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QUANDO È MODA È MODA non ho molti abiti: non mi occorrono ne li agogno. non possiedo nemmeno una armadio, figuriamoci. forme adeguate a manichini che nulla hanno d'umano, di naturale e di realmente gradevole. o magari anche si, che ne so. fatto sta che la maggior parte delle genti per strada è ben diversa dai manichini, nonostante tutti gli strenui sforzi che fanno per assomigliarvi. ma poi perchè assomigliarci tutti, perchè? ma la gente, quella reale dico, ma come fa? l'ossessione per l'omologazione, la spersonalizzazione, appartenere ad un branco. non importa che sia un branco di cretini, l'importante è appartenere a qualcosa che pensi per noi, che scelga per noi, che ci tolga la responsabilità della personalità. il mondo è bello perchè è vario diceva un vetusto proverbio. bene, con dedizione e perseveranza ci si impegna ad imbruttirlo cancellandone la varietà, a partire dalla nostra bellezza fisica ed espandendoci alle varietà di flora e fauna, agli usi e costumi delle popolazioni e via dicendo. lo so, dovrei riprendere a cucire, a farmi i maglioni da sola: fare shopping, come molte altre attività che contemplino il contatto diretto con l'idiozia dilagante mi mette di superfluo malumore. e qui mi giunge in soccorso e conforto il buon vecchio Gaber (che è più vivo lui da morto di molti morti che camminano in questo momento sulla terra) che sa dire molto di più e meglio di me tutto questo
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qui si va a narrare di una donna e di di come le capitò di innamorarsi di se stessa. (se considerate particolarmente noiosi i cazzi degli altri potete anche passar oltre) "di dentro ero un giardino dalle bizzarre geometrie e dai colori vivi. mi divertivo a curare quello strano miscuglio e tronfia lo esibivo vantandomene oltre il limite del comune buon gusto. infagottata e infelice un giorno una mia cara amica mi disse ' tu non sei grassa, sei tanta e tosta. fossi un uomo mi ti farei dalla mattina alla sera. io sono magra ma molliccia, mi detesto'. però io avrei ucciso pur di esser come lei. quella sera tornando a casa scartabellai le decine di libri d'arte sparsi qua e là per la casa e mi resi conto di esser un prodotto di nicchia. fuori moda. fuori tempo. fuori mercato. m'avvilii. passarono anni e il mio giardino di dentro cresceva allegro e selvaggio mentre il mio corpo languiva nascosto. eccomi lì, il mio di fuori era uguale al mio di dentro, non c'era nessun antagonismo. avevo creduto a quelli che ti dicono che devi essere alla moda. per tutta la vita li avevo sfanculati riguardo al mio di dentro e contemporaneamente avevo creduto loro per quel che riguardava il mio di fuori. folgorata dalla mia stupidità ridimensionai persino per qualche tempo l'alta opinione intellettuale che avevo di me. forse sarete curiosi di sapere come sono. ve lo dico come sono, e ve lo dico con le parole di una innamorata, le mie. che altro? mi diverte curare questo strano miscuglio e tronfia lo esibisco (vantandomene) oltre il limite del comune buon gusto. perchè? perchè la vanità non è un reato, e la leggerezza non è superficialità."
siamo stati creati tutti perfetti, dai più storti ai più strani. chi vi dice il contrario vuole vendevi cianfrusaglie.
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La mattina è insolitamente fredda, un fastidioso vento soffia dal versante montuoso a nord. La leggera pioggia acida manda a puttane tutto il tempo speso davanti allo specchio a mettere in piega i suoi ribelli capelli giallo-cenere. Certe mattine sussurrano all’orecchio il disegno dell’intera giornata a venire. Basterebbe fermarsi soltanto un attimo e stare ad ascoltare. Fermarsi un attimo e guardarsi intorno, ma Czidonya Pelz, vice sindaco, è tutta presa dai suoi pensieri e non si accorgerebbe neppure di un camion sulla sua traiettoria mentre attraversa sulle strisce pedonali. Il suo cervello (tutto rapito dalle sue domande), risponde al mondo esterno soltanto seguendo gli stimoli elementari. Il verde vuol dire:avanti, e lei prosegue. Il rosso: arrestarsi; ma dentro il flusso dei suoi pensieri non può essere fermato in nessuna maniera. E’ una sua vecchia abitudine quella di parcheggiare abbastanza lontano dal palazzo dove svolge il suo effettivo lavoro. Le piace passeggiare al mattino, smuovere le membra ed il cervello. Ed il suo lavoro, quando non riveste i panni di vice sindaco, è quello di Direttore del Programma Prometeo. Tutto il lavoro della sua vita confluisce in Prometeo. Tanto che qualcuno giura di averla sentita riferirsi alla grande Macchina con la parola: Piccolo. E in una qualche maniera, non ci sarebbe neppure da sorprendersi, il progetto Prometeo è realmente e quasi interamente un suo parto e prima di lei di quello di tre generazioni di membri della sua famiglia. Prometeo il cervello elettronico cui sono collegati tutti i central brain di Empire city. Prometeo, quasi un regalo dal cielo. Capace di controllare, computare ed elaborare soluzioni per far sì che la città viva i suoi giorni nella migliore maniera possibile. Ed è proprio all’interno del Prometeo Building che muove i suoi passi la donna, seguendo la striscia blu disegnata sul pavimento di lastre bianche. Striscia luminosa che indica le direzioni da seguire per raggiungere ognuno il proprio ufficio, o quello che si intende trovare. Ma Czidonya non ha bisogno di nessuna striscia, mentre assorta si guarda la punta delle scarpe, un passo dopo l’altro, mentre i suo bassi tacchi la conducono ticchettando all’ultimo piano, nella stanza del Piccolo. Quando la porta a scorrimento le è scivolata alle spalle Prometeo scandita la figura della donna parla con il suo timbro freddo e pacato.
- Ben venuta Dottoressa, è un piacere vederla. Vuole che le mostri la registrazione montata degli accadimenti più salienti del giorno? - Sì, grazie Prom.
Le immagini corrono su tre dimensioni nell’intera stanza dalle mura dipinte di un freddo e distaccato bianco. La donna immersa nelle immagini non presta però loro nessun interesse. Si lascia cadere su una sedia ergonomica ma molto spartana, anch’essa bianca. Le immagini dopo alcuni minuti cessano. Regna il silenzio per interminabili istanti. Le macchine non percepiscono l’attesa, lo scorrere del tempo non ha nessuna importanza. Il tempo è solo una invenzione dell’uomo, ed è un concetto decisamente relativo. Il tempo per Prometeo esiste solo quando gli viene ordinato di misurarlo. Czidonya non glielo ha ordinato, e restano così ancora a lungo.
- Prom… - Sì, dottoressa? - Ricordi quale è lo scopo del tuo lavoro? - Sì, la priorità di Prometeo è quella di vegliare su questa città, trovare le soluzioni più ottimali perché la vita delle persone che vi abitano sia la migliore possibile. - Prom… - Dottoressa? - Trovi che il nostro operato sia stato il migliore possibile? - Dottoressa, i miei calcoli sono stati controllati e ricontrollati centinaia di volte, e hanno dato le probabilità di successo del 98%, tuttavia… - …tuttavia? - Tuttavia, dottoressa, non sono stati presi in considerazione. La donna si morde il labbro, sa bene a cosa voglia alludere la macchina, anche se essa non può essere a conoscenza del fatto che il complotto è nato proprio dalla sua progettista. Si porta le dita alle labbra e avrebbe la tentazione di mangiarsi le unghie. Poi si ricompone.
- Cosa consigli a questo punto piccolo mio? - …le sue dimissioni, dottoressa.
Restano così nel silenzio a lungo senza dire niente altro. Per molto tempo, tanto il tempo non esiste, le macchine lo sanno.
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sarà stato il 2002 o il 2003... net- (copia e incolla di un pezzo di dialogo in cui una tipa troppo scema dice delle cagate immani a net che la fa parlare prendendola troppo per il culo) lucialucertola- vado |
Post n°133 pubblicato il 22 Aprile 2010 da g1000ker
E' tanto che aspetto. Ho visto una tua immagine da qualche parte, ne sono sicuro. Deve essere stato quando i sogni brillavano per tutto il tempo, ed erano giorno anche di notte. E' tanto che ti aspetto, e a volte s'incunea la paura che tu sia già stata qui, forse in punta di piedi, ed io forse non ti ho riconosciuta. Forse dormivo. E' tanto che aspetto, e mi sorprende il fatto che, soltanto di questa attesa, non sono mai stanco. Perché intorno a questa ruota, le cose e le persone passano, e le lancette del tempo mi trappassano da parte e parte, lasciandomi ferite che guariscono troppo in fretta ormai. Desideri che sono capricci, che a loro volta sono come bolle di sapone che esplodono a contatto con il mio tocco. Distruggo tutto, non appena mi è accessibile. E non provo più niente. Non sento più niente. E' troppo che aspetto, ed è soltanto te che voglio. Per tutti gli altri ho un grazie e mille scuse.
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Inviato da: g1000ker
il 29/12/2015 alle 16:45
Inviato da: pa_mi
il 31/10/2015 alle 20:09
Inviato da: SolidGuitar
il 29/01/2012 alle 04:32
Inviato da: LucyLizard
il 14/08/2011 alle 20:21
Inviato da: g1000ker
il 28/05/2011 alle 03:11