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Messaggi di Gennaio 2016

 
 

Cineforum 2015/2016 | 2 febbraio 2016

Post n°261 pubblicato il 28 Gennaio 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

SI ALZA IL VENTO

Titolo originale: Kaze tachinu
Regia
: Hayao Miyazaki
Soggetto
: Tatsuo Hori (romanzo)
Musiche
: Joe Hisaishi
Montaggio
: Takeshi Seyama
Produzione
: Toshio Suzuki, Geoffrey Wexler per Studio Ghibli/KDDI Corporation
Distribuzione
: Lucky Red
Durata
: 126'
Origine
: Giappone, 2013

Il film è ispirato alla vita di Jiro Horikoshi, l'uomo che progettò gli aerei da combattimento giapponesi durante la Seconda Guerra Mondiale. Fin da piccolo, suggestionato dall'ingegnere aeronautico italiano Gianni Caproni, Jiro fantastica di diventare un pilota e di costruire aeroplani. Quando il suo sogno di volare è reso irrealizzabile dalla miopia, Jiro ce la mette tutta per entrare a far parte di una delle maggiori industrie meccaniche giapponesi, finché il suo genio non lo aiuta ad affermarsi come uno dei più promettenti ingegneri aeronautici al mondo. Sullo sfondo dei grandi eventi della storia giapponese del primo novecento, mentre le sue innovazioni rivoluzionano il mondo dell'aviazione, la vita di Jiro è arricchita dall'amore per Nahoko e dall'amicizia con il collega Honjo. Una storia di formazione dalle cadenze epiche, in cui l'amore, le scelte e le capacità personali si intrecciano alla necessità di dover venire a patti con un mondo che muta.
Una notte di nebbia, un volo liberatorio che squarcia le nuvole scure, un sogno presto infranto da uno sguardo fuori fuoco. Bastano quattro minuti di incipit per capire quanto è grande “Si alza il vento”. Una micro lezione di cinema in cui Miyazaki, con il solo ausilio della partitura di Joe Hisaishi, introduce suggestivamente Jiro Horikoshi: un bambino che vuole a tutti i costi volare, ma che è trattenuto a terra dalla miopia e da un paio di ingombranti occhiali. A venirgli in soccorso è il suo eroe, il celeberrimo progettista aeronautico italiano Giovanni Battista Caproni, che in sogno lo sprona a intraprendere quello che in pochi sono riusciti a fare, a essere creatore e non strumento: costruire una bellissima macchina per volare.
Jiro attraversa da protagonista 20 anni di storia giapponese. È l’armoniosa ed esatta pace di un uomo di talento che si dedica anima e corpo a quello che è nato per fare; ed è, al contempo, la cacofonia stridente e contraddittoria di un genio alle prese con la realtà. Che Jiro tratta come una succursale del suo mondo onirico, come un luogo in cui dare vita materiale ai sogni che lo accompagnano sin da bambino. Ma nel mondo vero c’è il terremoto del 1923 che stermina più di 100 mila persone e brucia una Tokyo di legno, uscita troppo recentemente da un’epoca antica; c’è la tubercolosi che affligge l’unico amore della sua vita; ci sono la fame e la miseria, la caccia ai dissidenti dell’impero e dell’alleato nazista. E soprattutto c’è la guerra, che con crudele ironia tutta umana trasforma il lavoro di una vita di Jiro, votato unicamente alla bellezza e all’armonia, in una macchina di morte e distruzione, il famigerato cacciabombardiere Zero. Il testamento artistico di Miyazaki, che per la sesta e (pare) ultima volta ha annunciato il suo ritiro, è la catarsi irrisolta, autobiografica e trasudante umanità di un pacifista che ammira la bellezza degli aerei da guerra, di un privilegiato che, al contrario di quasi tutti i suoi concittadini, non ha vissuto gli stenti della guerra. Ed è il culmine di una riflessione cinematografica che per la prima volta si apre alla Storia e accoglie la lezione di altri maestri, da Ozu a Kurosawa, da Mikio Naruse a Isao Takahata. “Si alza il vento” è il modo più doloroso per dire addio a un genio che sceglie la pensione; ma, come insegna il film, «dobbiamo provare a vivere».
Nicola Cupperi, FilmTv

I film di Miyazaki vanno guardati entrandoci dentro. Bisogna togliersi le scarpe e avventurarsi a piedi nudi nel suo mondo, fatto di nuvole, paesaggi acquarellati, personaggi dai tratti infantili, con quelle smorfie buffe e i capelli che levitano leggeri sull’onda di un’emozione. Succede anche in un film come “Si alza il vento” (“Kaze Tachinu”), che in parte lascia disorientati per chi è abituato a vedere in lui il cantore dell’immaginazione libera e della meraviglia bambina. Stavolta il maestro dell’animazione giapponese sembra troppo preoccupato di spiegare chi è il suo protagonista, Jiro Horikoshi, progettista di aerei, e la sua storia vera. Sembra totalmente preso dal compito di introdurci nel mondo ermetico dei costruttori di aeroplani (con dovizia di dettagli, disegni, dialoghi didascalici), tradendo l’idea che ci siamo fatti del suo cinema, un esercizio di magia e poesia che trasfigura il mondo, che ce lo fa vedere come appare agli occhi di un bambino (non importa se ancora piccolo o già adulto). Eppure il mondo di Miyazaki è lì, in tutta la sua bellezza sussurrata, nella sua compresenza di sogno e realtà, è il mondo là fuori che si ostina a contrapporli. Anzi, c’è un protagonista che assomiglia proprio a Miyazaki, con la sua ossessione per il volo, la passione per le macchine e la meccanica, l’ostinata volontà di trasformare i sogni in realtà (attraverso i disegni). Un gioco-sogno infantile che però si realizza in un aereo di guerra (il Mitsubishi Zero) le cui gesta sono tristemente note.
C'è chi ha rimproverato al regista giapponese di aver eliminato il contesto, bypassato la storia, limitandosi a risolvere il dilemma morale (ma c’è un dilemma?) in un ‘non volevamo questo’. Ma non era quello lo scopo del racconto. Vediamo la distruzione, conosciamo l’equivoco fatale, sappiamo come la tragica realtà finisca per usare e devastare i sogni, ma in questo film-testamento Miyazaki, attraverso la storia di Horikoshi, sembra in realtà voler raccontare la fatica e la bellezza del suo lavoro, la comprensenza di tecnica e visione, il cammino tortuoso che porta un sognatore a creare qualcosa capace di volare (di esistere là fuori).
Kaze Tachinu” sta tutto nella mente del protagonista, nel suo sogno ad occhi aperti, e in quella storia d’amore melò (una ragazza incontrata durante il terremoto del 1923 e ritrovata quando era malata di tubercolosi) in cui Miyazaki dispiega il suo magnifico repertorio con la consueta commovente (libera) semplicità. Gli effetti sonori sono sostituiti dalle voci, come si fa nei giochi dei bambini. L’amore tra il progettista e la ragazza si dispiega visivamente e metaforicamente in un gioco con un aereo di carta, nelle sue traiettorie imprevedibili, in quegli slanci (del corpo, del cuore) che rischiano ogni volta di farti precipitare. Ma «quando il vento si alza, bisogna provare a vivere», correndo il rischio di sbagliare o di perdere ciò che ami di più al mondo.
A volte succede con i film di Miyazaki, e in questo caso (un cartoon ‘adulto’) accade certamente: guardandolo rimani come sospeso, indeciso, poi ti cresce dentro, come se un pezzo di quel mondo (che è solo di Miyazaki, perché la sua arte non ha eguali) ti fosse rimasto addosso.
Fabrizio Tassi, Cineforum

HAYAO MIYAZAKI
Filmografia:

Lupin III - Il castello di Cagliostro
(1979), Nausicaä della valle del vento (1984), Laputa - Castello nel cielo (1986), Il mio vicino Totoro (1988), Kiki consegne a domicilio (1989), Porco Rosso (1992), On your mark (1995), Principessa Mononoke (1997), La città incantata (2001), Il castello errante di Howl (2004), I racconti di Terramare (2006), Ponyo sulla scogliera (2008), Si alza il vento (2013)

Martedì 9 febbraio 2016:
LA FAMIGLIA BÉLIER
di Eric Lartigau, con Karin Viard, François Damiens, Éric Elmosnino, Louane Emera, Roxane Duran

 

 
 
 
 
 

Cineforum 2015/2016 | 26 gennaio 2016

Post n°259 pubblicato il 21 Gennaio 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

SELMA - LA STRADA PER LA LIBERTA’

Titolo originale: Selma
Regia
: Ava DuVernay
Sceneggiatura
: Paul Webb
Fotografia
: Bradford Young
Musiche
: John Legend; la canzone "Glory" è di John Legend e Common.
Montaggio
: Spencer Averick
Scenografia
: Mark Friedberg
Arredamento
: Elizabeth Keenan
Costumi
: Ruth E. Carter
Effetti
: Susan MacLeod, Dottie Starling
Interpreti
: David Oyelowo (Martin Luther King Jr.), Tom Wilkinson (Presidente Lyndon B. Johnson), Cuba Gooding Jr. (Fred Gray), Alessandro Nivola (John Doar), Carmen Ejogo (Coretta Scott King), Lorraine Toussaint (Amelia Boynton), Tim Roth (Governatore George Wallace), Oprah Winfrey (Annie Lee Cooper) Tessa Thompson (Diane Nash), Giovanni Ribisi (Lee C. White), Common (James Bevel), Colman Domingo (Reverendo Ralph Abernathy) Martin Sheen (Frank Minis Johnson), Dylan Baker (J. Edgar Hoover), Wendell Pierce (Reverendo Hosea Williams), Niecy Nash (Richie Jean Jackson), Lakeith Lee Stanfield (Jimmie Lee Jackson), André Holland (Andrew Young), Jeremy Strong (James Reeb), Stephan James (John Lewis) Ruben Santiago-Hudson (Bayard Rustin), Omar J. Dorsey (James Orange), Corey Reynolds (CT Vivian) Nigel Thatch (Malcolm X), E. Roger Mitchell (Reverendo Frederick Reese), Thom McGlon (Sceriffo Posseman), David Silverman (II) (Anthony Liuzzo), Michael Shikany (Arcivescovo Iakovos), Kyle McMahon (Senatore John J. Williams) Ledisi Young (Mahalia Jackson), Trai Byers (James Forman), Kent Faulcon (Dott. Sullivan Jackson)), John Lavelle (Roy Reed), Elizabeth Wells Berkes (Marie Reeb), Tara Ochs (Viola Liuzzo), Stan Houston (Sceriffo Jim Clark), Charity Jordan (Viola Lee)
Produzione
: Oprah Winfrey, Jeremy Kleiner, Christian Colson, Dede Gardner per Cloud Eight Films/Celador Films/Harpo Films/Pathé/Plan B Entertainment
Distribuzione
: Notorious Pictures
Durata
: 127'
Origine
: Gran Bretagna, 2014
Golden Globe 2015 per la miglior canzone originale ("Glory"); Oscar 2015 per la miglior canzone originale ("Glory").

Nella primavera del 1965 una serie di eventi drammatici cambiò per sempre la rotta dell'America e il concetto moderno di diritti civili: un gruppo di coraggiosi manifestanti, guidati dal Dr. Martin Luther King Jr., per tre volte tentò di portare a termine una marcia pacifica in Alabama, da Selma a Montgomery, con l'obiettivo di ottenere l'imprescindibile diritto umano al voto. Gli scontri scioccanti e la trionfante marcia finale portarono infine il Presidente Lyndon B. Johnson a firmare, il 6 agosto di quell'anno, lo storico Voting Rights Act.
Dopo “Malcolm X” (Spike Lee, 1992) e “Medgar Evers” (“Ghost of Mississipi” di Rob Reiner, 1965), Hollywood recupera un’altra figura centrale nel movimento dei diritti degli afroamericani, Martin Luther King, probabilmente il più carismatico dei tre.
Selma” non è solo il primo biopic dedicato, ma anche uno dei rarissimi casi in cui il genere non scivola sulla buccia di banana dell’agiografia. MLK resta un meraviglioso fuoriclasse della parola e delle libertà, ma la santità è altra cosa, pizzicato com’è sulle virtù domestiche (amava la moglie, ma non disprezzava le altre donne) e sull’opportunismo politico. Se a questo aggiungiamo la performance tirata e penetrante di David Oyelowo, ecco che abbiamo un ritratto vivo, credibile e assai empatico di King. Ma “Selma” non si ferma a lui.
Il punto di forza del film di Ava DuVernay è la sua potenza centrifuga, la tensione del discorso verso i bordi, in un moto a diaframma che va dal singolo all’insieme, dall’eroe al duellante (il Lyndon Johnson chiaroscurale di Tom Wilkinson), dal protagonista all’antagonista (l’odioso George Wallace, il governatore razzista interpretato da Tim Roth), dal leader agli accoliti (tra gli altri Oprah Winfrey nel ruolo di Annie Lee Coper), dal personaggio pubblico all’uomo privato (fondamentale in questo senso il taglio proto-femminista e l’importanza riconosciuta alla moglie Corette).
La progressione a metronomo, figlia di un preciso timing interno e di un corrispondente dinamismo figurativo (prezioso il lavoro alla fotografia di Bradford Young, potente la musica), sintonizza il film sulla ritmica della marcia - quella del ’65, da Selma a Montgomery, senza ritorno: pochi mesi dopo il Congresso avrebbe approvato il Voting Rights Act che consentiva a tutti i cittadini di votare, al netto del colore della pelle - e cattura la corrente della Storia, quella dei singoli e dei popoli, di ieri e - drammaticamente - di oggi. Movimento impetuoso, appassionante, trascinante, chi può chiamarsi fuori? La storia siamo noi. “Selma” ce lo ricorda.
Gianluca Arnone, Cinematografo.it

«Selma è una voce, la voce di un grande leader, la voce di una comunità», dice Ava DuVernay del suo “Selma: la strada della libertà”. Di chi è la voce? Del leader? Della comunità? O la voce del leader è essa stessa la voce della comunità? Scritta da Paul Webb, l'opera seconda della regista quarantaduenne torna ai fatti che, nella primavera del 1965, portano al Voting Rights Act, con cui Lyndon B. Johnson proibisce ogni discriminazione razziale nelle leggi elettorali dei singoli Stati. Dopo lunghe esitazioni, il presidente degli Usa è stato indotto al provvedimento dallo sdegno degli americani che, in televisione, hanno visto la polizia infierire sui manifestanti in marcia da Selma a Montgomery, in Alabama. A guidarli fisicamente non c'è ancora Martin Luther King, che è già il loro leader. I fatti di quel 7 marzo, una domenica, sono il risultato di una sua scelta consapevole: sfidare il razzismo profondo e il segregazionismo della piccola città di Selma, provocarne la reazione e poi rispondere solo con una resistenza nonviolenta. Raccontando il suo King (David Oyelowo), DuVernay sceglie di intrecciarne la strategia e la vicenda privata, la prospettiva politica e le paure - la moglie e i figli vengono di continuo minacciati di morte -, la forza etica e la debolezza umana. È un capo, il premio Nobel per la pace, ma è anche un uomo, con i timori di ogni uomo. Sa tener testa a Johnson (Tom Wilkinson), sa opporsi al governatore George Wallace (Tim Roth), ma non sempre sa ascoltare chi, tra i militanti, non ne condivide le scelte. Decide di esporre i suoi alla violenza, ma più d'una volta dubita di averne il diritto. Insomma, la sua voce non è sicura e netta come vuole la mitologia del capopopolo e del leader. Ed è qui, alla fine, la sua grandezza. Emerge limpida l'11 marzo, questa grandezza. Una seconda volta in marcia da Selma a Montgomery, una folla di uomini e di donne si trova di nuovo la strada sbarrata dalla polizia, pronta a caricare. Alla testa del corteo ora c'è King. L'occhio televisivo degli americani gli sta addosso. Dunque, converrebbe proseguire, lucrando poi i vantaggi di altro sangue. Ma il capo si ferma, e ferma il corteo. Tra la causa e le vite dei suoi, la sua responsabilità decide per le vite. Da lì a due settimane la marcia ripartirà. Ora, però, King sceglie il silenzio, e in quel silenzio la sua voce incontra la voce del suo popolo.
Roberto Escobar, L’Espresso

AVA DuVERNAY
Filmografia:
The Door (2013), Selma - La strada per la libertà (2014)

Martedì 2 febbraio 2016:
SI ALZA IL VENTO di Hayao Miyazaki

 

 
 
 
 
 
 
 

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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