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Messaggi di Ottobre 2016

Cineforum 2016/2017 | 25 ottobre 2016

Foto di cineforumborgo

IL CASO SPOTLIGHT

Titolo originale: Spotlight
Regia: Thomas McCarthy
Sceneggiatura: Josh Singer, Thomas McCarthy
Fotografia: Masanobu Takayanagi
Musiche: Howard Shore
Montaggio: Tom McArdle
Scenografia: Stephen Carter (Stephen H. Carter)
Arredamento: Shane Vieau
Costumi: Wendy Chuck
Effetti: SPIN VFX
Interpreti: Mark Ruffalo (Michael Rezendes) Michael Keaton (Walter "Robby" Robinson), Rachel McAdams (Sacha Pfeiffer), Liev Schreiber (Marty Baron), John Slattery (Ben Bradlee Jr)., Brian d'Arcy James (Matt Carroll), Stanley Tucci (Mitchell Garabedian), Jamey Sheridan (Jim Sullivan), Billy Crudup (Eric MacLeish), Len Cariou (Cardinale Law), Paul Guilfoyle (Peter Conley), Lana Antonova (Veronica), Neal Huff (Phil Saviano), Michael Cyril Creighton (Joe Crowley), Patty Ross (Linda Hunt), Stefanie Drummond (Sheila), Elena Wohl (Barbara Robinson), Jami Tennille (Elaine Carroll), Laurie Heineman (giudice Constance Sweeney), Doug Murray (Peter Canellos), Laurie Murdoch (Wilson Rogers), Darrin Baker (Padre Dominick), Duane Murray (Hans Pfeiffer), Robert Clarke (giudice Volterra), Jimmy LeBlanc (Patrick McSorley), Maureen Keiller (Eileen McNamara), David Fraser (Jon Albano), Brian Chamberlain (Paul Burke), Gene Amoroso (Steve Kurkjian), Richard O'Rourke (Padre Ronald Paquin), Gary Galone (Jack Dunn)
Produzione: Byle Pagon Faust, Steve Golin, Nicole Rocklin Michael Sugar per Rocklin/Faust / Anonymous Content
Distribuzione: BIM
Durata: 128'
Origine: U.S.A., 2015

Basato su fatti realmente accaduti è la storia del team di reporter del ‘Boston Globe’, noti con il nome di ‘Spotlight’, che ha portato alla luce un'inquietante verità: la complicità della Chiesa locale negli abusi sui minori. Da questa inchiesta è nato un caso di portata mondiale. Nell'estate del 2001, il giornalista Marty Baron arriva da Miami per prendere incarico come direttore del quotidiano ‘Globe’ e per prima cosa incarica il team Spotlight di indagare sul caso di un sacerdote locale, accusato di aver abusato sessualmente di decine di giovani parrocchiani nel corso di 30 anni. (……)  Nonostante la ferma resistenza dei funzionari religiosi, tra cui il Cardinale Law di Boston, nel gennaio 2002 il ‘Globe’ decide di pubblicare l'inchiesta, aprendo la strada per ulteriori rivelazioni, anche a livello internazionale.
2001. Al Boston Globe l'équipe di giornalisti investigativi chiamata Spotlight, perché deputata a far luce sui casi difficili, si è un po' adagiata nella routine quotidiana quando da Miami arriva un nuovo direttore editoriale, Marty Baron, deciso a indagare su un caso di pedofilia. Un prete cattolico, padre John Geoghan, ha abusato di un gran numero di ragazzini della parrocchia e l'autorevolissimo cardinale Law, pur se al corrente, ha messo il silenziatore alla cosa. Walter "Robby" Robinson, Mike Rezendes e Sacha Pfeiffer si mettono al lavoro, trovano testimoni tra le vittime degli abusi, raccolgono dati e documenti; mentre, intorno a loro, crescono l'omertà e l'ostilità di una Boston che vorrebbe tenere ben inchiodato il coperchio sui propri sepolcri imbiancati. A forza di ostinazione, Rezendes convince a collaborare Mitchell Garabedian, l'avvocato delle parti lese. Quello che sembrava un singolo caso si allarga a macchia d'olio: vi risultano coinvolti prima tredici sacerdoti, poi un'ottantina. Fino a una terribile evidenza: la pratica degli abusi sessuali su minori è sistemica, quanto accuratamente celata dalla Chiesa cattolica. Malgrado tutti gli ostacoli, inclusa la tragedia dell'11 settembre che mette temporaneamente in pausa il caso, il Boston Globe pubblicherà il primo di una serie di articoli epocali. Versione per lo schermo di un'inchiesta che ricevette il Pulitzer, “Il caso Spotlight” è un film che andrebbe mostrato nelle scuole di giornalismo. Di regola, il cinema ha fatto dei reporter o degli eroi, oppure dei bastardi da prendere con le molle; mai, o quasi (con la parziale eccezione di “Tutti gli uomini del Presidente”), ci ha mostrato come debba svolgersi un'inchiesta giornalistica. Lo fa qui. I reporter bussano alle porte delle vittime, esaminano ponderosi dossier negli archivi e nelle biblioteche, stanno costantemente attaccati al telefono. Perché è in questo che consiste il giornalismo investigativo: accendere il riflettore sulle zone d'ombra, ‘unire i punti’ in apparenza dispersi per far venire fuori la figura intera. Il film lo chiarisce molto bene quando fa ammettere a Robinson, con il dovuto rammarico, che alcuni dati per aprire il caso erano arrivati al giornale già anni prima, ma nessuno - allora - aveva avuto le antenne giuste per coglierlo. Però “Spotlight” ha anche altri meriti. Se pure si astiene dalla retorica del giornalista eroico che fa trionfare la giustizia contro tutto e contro tutti, non per questo è privo di emozioni, di ritmo o di efficacia drammatica. Al contrario. Tom McCarthy lo mette in scena come un suspenser, se non addirittura come un thriller; tanto da farci appassionare a una vicenda di cui conosciamo già in partenza la fine, innescando l'empatia dello spettatore e dandogli la sensazione di far parte, anche lui, del gruppo investigativo. È perfino banale affermare che, a questo risultato, contribuisce in maniera determinante un cast d'eccellenza: Michael Keaton, Mark Ruffalo e Rachel McAdams (gli ultimi due candidati all'Oscar come migliori attori non protagonisti), un autorevole Liev Schreiber. (……)
Roberto Nepoti, Repubblica

Lo schema narrativo è quello solito già ampiamente praticato a Hollywood a partire da “Tutti gli uomini del Presidente” nel ‘70 sul Watergate e il ‘Washington Post’, con i giornalisti intraprendenti e pieni di iniziative, il loro direttore che, arrivato da poco al ‘Boston Globe’, li incita e li sprona incoraggiando quanti in mezzo a loro si sentono a disagio all'idea di mettersi contro la Chiesa notoriamente molto potente a Boston e subito pronta a mettere in campo, per difendere il proprio operato, avvocati di fama e tribunali. Un canovaccio che via via si dipana, sostando con abilità su quei tanti personaggi, in redazione e in strada, fra ecclesiastici e laici, e finendo per farci un quadro convincente di tutta la situazione, sia quella vista e vissuta dal gruppo dei giornalisti investigativi, denominati, come enuncia il titolo originale, “Spotlight”, sia quella dei loro avversari sconfitti da un finale che, dopo le rivelazioni giornalistiche, vedrà le tante vittime fino a quel momento impaurite e silenziose, prender la parola e rivelare le sofferenze patite. Da lodare tutti gli interpreti (...). Tutti molto autentici e sinceri.
Gian Luigi Rondi, Il Tempo

THOMAS MCCARTHY
Filmografia:
Station Agent (2003), L'ospite inatteso (2007), Mosse vincenti (2011), Mr Cobbler e la bottega magica (2014), Il caso Spotlight (2015)

Martedì 8 novembre 2016:
TUTTO PUO’ ACCADERE A BROADWAY di Peter Bogdanovich, con Owen Wilson, Imogen Poots, Kathryn Hahn, Rhys Ifans, Jennifer Aniston

 
 
 

Cineforum 2016/2017 | 18 ottobre 2016

Post n°296 pubblicato il 13 Ottobre 2016 da cineforumborgo
 
Foto di cineforumborgo

LOVE & MERCY

Regia: Bill Pohlad
Sceneggiatura: Oren Moverman, Michael Alan Lerner
Fotografia: Robert D. Yeoman
Musiche: Atticus Ross - La canzone “One Kind of Love” (di B. Wilson e Scott Bennett) è interpretata da Brian Wilson.
Montaggio: Dino Jonsäter
Scenografia: Keith P. Cunningham
Arredamento: Maggie Martin
Costumi: Danny Glicker
Effetti: Anthony Simonaitis
Interpreti: John Cusack (Brian Wilson), Paul Dano (Brian Wilson giovane), Elizabeth Banks (Melinda Ledbetter), Paul Giamatti (dott. Eugene Landy), Jake Abel (Mike Love), Kenny Wormald (Dennis Wilson), Brett Davern (Carl Wilson), Graham Rogers (Al Jardine), Bill Camp (Murry Wilson), Joanna Going (Audree Wilson), Dee Wallace-Stone (Rosemary), Max Schneider (Van Dyke Parks), Erin Darke (Marilyn Wilson), Jonathan Slavin (Phil Spector), Diana-Maria Riva (Gloria), Dylan Kenin (Rob), Johnny Sneed (Hal Blaine), Erik Eidem (Doug), Tonja Kahlens (Brenda), Carolyn Stotesbery (Sarah), Morgan Phillips (Evan), Jeff Meacham (Tony Asher), Teresa Cowles (Carol Kaye), Mark Linett (Chuck Britz), Gretchen Duerksen (Diane Rovell)
Produzione: Bill Pohlad, Claire Rudnick Polstein, John Wells per John Wells Productions/River Road Entertainment
Distribuzione: Adler Entertainment
Durata: 120’
Origine: U.S.A., 2014

La vita di Brian Wilson, celebre leader dei Beach Boys: dai successi con la band californiana - in cui lui era cantante e autore - che ha ridefinito la musica pop americana degli anni Sessanta, al devastante esaurimento nervoso che portò all'abbandono di Wilson del gruppo e all'incontro con il controverso terapista Eugene Landy. Percorrendo più di trenta anni della vita di Wilson, il film rivela il lato più oscuro e più complesso della storia che giace dietro la felice apparenza di una musica spensierata e baciata dal sole, inclusa la battaglia di Wilson contro la malattia mentale e gli abusi di droga, i suoi anni sotto l'influenza del terapista Eugene Landy e la relazione redentiva con Melinda Ledbetter, il tutto incorniciato nel contesto della sua impareggiabile vita da musicista.
Un giovane è seduto al pianoforte in una stanza buia: l’aria assorta ma a suo modo nervosa, impaziente. Aspira da una sigaretta e borbotta qualche frase sulla ricerca di una quadratura armonica per la musica che sta componendo. Sembra incerto, quasi consumato da un’ansia inespressa. Lo schermo va a nero, la musica e i suoni rimbombano, quasi a imitare l’effetto di voci che esplodono in testa in un cupo crescendo. Poi i colori invadono lo schermo all’unisono con la solare armonia di “Surfin’ USA”, uno dei maggiori successi dei Beach Boys degli anni Sessanta, quando il gruppo californiano portava sulle spalle il mito di un’America fondata su allegria e spensieratezza. Ma l’allegria e la spensieratezza non facevano parte del carattere del loro leader, Brian Wilson, un genio del pop contemporaneo schiacciato tra fragilità mentale e incapacità di adattarsi alla figura pubblica che il mondo - membri della band, produttori, amici interessati, mogli e fidanzate - voleva cucirgli addosso. Sin dalla prima scena “Love & Mercy”, diretto da Bill Pohlad, produttore da Oscar qui alla seconda regia, si configura come un’indagine su una personalità scissa: da una parte il Wilson cantante, spinto dalla sua cerchia più intima a consolidare il successo rimanendo fedele alla formula compositiva che gli aveva regalato soldi e gloria, dall’altra il musicista introverso con aspirazioni alla perfezione, personalità castrata da un padre feroce, mente creativa con tendenze schizofreniche, disinteressato alla fama e alla gratificazione della folla - già nel 1965, in seguito a un attacco di panico in aereo, aveva rinunciato a concerti e tour per rintanarsi in uno studio di registrazione - in nome della ricerca in punta di cesello di una musica che avrebbe potuto scacciare i suoi demoni.
Il film di Pohlad, per descrivere una personalità duplice, si sdoppia anch’esso rompendo la linearità temporale e raccontando la crisi creativa di un musicista al suo apice e la depressione ormai conclamata che, vent’anni più tardi, ha consegnato Wilson a un’esistenza dettata dalle leggi di uno psicoterapeuta intrusivo e manipolatore, che sostituiva ogni contatto umano con generose dosi di farmaci, con un occhio alla sofferenza del suo paziente e l’altro al suo patrimonio. La scissione tra passato e presente è amplificata nella messa in scena di Pohlad dall’utilizzo di due diversi attori che interpretano Wilson nelle differenti fasi della vita: Paul Dano è la star del pop in sempre maggiore (auto)isolamento, John Cusack è il disilluso vecchio cantante che si crede ormai sconfitto dai propri fantasmi.
Il film, che attraverso un ritmo irregolare (in alcuni momenti quasi in levare) scardina il fluire canonico comune a molti biopic, coglie in due momenti particolari la chiave interpretativa del suo protagonista; una scelta di catalizzazione emotiva e drammaturgica che ricorda, pur senza la stessa radicalità narrativa e metaforica, lo Steve Jobs di Sorkin/Boyle. La parte affidata al volenteroso e languido Cusack si srotola seguendo stilemi piuttosto convenzionali, con dolciastri toni mélo, sulla possibile redenzione di un’anima affranta attraverso il potere taumaturgico dell’amore - qui una rivenditrice d’auto con il sorriso contagioso di Elizabeth Banks - che si ribella alle perfidie dominanti imposte dal terapeuta con smanie di potere e paternalismo soffocante (Paul Giamatti, prevedibile nel suo essere luciferino). La ricostruzione della crisi di Wilson al culmine del successo e improvvisamente sull’orlo del precipizio esistenziale trova invece in Dano un interprete delicato e sofferente.
Il dono migliore di “Love & Mercy” risiede però nella capacità di raccontare, più che il Wilson pubblico e pieno di ritrosie degli anni Sessanta o quello titubante e fragile di vent’anni dopo, il travaglio emotivo della creazione artistica, l’assillo totalizzante di chi ha bisogno di realizzare le proprie idee compositive fino all’ultimo dettaglio, alla scoperta ossessiva di suoni e strumenti nuovi. Le scene girate all’interno degli studi di registrazione durante le sessioni di “Pet Sounds” - uno dei dischi più misteriosamente belli della storia del pop - colgono con precisione la normalità quotidiana e le estenuanti ripetizioni che sono alla base della ricerca di una perfezione espressiva; la smania di realizzazione, attraverso una musica stratificata e lucente, di un suono capace di esprimere quella gioia che la vita spesso nega; le ansie e le aspirazioni di un artista che solo attraverso la musica è riuscito a gettare un ponte sul baratro della propria infelicità.
Federico Pedroni, Cineforum

BILL POHLAD
Filmografia:
Old explorers (1990), Love & Mercy (2014)

Martedì 25 ottobre 2016:
IL CASO SPOTLIGHT di Thomas McCarthy, con Mark Ruffalo, Michael Keaton, Rachel McAdams, Liev Schreiber, Stanley Tucci

 
 
 

Cineforum 2016/2017 | 11 ottobre 2016 (Benritrovati!)

Foto di cineforumborgo

PERFETTI SCONOSCIUTI

Regia: Paolo Genovese
Soggetto: Paolo Genovese
Sceneggiatura: Filippo Bologna, Paolo Costella, Paolo Genovese, Paola Mammini, Rolando Ravello
Fotografia: Fabrizio Lucci
Musiche: Maurizio Filardo - La canzone “Perfetti sconosciuti” (di F. Mannoia, Bungaro, Cesare Chiodo) è interpretata da Fiorella Mannoia.
Montaggio: Consuelo Catucci
Scenografia: Chiara Balducci
Costumi: Grazia Materia, Camilla Giuliani
Suono: Umberto Montesanti
Interpreti: Giuseppe Battiston (Peppe), Anna Foglietta (Carlotta), Marco Giallini (Rocco), Edoardo Leo (Cosimo), Valerio Mastandrea (Lele), Alba Rohrwacher (Bianca), Kasia Smutniak (Eva), Benedetta Porcaroli
Produzione: Marco Belardi per Medusa Film/Lotus Production, in collaborazione con Mediaset Premium
Distribuzione: Medusa
Durata: 97'
Origine: Italia, 2016
David di Donatello 2016 per miglior film e sceneggiatura; Globo d'Oro 2016 come migliore commedia; Nastri d'Argento 2016 per miglior commedia, canzone originale e cast.

Ognuno di noi ha tre vite: una pubblica, una privata e una segreta. Un tempo quella segreta era ben protetta nell'archivio della nostra memoria, oggi nelle nostre sim. Cosa succederebbe se quella minuscola schedina si mettesse a parlare? Quattro coppie di amici si confronteranno su temi come amicizia, amore e tradimento per poi scoprire di essere dei "perfetti sconosciuti".
Sembra lontano il tempo in cui Paolo Genovese esordì al cinema con “Incantesimo napoletano”. Era il 2001 e lui era in coppia con Luca Miniero. E la storia (un figlio napoletano che si esprimeva con accento milanese) denotava da subito quella originalità espressa ancora con Miniero e poi, a partire dal 2010, da solo con una serie di commedie tutte di crescente successo (“Immaturi”, “Immaturi-Il viaggio”, “Una famiglia perfetta”, “Tutta colpa di Freud”).
Ed ora ecco questo “Perfetti sconosciuti” dove Rocco, chirurgo plastico, ed Eva, psichiatra, invitano a casa alcuni amici per vivere insieme la notte dell’eclisse di luna. Arrivano anche Bianca e Cosimo, Lele e Carlotta, e infine Peppe, da solo perché, dice, la sua nuova compagna non si sente troppo bene. Ad un certo punto della cena, la conversazione si ferma sui cellulari, sulla loro capacità di diventare i custodi di segreti inconfessabili. Parte allora il gioco di invitare tutti i presenti a posare i telefoni aperti sulla tavola, aspettando al buio eventuali chiamate…
I nuovi dispositivi telefonici sono ormai in grado di accogliere tutti gli aspetti più imprevedibili della nostra vita quotidiana. Sono memoria, archivio, agenda, posta, conversazione. Dopo quella pubblica e quella privata - dice Genovese - sono diventati la nostra vita segreta. Quella che non vogliamo far sapere e della quale ci accorgiamo però sempre troppo tardi. Il ‘non detto’ che diventa il ‘tutto in piazza’ è al centro del copione scritto da Genovese con alcuni collaboratori e da lui diretto con la consueta scioltezza narrativa.
L’unità di luogo e di tempo rafforza il taglio di una dialettica serrata e incalzante, e opportunamente il copione si allarga a coinvolgere non solo argomenti di coppia e affettivi ma anche di lavoro, professionali, realistici. Ne emerge uno spaccato di forte modernità, a definire con esattezza la finta ‘libertà’ nella quale abbiamo tutti l’illusione di essere coinvolti. Mentre è esattamente il contrario. Tra equivoci, sorprese, colpi di scena, il racconto procede con crescente disappunto dei protagonisti, affidati ad un gruppo di attori che si muove e dialoga in bella e stringente sintonia (Giallini, Mastandrea, Leo, Battiston, Foglietta, Rorhwacher, Smutniak). Film dunque piacevole, non privo di qualche passaggio un po’ compiaciuto, e tuttavia, nell’insieme, di esatta attualità.
Massimo Giraldi, Cinematografo

Quella che avrebbe dovuto essere una simpatica cena tra sette amici sotto il cielo stellato di Roma si trasforma in un cattivo gioco al massacro. La colpa? Eva, psicanalista e padrona di casa, lancia una proposta/provocazione che vorrebbe essere arguta: «dite che non abbiamo segreti da nascondere? Ebbene fuori i telefonini e per tutta la serata messaggi e telefonate saranno sentite da tutti!». Gli sventurati, sfidati, accettano. Dall’imbarazzante al meschino, al drammatico: non se ne salverà uno.
Certo la mente corre subito a quel francese, “Cena tra amici” (2012), tradotto alla trasteverina con ottimi risultati da Francesca Archibugi con “Il nome del figlio” (2014). Ma non è solo una variazione sul tema. Oltre al pretesto giocoso del ‘chi-veramente-può-dire-di-conoscere-chi?’, ecco una commedia con forti iniezioni di acidità, sostenuta dal bell’amalgama dei protagonisti (davvero: gli attori quarantenni di oggi sono tra il meglio che il nostro cinema abbia espresso da decenni, professionali e versatili rendono credibile ogni spunto). Marco Giallini è il sardonico chirurgo plastico frustrato padrone di casa, Kasia Smutniak la nevrotica consorte in lite con la figlia adolescente Benedetta Porcaroli; Edoardo Leo fa al momento il tassista, superficiale, assatanato e attualmente fidanzatissimo con Alba Rohrwacher veterinaria romantica e con le antenne sempre tese; Valerio Mastandrea - semplicemente formidabile nel suo lavorare nei tempi comici con battute dissacranti e poi passare a toni più torvi - è da forse troppi anni impigrito nel matrimonio con Anna Foglietta, a sua volta dedita tanto ai figli quanto a qualche bicchierino di troppo; infine Giuseppe Battiston, professore di ginnastica appena licenziato che dovrebbe in teoria presentare la sua nuova fidanzata ma si presenta da solo. Paolo Genovese (“La banda dei Babbi Natale”, “Immaturi”, “Una famiglia perfetta”) sostiene di aver tratto l’idea da una frase di Gabriel Garcia Marquez («Ognuno di noi ha una vita pubblica, una privata e una segreta»), dosa con bel polso situazioni e rivelazioni e se (opinione personalissima) non avesse tirato fuori nel finale dal cilindro una soluzione che suona un po’ troppo da tradizione narrativa-teatrale, avrebbe certamente firmato la commedia amara della stagione. Comunque va benone anche così.
Massimo Lastrucci, Ciak

PAOLO GENOVESE
Filmografia:
Piccole cose di valore non quantificabile (1999), Incantesimo napoletano (2001), Coppia (2002), Nessun messaggio in segreteria (2005), Viaggio in Italia - Una favola vera (2007), Questa notte è ancora nostra (2007), Immaturi (2010), La banda dei Babbi Natale (2010), Immaturi - Il viaggio (2012), Una famiglia perfetta (2012), Tutta colpa di Freud (2013), Sei mai stata sulla luna? (2015), Perfetti sconosciuti (2016)

Martedì 18 ottobre 2016:
LOVE & MERCY di Bill Pohlad, con John Cusak, Paul Dano, Elizabeth Banks, Paul Giamatti, Jake Abel

 
 
 
 
 

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Data di creazione: 29/09/2007
 

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