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Oltre il punto vendita...

Post n°130 pubblicato il 27 Marzo 2009 da comunytation2.0

Una riflessione che abbraccia le grandi forme distributive organizzate e il piccolo dettaglio locale; una razionalizzazione delle novità di cui i primi sono portatori e degli stimoli per gli imprenditori che si adoperano in questa formula distributiva. Questo è l'approccio con cui voglio trattare il tema dell'assetto del punto vendita.

Il dettaglio oggi è oggetto di molti studi di marketing e da esso quindi trae tecniche e strumenti per svilupparsi al meglio. Senza la presuntuosa pretesa di riassumere la materia, voglio comunque cercare una sommaria generalizzazione dell'argomento. Proverò infatti a presentare alcune delle tecniche più innovative, cercando di trovare in esse un minimo comune denominatore.

Due sono i presupposti da cui partono i miei ragionamenti. Il primo: il commercio al dettaglio soprattutto se di piccole dimensioni e non strutturato in forme organizzate, vive un profondo periodo di difficoltà. Al di là dei singoli dati congiunturali, è una evidenza che il piccolo negozio patisca uno stato di sofferenza che rende sempre più lontani i tempi in cui un'attività di questo tipo era considerata una sicura fonte di guadagno.

In secondo luogo il comportamento d'acquisto dei consumatori appare in evoluzione seguendo una traiettoria che vede una sempre maggiore importanza conferita al momento, all'atto del comperare. Sto cercando di raccontarvi la dimensione ludica dello shopping ovvero la ricerca di esperienze d'acquisto entusiasmanti e coinvolgenti. Quando si vende si deve aver chiaro che oggi lo shopping è uno dei divertimenti, non a pagamento, più graditi dalle persone; i consumatori trovano piacevole vagare per gli spazi commerciali. Si compra non solo il prodotto, ma l'emozione che scaturisce dal suo acquisto.

In un quadro quindi di difficoltà e di cambiamento, si innestano tecniche innovative e spesso estreme.
A quest'ultima categoria, quasi per definizione, appartengono quegli esercizi di marketing non convenzionale denominati Guerrilla store. Si tratta di negozi temporanei che aprono all'improvviso con una fine imminente già preventivata. Un po' come il cambio di una collezione così questi PV chiudono per poi riaprire in altre location. Spesso gli spazi scelti vengono mantenuti nelle stesse precarie condizioni in cui sono trovati, con l'evidente tentativo di contenere al massimo i costi; nessuno spazio a forme di pubblicità, fede assoluta nel passaparola che scaturisce. Si vende la merce al minimo costo possibile e poi si chiude!

Riavvicinandoci al convenzionale e riprendendo una delle osservazioni poste a presupposto dei ragionamenti, inserisco le logiche tipiche del marketing emozionale. Il consumatore passa dall'essere considerato un mero operatore razionale, che paragona le differenti offerte secondo funzionalità e prezzi offerti, per divenire un più "romantico" consumatore emotivo che nella sua scelta d'acquisto cerca un piacere che va al di là della merce acquistata. In questa ottica la capacità del PV di interagire con tutti i sensi del suo fruitore appare fattore determinante; dal solo arredo si passa alla oculata scelta delle luci, dei colori, delle musiche, dei profumi e oggi sempre più spesso dei sapori.

Proseguo il mio ragionamento riportandovi un'altra delle terribili definizioni delle disciplina: visual merchandising. Si tratta della teatralizzazione del prodotto ovvero del processo della spettacolarizzazione della merce in cui il punto vendita diventa il palcoscenico ove viene messo in scena per il cliente ciò che si vende.
In questa logica appaiono molteplici le possibilità di un brand di comunicare attraverso diversi artifici architettonici i valori di cui è portatore. E' sempre più vero che con un PV così strutturato si acquisti la marca e gli attributi che si riescono a far rivivere nella location.

Chiudo la presentazione con un irrinunciabile riferimento ai concept store; anche in questo caso la materia non offre definizioni univoche. Mi limito a mutuarne un abbozzo dall'idea di concept di prodotto cioè una forma di sperimentazione. Il concept store è appunto un luogo di sperimentazione in cui si possono fondere stili, prodotti, ambientazioni e servizi che in altrove potrebbero risultare incompatibili.

Credo che in queste ultime osservazioni risieda il punto di contatto, il denominator comune che andavo ricercando: la capacità di innovare, di creare un punto vendita che veramente sia di appeal per il consumatore. La capacità di offrire una novità soddisfando il modo di concepire lo shopping da parte del consumatore. Il negozio temporaneo, la multi-sensorialità, il negozio teatro sono tutti tentativi di fornire novità al cliente. Ricordatevi che se create un negozio straordinario non dovrete spendere in comunicazione in quanto i clienti stessi ne parleranno e l'idea girerà autonomamente tra i diversi media.

Un punto vendita avrà successo se saprà andare oltre le normali regole e convenzioni con cui normalmente veniva progettato, risultando portatore di novità per il cliente.

Dott. Dario Ferrigato
Consulente in marketing strategico, Senior consultant di ADVBOUCLE & PARTNERS Consulenti marketing

 
 
 
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