i gemelli affidati a un doppio Antonio Albanese o i teleimbonitori Silvio Orlando e Fabrizio Bentivoglio (piccoli, esilaranti camei di attori che avevano interpretato in passato i film di Mazzacurati). Ne esce un viaggio che è solo apparentemente una ricerca del Graal con sfumature gialle; in realtà è il ritratto di un mondo che dietro le stranezze e le ridicolaggini mostra la faccia malinconica e umanissima di un'Italia dimenticata o relegata ai margini e che, però, possiede una sua dolcezza e una sua tenerezza pur nella stranezza e nell'incongruenza. Mazzacurati, attraverso la fotografia di Luca Bigazzi e la fiducia del produttore Angelo Barbagallo, filma ogni situazione con la comprensione ‘renoiriana’ di chi sa che tutti hanno le loro ragioni. E lo fa con una leggerezza di tocco contagiosa e soprattutto fiduciosa nelle persone. Ottenendo di regalarci una commedia che per simpatia e originalità esce finalmente fuori dai ‘soliti’ schemi, e insieme ci lascia il ritratto di un mondo dove - come fanno i due protagonisti - si può vivere senza abdicare al proprio ottimismo e alla propria generosità.
Termina con il sorriso aperto e chiaro di Bruna (Isabella Ragonese) e Dino (Valerio Mastandrea), “La sedia della felicità”. «Per una volta ho voluto girare un film che mi piacesse anche come spettatore», aveva detto Carlo Mazzacurati qualche mese prima della morte, avvenuta il 22 gennaio scorso. E aveva inteso: un film che non mescolasse tristezza e ironia, ma fosse per intero una commedia. D'altra parte, aveva aggiunto, per far ridere occorre partire da una catastrofe. Quale catastrofe sta dunque sullo sfondo della strana storia di un'estetista e di un tatuatore che se ne vanno in giro per il Veneto alla ricerca d'una sedia imbottita di gioielli, come facevano nella Russia degli anni Venti i protagonisti di “Il mistero delle dodici sedie” (Mel Brooks, 1970)? Giunti al Lido di Jesolo da chissà dove - la parlata ne indica l'estraneità al cosiddetto Nordest - l'una e l'altro sentono la crisi, come si dice. Dino ha da pensare all'assegno che gli tocca versare alla ex moglie, e Bruna combatte con tale Volpato (Natalino Balasso), un fornitore dai modi spicci e poco rispettoso del codice, sia civile sia penale. Quando i tempi sono grami, i più furbi vincono, appunto. E i furbi pullulano, lungo la strada di Bruna e Dino, a cominciare da Padre Weiner (Giuseppe Battiston), un grosso prete losco che come loro rincorre la sedia misteriosa, con la sua felicità. Chiuso a fatica nella sterminata tonaca nera, da niente si lascia fermare, tanto meno dal rispetto che si dovrebbe alle cassette per le elemosine. Se il sorriso di “La sedia della felicità” viene da una catastrofe, a questa catastrofe appartiene anche l'infingardaggine di Padre Weiner, insieme con quelle dei molti altri personaggi: ristoratori che campano sul lavoro nero, pescivendoli razzisti, maghi gabbamondo (Raul Cremona). Sarebbe potuto esser tragico, questo film, proprio come nel 2007 è stato “La giusta distanza”. Invece, a partire dalla catastrofe e dal suo realismo, il racconto ha il coraggio di scegliere la strada della leggerezza e del paradosso. Quando li lasciamo, Bruna e Dino si sono affrancati dalla pianura e camminano verso una vetta, nell'aria trasparente e lieve delle Alpi. Con sé hanno il loro tesoro, e una felicità che non stava (solo) nascosta in una sedia. Quanto a Padre Weiner, accade talvolta che preti e orsi si innamorino, e che volentieri si perdano insieme nei boschi. Così ha immaginato nel suo ultimo film Carlo Mazzacurati, sorridendo.
CARLO MAZZACURATI
Arrivederci a martedì 5 maggio!
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Post n°230 pubblicato il 14 Aprile 2015 da cineforumborgo
IN ORDINE DI SPARIZIONE Titolo originale: Kraftidioten (……) Protagonista della pellicola è un convincente Stellan Skarsgard nei panni di un piccolo imprenditore svedese immigrato in Norvegia che, dopo aver vinto il premio per il Cittadino dell'Anno per il suo impegno a favore della comunità in cui vive, apprende che il figlio è morto per overdose. Ben presto Nils Dickman (tra il significato inglese del cognome e il titolo originale del film - “Kraftidioten” - gli indizi che i personaggi del film non abbiano tutte le rotelle a posto si sprecano) scopre che in realtà il ragazzo è stato ucciso da una banda di spacciatori capitanati dal Conte, giovane magnate dell'industria dolciaria che, in realtà, gestisce un lucroso giro di droga. Dickman comincia a eliminare uno dopo l'altro gli scagnozzi del Conte scatenando una guerra tra quest'ultimo e i criminali serbi, a loro volta guidati dall'anziano padrino Papa Bruno Ganz, ingiustamente sospettati dei delitti. I serbi, che si spartiscono il mercato dello spaccio con i norvegesi, non la prendono bene. La sete di vendetta di Dickman dà vita a una reazione a catena incontrollabile. (……) Ci sono moltissimi elementi interessanti in questo noir su sfondo innevato che viene dal profondo Nord dove ormai sembrano allignare tutti i gialli che si rispettino. E non si tratta solo di ambientazione. Ci sono magnifiche pennellate come la considerazione legata al welfare in relazione al clima. Il welfare c'è se fa freddo e non esiste nei paesi caldi. Quindi si impone una scelta: o il sole o lo stato assistenziale. E già siamo di fronte a un punto di vista eccentrico e intrigante, come quello che ricorda come alcuni banditi incarcerati (in Norvegia, si intende) ne abbiano approfittato per farsi curare dal dentista visto che, oltre ai contributi previdenziali, i carcerati hanno anche buone cure odontoiatriche. Altro aspetto singolare sono le due bande malavitose. Quella del conte è composta da un branco di nevrotici con uno psicopatico al comando, quella di Papa, il serbo, è improntata alla tradizione, ai valori famigliari e di sangue, e la faccenda riguarda anche l'habitat: villa trendy e high tech quella del conte, un hangar old fashion con mobili d'epoca quello di Papa. Poi ci sono gli attori: Stellan Skarsgård offre un convincente ritratto di Nils (...), mentre Bruno Ganz si trova a suo agio nel cesellare il vecchio Papa che sembra uscito da altri tempi, e in coppia fanno sembrare totalmente inappropriato Pål Sverre Hagen che tratteggia la figura del conte come una macchietta. Poi ci sono quei cartelli mortiferi che coniugano ogni religione, l'ironia soffusa anche sui campi da sci e i brividi diffusi che rendono il film godibilissimo. HANS PETTER MOLAND Martedì 21 aprile 2015:
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Inviato da: PaceyIV
il 25/02/2020 alle 13:33
Inviato da: Recreation
il 08/02/2018 alle 13:37
Inviato da: minarossi82
il 11/11/2016 alle 18:03
Inviato da: generazioneottanta
il 16/07/2016 alle 19:27
Inviato da: generazioneottanta
il 20/03/2016 alle 10:30