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Creato da John.Ross.Mingotti il 09/10/2008

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Alla ricerca del Texas italiano

Post n°8 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da John.Ross.Mingotti
 

Il caso della Regione Abruzzo

Come possiamo permettere di distruggere una delle regioni più verdi e belle del nostro bel Paese attraverso un uso indiscriminato del territorio??
Come possiamo permettere all' Eni e alla Edison di perforare in tutta la regione senza valutare tutte le conseguenze economiche, ambientali e turistiche che ne deriverebbero??
Evidentemente in Italia tutto cio' è permesso.

Tratto dal dossier di Legambiente Italia

L’11 settembre 2001, giorno drammatico per il mondo, sembra aver segnato anche il futuro della
Regione verde d’Europa: presso il Ministero delle Attività Produttive infatti, la Regione Abruzzo ha
sottoscritto, in sordina ed in tutta fretta pur di evitare lo smantellamento del Distretto Agip di
Ortona (Ch), una intesa con l’Eni finalizzata ad un programma di impianti e di trivellazioni a scopi
petroliferi.
L’Abruzzo ha così dato avvio ad una stagione di investimenti nel campo minerario che rischia di
compromettere il sogno verde che da decenni la contraddistingue in Italia ed in Europa, l’Abruzzo
Regione dei Parchi.
La storia delle trivellazioni in Italia nasce, ironia della sorte, proprio in Abruzzo; è nel comune di
Tocco a Casauria (Pe) infatti, che fu perforato con successo nel 1863 il primo pozzo nazionale. Da
allora, il territorio regionale è stato da sempre sottoposto ad esplorazioni e perforazioni tanto che, ad
oggi, l’intera fascia litoranea e pedemontana, è interessata da concessioni di coltivazioni e
stoccaggio, permessi ed istanze di ricerca.
Ne consegue così che, l’Abruzzo, economicamente più forte, più innovativo e più densamente
abitato rischia di legare in maniera “imprudente” il proprio futuro alle sorti degli idrocarburi.
I dati storici testimoniano un forte interesse da parte di diverse compagnie petrolifere che nel corso
degli anni hanno realizzato circa 550 perforazioni a terra, le quali, seppur limitate nelle profondità
di esplorazione e concentrate in larga parte a cavallo degli anni ’50 e ’60, lasciavano e lasciano
intravedere un buon potenziale petrolifero: sono infatti ben 87 i pozzi risultati mineralizzati ad olio.
È stata così tracciata una nuova geografia, quella dei titoli minerari, purtroppo poco nota alla classe
dirigente regionale che, in tutte le sue programmazioni e pianificazioni, continua tuttora ad
affermare che il futuro dell’Abruzzo passa attraverso la valorizzazione dei territori, dell’agricoltura
e del turismo.
Mai infatti, sino ad oggi, si è parlato di una regione a vocazione petrolifera e tanto meno è stato
individuato un distretto minerario-energetico.
Di Abruzzo regione petrolifera si è dunque iniziato a parlare solo negli ultimi cinque anni, in
coincidenza delle perforazioni Eni che, estese a profondità prossime ai 5.000 metri, hanno
determinato la scoperta del giacimento di Miglianico (Ch), la cui potenzialità è stata stimata in
8.200 barili/giorno e le cui riserve sono state valutate in circa 31 milioni di barili di olio
equivalente. Una colonna di petrolio di circa 100 metri di buona qualità e di 34 gradi Api (American
Petroleum Institute).
È a seguito di questa scoperta che l’Eni, forte dell’assenso di massima rilasciato in maniera
“inconsapevole” dalla Regione l’11 settembre 2001, annuncia a gran voce un programma di
investimenti di oltre 130 milioni di euro e lancia così all’opinione pubblica abruzzese l’immagine di
una Val d’Agri in terra d’Abruzzo!
Va registrato comunque che, in precedenza, nella zona di mare antistante Ortona, era già stato
accertato all’interno del permesso off-shore Ombrina Mare, di titolarità della InterGasPiù, un
giacimento di olio con riserve valutate in 19,5 milioni di barili di olio equivalente.
La potenzialità petrolifera del territorio costiero si completa infine con la volontà della Edison,
titolare del permesso off-shore Rospo Mare, dove per la prima volta fu perforato un pozzo
orizzontale, di mettere in cantiere l’ampliamento del campo estrattivo al largo di Vasto (Ch), che
già ora conta una produzione di 6mila barili/giorno.
Oggi, da una lettura più attenta dei fatti, si può affermare che, nonostante i proclami e le
disposizioni regionali che miravano ad altri obiettivi, in Abruzzo era in atto, e lo è ancora, una vera
e propria strategia petrolifera. Inizialmente nota a pochi, essa comincia a collidere con le scelte
strategiche da tempo condivise e che hanno destinato importanti territori a parchi, puntato sullo
sviluppo dell’agricoltura e dei suoi prodotti, valorizzato il turismo costiero e montano e creato il
marchio di un Abruzzo a garanzia di genuinità e di rispetto del territorio e delle sue diversità.
È da questo punto di vista che va inquadrata la vertenza di Legambiente sul progetto di “Centrale di
trattamento idrocarburi liquidi e gassosi”, meglio noto come “Centro oli”, prevista dall’Eni ad
Ortona; una vertenza che supera i confini locali e che pone l’Abruzzo d’innanzi ad una scelta
cruciale che difficilmente potrà far coesistere le ragioni del petrolio con le ragioni di oltre mezzo
secolo di economia consolidata fatta di agricoltura e turismo, le sue vere vocazioni.
L’Eni, pur non avendo mai reso noto il proprio piano industriale, intende completare il suo ormai
chiaro disegno, attraverso la realizzazione di un Centro di primo trattamento olio proveniente dai
pozzi petroliferi denominati: Miglianico1, con capacità di produzione di 27,74 Sm3/ora (Standard
metrocubo/ora) di olio grezzo e di 4.717 Sm3/ora di gas naturale, e Miglianico2, con capacità di
produzione di 24,22 Sm3/ora di olio grezzo e di 4.958 Sm3/ora di gas naturale.
Il Centro oli che, attraverso processi di desolforazione produrrà greggio e gas naturale idonei alla
commercializzazione, avrà una potenzialità di 1.150 Sm3/giorno di olio stabilizzato, di 165.000
Sm3/giorno di gas e di 15 t/giorno di zolfo, e sarà collegato, per mezzo di gasdotto, alla rete
nazionale Snam e, per mezzo di oleodotto, al deposito olio costiero.
Il deposito costiero, sempre di proprietà Eni, recentemente ampliato ad una capacità di 79.500 m3 è,
a sua volta, collegato per mezzo di oleodotto, al terminale della banchina del vicino porto di Ortona,
attualmente in fase di ampliamento per un importo di lavori di oltre 60 milioni di euro.
L’industria del petrolio, complice una classe politica inadeguata e distratta, sta realizzando il suo
progetto che, mai valutato nella sua complessità, è stato trattato alla stregua di banali concessioni
edilizie, così come dimostrato dai contenuti dei pareri rilasciati dai vari enti preposti.
Le valutazioni di compatibilità ambientali, fatte singolarmente nel tempo sul porto, sul deposito
costiero, sui pozzi e sul centro oli, non hanno pertanto mai valutato appieno le ricadute complessive
del progetto, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico e
sociale.
È per questo motivo che il locale comitato, mosso inizialmente dalla sindrome nimby (not in my
back yard) per semplice opposizione alla realizzazione del Centro oli sul proprio territorio, ha
catalizzato attorno a sé le ragioni delle tante forze produttive, agricole e turistiche, che costituiscono
la spina dorsale dell’economia locale.
Una economia fondata su produzioni di qualità. Un’area che per bellezza del paesaggio collinare
marino è inserita nell’istituendo Parco Nazionale della Costa Teatina, nota come “Colline del
Montepulciano”, paragonabili alle colline toscane del Chianti, e produce il 70% della produzione
vitivinicola dell’Abruzzo, dando lavoro e ragione di vita ad oltre cinquemila aziende agricole. Non
è un caso che l’occupazione agricola delle colline teatine, al contrario della tendenza nazionale,
abbia avuto in questi ultimi anni un aumento in termini numerici, dimostrando una forte potenzialità
del settore. In Abruzzo più di un terzo del vino prodotto è a denominazione Doc e Docg, e in
provincia di Chieti, al momento l’area più strettamente interessata dall’affare petrolio, nel 2007 è
stato prodotto quasi l’80% della produzione totale regionale. Risulta quindi giustificata la rabbia
manifestata dalle cooperative agricole, dai Comuni delle Città del Vino, dall’Unione dei Comuni
della Costa dei Trabocchi e delle Colline Teatine e da tutte le associazioni di categoria agricole, che
hanno letto nelle analisi economiche contenute nel progetto Eni del Centro oli, un danno da parte
dell’insediamento a “totale carico dell’economia agricola locale”.
All’agricoltura occorre aggiungere il turismo balneare ed enogastronomico che ha fatto della qualità
territoriale l’elemento portante della propria offerta.
Territori di indubbia bellezza paesaggistica, sottoposti nel tempo a regimi di tutela naturalistica che
hanno determinato una rete di aree protette, nucleo fondante dell’Istituendo Parco Nazionale della
Costa Teatina, rischiano, in barba alle tante bandiere blu che ogni anno vengono attribuite ai
Comuni costieri, di essere “soffocati”, oltre che dalle attività di trattamento degli oli, anche dal
traffico di navi cisterne previste in movimento attorno al porto di Ortona.
Al di là di ogni altra valutazione relativa ai danni prodotti alla salute umana ed all’ambiente,
puntare sul petrolio resta una scelta politicamente ed economicamente sbagliata; è l’aspetto costi
benefici che non convince in quanto, la distruzione dell’attuale tessuto produttivo non sarà mai
compensato né a livello di occupazione né a livello di risultati economici, dall’industria petrolifera.
Alle valutazioni di carattere generale sull’economia locale, occorre aggiungere valutazioni di merito
sull’iter autorizzativo del Centro oli. Balzato all’attenzione dell’opinione pubblica soltanto durante
la campagna elettorale delle elezioni comunali di Ortona del maggio 2007, il Centro manifesta una
serie di dubbi che hanno portato enti locali, operatori economici, associazioni ambientaliste e privati
cittadini ad una serie di ricorsi amministrativi e di esposti giudiziari. Le argomentazioni sono forti:
la non corretta procedura di Valutazione di impatto ambientale, la violazione del Piano regionale
paesistico, la violazione delle norme urbanistiche regionali in tema di variazione di destinazione
d’uso di terreni agricoli, la violazione delle norme del Piano di assetto idrogeologico, l’illegittimità
dell’atto di variante dello strumento urbanistico del Comune di Ortona, la violazione della
normativa Seveso sugli impianti ad incidenti rilevanti, la violazione delle norme in materia di
emissioni in atmosfera, la non corretta procedura delle Conferenze di servizio, la non corretta
applicazione dei principi di partecipazione nei procedimenti amministrativi e la violazione delle
norme e dei principi in materia di pubblicità.
La superficialità e la leggerezza che ha contraddistinto la vicenda Eni in Abruzzo, regione
interessata per oltre 3.800 km2, all’incirca il 35% dell’intera superficie regionale, da vicende legate
al mondo degli idrocarburi, impongono per Legambiente la conoscenza dei piani industriali di tutte
le compagnie petrolifere. Esse stanno determinando, al di sopra di ogni programmazione e controllo
democratico, una trasformazione dell’Abruzzo costiero in distretto minerario attraverso una serie di
atti separati (titoli minerari, pozzi di estrazione, centro di trattamento, oleodotti, depositi e porti) che
non consentono una visione organica capace di garantire un futuro alla regione.
La trasparenza nel settore estrattivo, inserita nel dicembre del 2007 anche nell’agenda del Summit
del G8 di Berlino attraverso il rilancio della Extractive Industries Transparency Initiative (Eiti),
rappresenta per le major del petrolio la migliore forma di collaborazione e confronto con le
istituzioni e le comunità locali, unica via di sviluppo, di sostenibilità e di sicurezza.
Il giorno nero dell’11 settembre 2001 è coinciso per l’Abruzzo con l’avvio della corsa nostrana
all’oro nero: una competizione, a quanto pare, poco chiara, con pochi giocatori e nella totale
assenza di spettatori al seguito. Ma le popolazioni locali da protagoniste hanno già iniziato da tempo
la vera partita: una partita non giocata nelle stanze dei palazzi ma su un campo da gioco di oltre 10
mila km2, l’Abruzzo.

Molto altro ancora lo trovate nel file pdf di legambiente.

http://www.fonti-rinnovabili.it/attach/963_A_dossierPetrolio2008.pdf

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Commenti al Post:
to_revive
to_revive il 24/11/08 alle 13:50 via WEB
scusa ma vorrei fare la parte del diavolo: perchè firmate i contratti se poi vi lamentate di averlo fatto?
 
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