CINEFORUM BORGOI film, i personaggi e i commenti della stagione 2019/2020 |
Messaggi di Dicembre 2016
Post n°304 pubblicato il 19 Dicembre 2016 da cineforumborgo
LO CHIAMAVANO JEEG ROBOT Regia: Gabriele Mainetti Enzo Ceccotti entra in contatto con una sostanza radioattiva. A causa di un incidente scopre di avere una forza sovraumana. Ombroso, introverso e chiuso in sé stesso, Enzo accoglie il dono dei nuovi poteri come una benedizione per la sua carriera di delinquente. Tutto cambia quando incontra Alessia, convinta che lui sia l'eroe del famoso cartone animato giapponese Jeeg Robot d'acciaio. Dell'uomo qualunque investito da superpoteri è piena la storia dei fumetti, ma questa versione tutta italiana, grottesca e disincantata, girata con budget ridotto (ma non si vede) sembra la più vera di tutte. Anche qui, colpa e redenzione fanno parte del percorso del protagonista, ma senza quei tratti un po' snob, da occhio schiacciato alla critica, che li rendono indigesti al grande pubblico. Il meccanismo, nella sua semplicità, funziona alla meraviglia. Una lezione di cinema che dimostra come non servano grandi mezzi per realizzare ottimi film. Occorrono coraggio, idee e persone capaci di realizzarle. GABRIELE MAINETTI Ci rivedremo: Buone Feste!
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Post n°303 pubblicato il 12 Dicembre 2016 da cineforumborgo
LA PAZZA GIOIA
Regia: Paolo Virzì
Beatrice Morandini Valdirana è una chiacchierona istrionica, sedicente contessa e a suo dire in intimità coi potenti della Terra. Donatella Morelli è una giovane donna tatuata, fragile e silenziosa, che custodisce un doloroso segreto. Sono tutte e due ospiti di una comunità terapeutica per donne con disturbi mentali, entrambe classificate come socialmente pericolose. La loro imprevedibile amicizia porterà a una fuga strampalata e toccante, alla ricerca di un po' di felicità in quel manicomio a cielo aperto che è il mondo dei sani.
(……) Il film vive con tranquillità il suo essere costantemente scisso tra contraddizioni e divisioni nette. E’ commedia on the road e melodramma puro (…….). Persino tra le due protagoniste, l’eccessiva e irrefrenabile Valeria Bruni Tedeschi, sempre sopra le righe, e una Micaela Ramazzotti impostata sul dolore, la sottrazione e la mortificazione della propria bellezza, si riconosce questa polarizzazione. Virzì, dunque, con una confezione ultra-colorata che guarda al cinema francese, desidera raccontare una storia che si muova tra la folle gioia e il lancinante dolore delle sue due donne, sempre in balia di alti e di bassi, di up e di down. Il film è quindi una pura manifestazione di tutte le direttrici e di tutti i meccanismi del cinema di Virzì. La sua encomiabile capacità di raccontare sentimenti assoluti, emozioni nitide, sono punti di forza oggettivamente efficaci nel colpire al cuore il pubblico (le lacrime si sprecheranno nel pubblico per il finale). Purtroppo, il regista, pellicola dopo pellicola, trasforma la sua poetica in un manierismo gentile/comico che, eccetto il lavoro (riuscito?) de “Il capitale umano”, riconferma la formula base su cui sono costruite tutti i suoi lavori. Il personaggio estremo della Bruni Tedeschi, ad esempio, almeno nella sua superficie, nasce come una satira stanca di certa borghese di destra che porta il film a deragliare, schiacciato dalla sua magnifica presenza.
PAOLO VIRZI’
Martedì 20 dicembre 2016:
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Post n°302 pubblicato il 01 Dicembre 2016 da cineforumborgo
DHEEPAN - UNA NUOVA VITA
Titolo originale: Dheepan
Dheepan fugge dallo Sri Lanka e dalla guerra. Viene accolto in Francia come rifugiato politico insieme a una donna e a una bambina che lui spaccia per la sua famiglia. Inizia a lavorare come portiere in uno stabile residenziale nella periferia di Parigi e ha un solo desiderio: avere una vita normale. L'apparente tranquillità viene disturbata da un gruppo di spacciatori di droga che dettano legge nella zona. Dheepan si trova davanti a un bivio e la scelta non è semplice.
(……) Ora, se si crede che un film coincida semplicemente col suo soggetto, i detrattori di quello di Jacques Audiard, ossessionati dall’ideologia del politically correct, potrebbero anche avere ragione. Non è così, naturalmente. Il regista francese non mette affatto in scena un dramma sociale per poi appiccicargli un finale da cinema di genere alla Golan&Globus: porta invece la storia alle sue estreme conseguenze, evitando sia le ovvietà socio-demografiche dei film ‘socialmente impegnati’, sia la tirata reazionaria sui pregi della violenza autogestita. I tipi come lui si contano sulla punta delle dita: quelli capaci di sposare cinema d’autore (con un punto di vista e uno stile precisi) e spettacolo popolare, rivolgendosi al pubblico nella sua totalità senza prendere lo spettatore per un idiota beato o volergli imporre una lezione di sociologia per principianti. Certo, “Dheepan” è un film costruito in maniera insolita, articolando un finale violento intorno a una bella storia d’amore e alternando brani di realismo con altri di un lirismo struggente (che ricorda un altro bel titolo controverso di Audiard, “Un sapore di ruggine e ossa”). Non mancano neppure le scene oniriche, nel sogno ricorrente dell’ex-soldato che allude alle sue origini: un elefante, simbolo di saggezza cui l’uomo si appella inconsciamente. Soprattutto, però, “Dheepan” è un film raccontato benissimo; una parabola di redenzione il cui protagonista reagisce a un’aggressione che è sì fisica, ma che minaccia soprattutto il suo sogno di una vita diversa. E c’è una bella differenza tra la storia di un vigilante urbano e quella di una famiglia finta che vuol diventare vera. Vedere per giudicare.
JACQUES AUDIARD
Martedì 13 dicembre 2016:
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Inviato da: PaceyIV
il 25/02/2020 alle 13:33
Inviato da: Recreation
il 08/02/2018 alle 13:37
Inviato da: minarossi82
il 11/11/2016 alle 18:03
Inviato da: generazioneottanta
il 16/07/2016 alle 19:27
Inviato da: generazioneottanta
il 20/03/2016 alle 10:30