Creato da stellacadente_18 il 18/10/2007
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« Che stanchezza! | Storia d'Amore » |
Come le canzoni, i sapori sono fantasmi che si aggirano nelle pieghe buie della nostra coscienza.
Tenevo sempre con me, in borsa, un astuccio di mon chèri.
Mia nonna ne andava ghiotta. Il calore sprigionato dalla ciliegina imbevuta di liquore e rivestita di cioccolato la rianimava - così affermava - e le faceva venir voglia di ricordare qualche aneddoto, per lo più da me, già conosciuto.
Per anni ho continuato a comprarli. Mi consentivano di gustare, ancora ed ancora, la sua compagnia, di vedere la scintilla di vitalità in quegli occhi stanchi, stretti fra palpebre cadenti e golfie, di sentire il vigore con cui contrastava gli acciacchi dell’età, continui e irreversibili.
Di notte, nei miei sogni agitati, silenziosa e seria mi abbracciava. Mi svegliavo serena. La sua presenza mi consolava e fantasticavo che fosse ancora lì, come un fantasma, a vegliare su di me.
Poi, un brutto giorno, m’innamorai follemente di lui, dell’intrepido principe azzurro senza cavallo bianco, armato di spada e di scudo.
Nell’attesa dei suoi abbracci, la passione che mi avvolgeva era tale da sopire ogni altro interesse. Dimenticavo profumi, voci, doveri e godevo nel prepararmi per noi. Una cerimonia lenta e sensuale gradualmente accendeva la mia fantasia: l’acqua calda della doccia, il massaggio con la crema, la scelta della biancheria intima e dei vestiti.
Il pensiero delle sue mani esperte sul mio corpo morbido ed accogliente accelerava i battiti di un cuore irrazionale ed annebbiava una mente bugiarda, volontariamente ottusa.
Uno stato divino s’impossessava di me e godevo già allora, molto prima di abbandonarmi al tatto delle sue carezze ed alla mia ingordigia.
Tutto il mio essere era proteso all’incontro e niente avrebbe avuto senso, per me, se non dopo essermi nutrita di lui.
Avrei vissuto, camminato, lavorato, dormito, senza di lui, ma adesso avrei dovuto cibarmi di lui, farlo mio, essere sua.
L’apice dell’ebbrezza, scariche d'adrenalina pura, mi colpiva in auto, mentre gli correvo incontro, cantando e divorando mon chèri.
Le labbra lo baciavano, i denti lo mordevano, la lingua si perdeva in uno slalom insaziabile sul viso, lungo il collo, sul torace bianco, e giù fino a fermarsi avida.
Smisi di comprare mon chèri nel momento in cui non mi volle più e mi privai, pertanto, del conforto che traevo da essi.
Dimenticai il sapore pungente del brandy e della ciliegina, ma non passava volta che, in fila alle casse del supermercato, gli occhi non si posassero, impassibili, su quei piccoli astucci ordinati negli appositi raccoglitori. Il braccio impietrito non si stendeva, la mano gelida serrava il manico del carrello e, con un movimento impercettibile, giravo il volto per fuggire ai ricordi.
<< E’ solo una scatola di cioccolatini, perché tanta sorpresa?>>
Luca è il mio attuale compagno e tutto in lui è amore. Ogni suo gesto è dettato da sentimenti di sincero affetto ed indiscussa passione. E’ leale, simpatico, mai invadente.
La giovialità dei modi, il sorriso solare, l’abbraccio forte ed avvolgente partecipa la miriade d'emozioni che lo spingono a me.
E’ innamorato e, pertanto, cieco. La sua spontaneità tradisce la timidezza e l’imbarazzo che mostra porgendomi la scatola rettangolare: cinque cioccolatini avvolti nella stagnola rosa, su cui è stampata una ciliegia.
Non può sfuggirgli lo stupore gelido disegnato sul mio sguardo, come non può comprenderne il motivo.
Un sorriso forzato accompagna il mio braccio teso e la mano che afferra il piccolo involucro. Lo stringo nel pugno e faccio uno sforzo immenso per non far trapelare la tristezza che mi assale, che di lì a poco sarebbe diventata nostalgia, rimpianto.
Adesso siede accanto a me, per terra, sulla curva sinistra della conchiglia più bella d’Italia.
Non sembrano distrarci le comitive di turisti che inondano - ad intervalli regolari - la piazza, i bambini che corrono incontro ai piccioni, i venditori ambulanti, le coppiette d’innamorati di tutte le età. Una giovane donna, attraente e ben curata, è in posa. Non è una modella ed il fotografo potrebbe essere suo padre, dopo lo scatto l’uomo le và incontro e la bacia sulle labbra.
Luca allunga le gambe, posa la giacca e la borsa di fianco a sè e passa il braccio intorno alle mie spalle. Vorrebbe estirpare le radici di quella rabbia, ma è cauto e paziente. La sua mano si sofferma sulla mia guancia, la contiene, le nostre labbra si sfiorano e i suoi occhi, due lampi interrogativi, sprofondano nei miei, lucidi, inespressivi, muti.
Resto assente a rimuginare e a farmi del male, assecondo le sue attenzioni gentili e gradualmente le corrispondo.
Meccanicamente scarto uno di quei “cosi rossi” ne mordo un pezzetto svuotandolo di tutto il suo contenuto, per evitare di riversarlo sugli abiti, e la metà, vuota ed appiccicosa, la offro alla bocca socchiusa di Luca.
Gli regalo un sorriso e lascio che mi trascini nel suo sogno.
Mi faccio cullare e coccolare dal silenzio dell’amore nel frastuono di una piazza viva.
SC
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