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Costruzioni/Soluzioni Eco Compatibili

Creato da John.Ross.Mingotti il 09/10/2008

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Costruire Ecologico si puo'...ma i costi???

Post n°11 pubblicato il 22 Ottobre 2008 da John.Ross.Mingotti
Foto di John.Ross.Mingotti

Vi riporto un esempio di edilizia sostenibile...
Un esempio importante per il risparmio energetico anche se secondo me è troppo innovativo e costoso per il periodo attuale...

La “RESIDENZA FONTANILE” nasce con l’intenzione progettuale predominante di dimostrare la
possibilità di condurre interventi abitativi con un corretto e sostenibile rapporto tra uomo e ambiente
e tra ambiente costruito e l’intorno ambientale.
L’integrazione tra verde pubblico e verde privato, la definizione di idonei percorsi interni pedonali e
spazi attrezzati per il gioco dei bambini, l’aver limitato la presenza in superficie dei veicoli nella
zona residenziale, la ricerca di un elevato comfort abitativo sono solo alcuni degli elementi
distintivi di questo villaggio.
La caratteristica principale di queste residenze è, come già accennato, la ricerca di una qualità
edilizia ispirata e conforme ai principi della bioarchitettura, della sostenibilità ambientale e
dell’efficienza energetica. Secondo tali presupposti sono state operate, quindi, queste scelte:
• una modalità di pensare agli edifici capace di farli interagire in modo energeticamente
corretto con l’intorno ambientale (architettura bioclimatica), basata su modelli abitativi che
soddisfano i requisiti di comfort con il controllo passivo del microclima, inteso come una
strategia che, minimizzando l'uso di impianti meccanici, massimizza l'efficienza degli
scambi tra edificio e ambiente;
• pianificazione dell’intervento in modo estensivo, senza sfruttare a pieno l’indice fondiario
costruibile per le parti residenziali, “sacrificandolo” per l’edificazione fuori terra degli spazi
destinati alle autorimesse e al confinamento degli ambienti ritenuti pericolosi all’interno
della casa (centrali termiche, lavanderie);
• corretto orientamento con disposizione degli edifici verso sud per massimizzare
l’esposizione solare degli stessi. Verso sud si è cercato di disporre la zona “giorno” degli
alloggi, mentre verso nord hanno trovato posto le camere da letto, i servizi e le rampe di
scale comuni;
• forme compatte e ottimali rapporti fra i volumi dei fabbricati e le superfici dell’involucro per
offrire la maggiore resistenza alla dispersione del calore;
• opportuna sporgenza delle falde dei tetti che oltre che ombreggiare le facciate a sud in estate
consentono la protezione dalle piogge delle sottostanti murature;
• superfici trasparenti opportunamente dimensionate secondo l’orientamento, con serramenti
più ampi verso sud per aumentare il guadagno termico solare;
• valorizzazione di elementi architettonici rurali tipici delle tradizione piemontese sia a scopi
estetici, sia prettamente funzionali;
• l’uso prevalente di materiali da costruzione naturali e non di sintesi chimica che, oltre che
garantire qualità e tenuta nel tempo assicurano maggiore salubrità agli ambienti interni;
• individuazione e realizzazione di efficaci coibentazioni sia termiche che acustiche utili a
ridurre i consumi energetici e l’aggressività delle onde sonore;
• eliminazione dei ponti termici mediante la realizzazione di un sistema strutturale in muratura
portante con utilizzo per le strutture verticali ed orizzontali di blocchi e pannelli solaio in
calcestruzzo cellulare; uso del sistema di rivestimento a cappotto su tutte le superfici
verticali dell’involucro esterno;
• l’uso di impianti di climatizzazione di tipo radiante a bassa temperatura che assicurano le
migliori condizioni di benessere psico-fisico agli alloggi;
• il recupero ed il riutilizzo delle acque meteoriche per l’acqua di servizio (cassette di cacciata
dei w.c., lavatrici, irrigazione);
• il ricorso e l’integrazione di fonti energetiche rinnovabili (solare termico e/o fotovoltaico);
• efficaci condizioni di evacuazione del gas Radon con la realizzazione di vespai aerati sotto
ai pavimenti ai piani interrati o terreno;
• prevenzione e controllo dell’alterazione dei campi elettromagnetici, con dotazione in ogni
unità immobiliare di impianto elettrico domotico, che utilizza correnti a bassa tensione per i
pulsanti di comando dei terminali di utilizzo (prese, luci, ecc.), con un impianto di messa a
terra a servizio delle masse ferrose presenti nell’edificio ed un percorso delle linee di
alimentazione elettrica studiato in modo da ridurre la possibile aggressività dei campi
elettromagnetici;
• particolare attenzione alla permeabilità e impermeabilità degli spazi di sosta esterni e le
strade di accesso secondo le caratteristiche naturali delle superfici, al loro drenaggio ed
all’uso di materiali non asfaltici capaci di minimizzare gli impatti della viabilità e dei
parcheggi sull’ambiente;
• adozione di soluzioni tecniche e compositive che concorrono al controllo climatico naturale
degli ambienti quali la creazione di serre bioclimatiche ed ampie terrazze soleggiate ed al
contempo protette dall’irraggiamento eccessivo grazie agli aggetti (i cui sporti sono stati
determinati da un accurato studio delle ombre portate in diversi periodo dell’anno) delle
facciate a sud ;
• criteri, in fase di costruzione, di ecocompatibilità ed ecosostenibilità; l’impatto ambientale di
un manufatto viene valutato in base al costo energetico necessario per la sua produzione, la
sua conservazione nel tempo e lo smaltimento dei materiali costitutivi al termine del ciclo di
vita. I materiali utilizzati per la costruzione degli edifici sono stati scelti anche per le
seguenti caratteristiche: limitato fabbisogno energetico del ciclo produttivo e ridotto
impatto ambientale nella fase di estrazione della materia prima; emissioni in atmosfera
ridotte nella produzione e durante il trasporto; materiali durevoli e possibilmente riciclabili.
• raccolta e conferimento differenziato degli imballi e degli scarti di lavorazione durante le
fasi costruttive.

http://www.residenzafontanile.it/

 
 
 

Nucleare, a volte ritornano (seconda parte: i problemi)

Post n°10 pubblicato il 18 Ottobre 2008 da John.Ross.Mingotti

La produzione di energia nucleare, apparentemente pulita (nessun inquinamento da polveri sottili o metalli, zero emissioni di CO2), causa in realtà gravi  ricadute ambientali dovute alla produzione di scorie radioattive e al loro difficile stoccaggio, nonchè elevati costi e pesanti problematiche sociali e di sicurezza in epoca in cui la minaccia terroristica è sempre più presente.

I COSTI
Il costo variabile del nucleare appare a prima vista tra i più bassi (es. in Francia 0,015 € per chilowattora). Riprendendiamo una tabella comparativa del 2003 per rendere meglio l'idea:
•    0,02 € centrali idroelettriche esistenti
•    0,02 € carbone
•    0,03 € nucleare
•    0,04 € gas
•    0,05 € biogas
•    0,07 € geotermico
•    0,07 € eolico
•    0,07 € nuove centrali idroelettriche
•    0,12 € celle a combustibile
•    0,57 € fotovoltaico
(dati costo medio KWora in euro)

Il costo variabile dell'energia nucleare può trarre in inganno poiché non include l'intera spesa che il pubblico deve sostenere per realizzare, gestire e infine smantellare una centrale nucleare. Analizzando complessivamente il sistema energetico, ovvero partendo dalla costruzione delle centrali sino anche alla complessa gestione dei rifiuti, si riscontra un notevole incremento nei costi sociali e una scarsa convenienza economica sociale. Questi i principali handicap:

•    Una centrale nucleare necessita un lungo periodo di tempo per essere costruita (in media 10 anni). In questo lungo periodo di tempo vanno poi aggiunti i costi oppurtunità, ossia le perdite "potenziali" pari al tasso di interesse perso se i fondi fossero stati depositati in banca o occupati in altre attività economiche.
•    Le centrali nucleari producono rifiuti radioattivi (scorie) la cui gestione è ancora un capitolo aperto per l'intero occidente. Soltanto gli Usa, dopo oltre 25 anni di studi, hanno realizzato una soluzione definitiva realizzando un deposito in profondità (geologico) in cui stoccare le scorie radioattive. Il deposito negli Usa sarà dedicato solo alle scorie di II grado mentre resta ancora incerto il destino delle scorie di III grado (ad alta radioattività) stoccate temporaneamente all'interno delle centrali nucleari.
•    Al termine del ciclo di vita della centrale nucleare va considerato anche il costo del suo smantellamento, la bonifica del territorio e lo stoccaggio delle scorie radioattive.

Esempio. per costruire la centrale nucleare Usa di Maine Yankee negli anni '60 sono stati investiti 231 milioni di dollari correnti. Recentemente questa centrale ha terminato il suo ciclo produttivo e per smantellarla sono stati allocati 635 milioni di dollari correnti.

Soltanto per smantellare le quattro centrali nucleari italiane l'International Energy Agency ha stimato un costo pari a 2 miliardi di dollari.
In conclusione
Il nucleare è stato presentato come una fonte indispensabile per generare energia elettrica a basso costo. In realtà i suoi costi "nascosti" (sostenuti dallo Stato tramite tasse e imposte) sono ancora troppo alti se paragonati alle normali centrali termoelettriche (gas o carbone). Per individuare un quadro completo dei costi è necessario allargare la visione all'intero ciclo di produzione e non soffermarsi sui singoli aspetti. Solo in questo modo si riesce a comprendere il reale costo sociale che la società dovrà pagare per avere l'energia nucleare.

LE SCORIE
L'altra faccia del nucleare: le scorie radioattive. Qualsiasi centrale nucleare produce "scorie radioattive". Una minima parte delle scorie sono normalmente disperse nell'ambiente senza provocare danni per l'uomo. Ad esempio, i reflui del raffreddamento sono scaricati direttamente nelle acque dei fiumi poichè considerati non pericolosi per l'ambiente.
Per scorie nucleari si intendono soprattutto quei materiali che, trovandosi nel reattore o nei pressi, sono soggetti a una continua emissione di radiazioni. Dal semplice bullone alle componenti mettaliche più grandi (pareti, contenitori ecc.). Al termine del ciclo di vita della centrale nucleare, questi oggetti devono essere trattati come rifiuti speciali da trattare con molta attenzione in quanto fortemente radioattivi, e quindi pericolosi. Sono definiti per semplicità "scorie nucleari" ma occorre fare delle distinizioni. Le scorie nucleari non sono tutte uguali. E' un tipico errore dei giornali confondere le scorie ospedaliere con quelle delle centrali nucleari.
Le scorie nucleari si distinguono in base al grado di radioattività da cui dipende anche la durata del decadimento e la loro pericolosità:
•    Alta attività (scorie di 3° grado): il grado di radioattività elevato in queste scorie implica un lungo periodo di decadimento, fino a 100.000 anni. Le scorie di terza categoria sono, in particolar modo, le ceneri prodotte dalla combustione dell'uranio e gli oggetti vicini al reattore (es. pareti metalliche).

In tutto il mondo è stato identificato soltanto un sito "sicuro" per ospitare in profondità le scorie (deposito geologico) per migliaia di anni. Si trova in una zona desertica nel New Mexico (Usa) e ha richiesto oltre 25 anni di studio. Gli Usa hanno investito oltre 2,2 miliardi di dollari nello studio della sicurezza dei depositi geologico. Ciò nonostante ancora nulla sembra potersi affermare con certezza. Le scelte di localizzazione dei depositi di scorie sembrano più frutto della ragion di Stato che di processi condivisi con i cittadini del luogo.
•    Media attività (scorie di 2° grado)
•    Bassa attività (scorie di 1° grado)
Queste ultime due categorie hanno una vita radioattiva inferiore. Necessitano soltanto di poche centinaia di anni per decadere. Queste scorie provengono, in gran parte, dagli ospedali (es. residui della medicina nucleare).
Il grande problema sono le scorie di terza categoria provenienti dalle centrali nucleari.
In Europa le scorie sono generalmente depositate nei pressi delle centrali nucleari o in centri di stoccaggio ingegneristici di superficie.
I principali centri di stoccaggio europei sono:
•    Le Hague (Francia)
•    Sellafield (Gran Bretagna)
•    Oskarshamn (Svezia)
•    Olkiluoto (Finlandia)

fonte www.ecoage.it








 
 
 

Si conferma la Linea del ritorno al Nucleare...

Post n°9 pubblicato il 15 Ottobre 2008 da John.Ross.Mingotti
Foto di John.Ross.Mingotti

“È evidente che pur di
promuovere l'atomo e le centrali atomiche, questa maggioranza sta
cercando di sparigliare tutte le carte in tavola, con ogni mezzo e
senza riguardo per il lavoro fatto a favore delle tecnologie pulite e
le fonti rinnovabili”. Questa l'opinione del presidente nazionale di Legambiente, Vittorio Cogliati Dezza, in merito a un emendamento al ddl 1441-ter approvato lo scorso 7 ottobre in Commissione Attività Produttive della Camera, che prevede la soppressione dell'Enea (Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente) e la sua sostituzione con l'Enes (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile).

L'emendamento al disegno
di legge recante “Disposizioni per lo sviluppo e
l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”,
definisce l'Enes “un ente di diritto pubblico finalizzato alla ricerca
e alla innovazione tecnologica nonché alla prestazione di servizi
avanzati nei settori dell'energia, con particolare riguardo al settore nucleare, e dello sviluppo economico sostenibile”.



L'Enes opera “in piena autonomia per lo svolgimento delle funzioni
istituzionali ad essa assegnate, secondo le disposizioni previste dal
presente e sulla base degli indirizzi definiti dal Ministro dello sviluppo economico”.


Svolge inoltre le
rispettive funzioni “con le risorse finanziarie strumentali e di
personale dell'Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente
(ENEA)”.



L'Enea è soppresso a decorrere dalla data di insediamento dei
commissari di cui al comma 6 dell'articolo. Questo comma prevede che
“per garantire l'ordinaria amministrazione e lo svolgimento delle
attività istituzionali fino all'avvio dell'ENES”, il ministero dello
Sviluppo economico nominerà entro 30 giorni dall'entrata in vigore del
decreto un commissario e due subcommissari. Lo stesso ministero
definirà funzioni, organi e sede del nuovo ente con un apposito decreto
di concerto con il ministero dell'Economia e sentite le commissioni
parlamentari competenti.



Commentando l'emendamento, Legambiente osserva che “non si tratta di un
semplice cambio di nome, da Enea a Enes”. Se il primo ente “rispondeva
in parte al ministero dell'Ambiente e dell'Università, la nuova agenzia
risulta essere completamente snaturata e legata esclusivamente al
ministero dello Sviluppo economico, alludendo a prospettive
completamente differenti”.



Il disegno di legge 1441-ter è attualmente ancora all'esame delle due camere del Parlamento.

 
 
 

Alla ricerca del Texas italiano

Post n°8 pubblicato il 14 Ottobre 2008 da John.Ross.Mingotti
 
Foto di John.Ross.Mingotti

Il caso della Regione Abruzzo

Come possiamo permettere di distruggere una delle regioni più verdi e belle del nostro bel Paese attraverso un uso indiscriminato del territorio??
Come possiamo permettere all' Eni e alla Edison di perforare in tutta la regione senza valutare tutte le conseguenze economiche, ambientali e turistiche che ne deriverebbero??
Evidentemente in Italia tutto cio' è permesso.

Tratto dal dossier di Legambiente Italia

L’11 settembre 2001, giorno drammatico per il mondo, sembra aver segnato anche il futuro della
Regione verde d’Europa: presso il Ministero delle Attività Produttive infatti, la Regione Abruzzo ha
sottoscritto, in sordina ed in tutta fretta pur di evitare lo smantellamento del Distretto Agip di
Ortona (Ch), una intesa con l’Eni finalizzata ad un programma di impianti e di trivellazioni a scopi
petroliferi.
L’Abruzzo ha così dato avvio ad una stagione di investimenti nel campo minerario che rischia di
compromettere il sogno verde che da decenni la contraddistingue in Italia ed in Europa, l’Abruzzo
Regione dei Parchi.
La storia delle trivellazioni in Italia nasce, ironia della sorte, proprio in Abruzzo; è nel comune di
Tocco a Casauria (Pe) infatti, che fu perforato con successo nel 1863 il primo pozzo nazionale. Da
allora, il territorio regionale è stato da sempre sottoposto ad esplorazioni e perforazioni tanto che, ad
oggi, l’intera fascia litoranea e pedemontana, è interessata da concessioni di coltivazioni e
stoccaggio, permessi ed istanze di ricerca.
Ne consegue così che, l’Abruzzo, economicamente più forte, più innovativo e più densamente
abitato rischia di legare in maniera “imprudente” il proprio futuro alle sorti degli idrocarburi.
I dati storici testimoniano un forte interesse da parte di diverse compagnie petrolifere che nel corso
degli anni hanno realizzato circa 550 perforazioni a terra, le quali, seppur limitate nelle profondità
di esplorazione e concentrate in larga parte a cavallo degli anni ’50 e ’60, lasciavano e lasciano
intravedere un buon potenziale petrolifero: sono infatti ben 87 i pozzi risultati mineralizzati ad olio.
È stata così tracciata una nuova geografia, quella dei titoli minerari, purtroppo poco nota alla classe
dirigente regionale che, in tutte le sue programmazioni e pianificazioni, continua tuttora ad
affermare che il futuro dell’Abruzzo passa attraverso la valorizzazione dei territori, dell’agricoltura
e del turismo.
Mai infatti, sino ad oggi, si è parlato di una regione a vocazione petrolifera e tanto meno è stato
individuato un distretto minerario-energetico.
Di Abruzzo regione petrolifera si è dunque iniziato a parlare solo negli ultimi cinque anni, in
coincidenza delle perforazioni Eni che, estese a profondità prossime ai 5.000 metri, hanno
determinato la scoperta del giacimento di Miglianico (Ch), la cui potenzialità è stata stimata in
8.200 barili/giorno e le cui riserve sono state valutate in circa 31 milioni di barili di olio
equivalente. Una colonna di petrolio di circa 100 metri di buona qualità e di 34 gradi Api (American
Petroleum Institute).
È a seguito di questa scoperta che l’Eni, forte dell’assenso di massima rilasciato in maniera
“inconsapevole” dalla Regione l’11 settembre 2001, annuncia a gran voce un programma di
investimenti di oltre 130 milioni di euro e lancia così all’opinione pubblica abruzzese l’immagine di
una Val d’Agri in terra d’Abruzzo!
Va registrato comunque che, in precedenza, nella zona di mare antistante Ortona, era già stato
accertato all’interno del permesso off-shore Ombrina Mare, di titolarità della InterGasPiù, un
giacimento di olio con riserve valutate in 19,5 milioni di barili di olio equivalente.
La potenzialità petrolifera del territorio costiero si completa infine con la volontà della Edison,
titolare del permesso off-shore Rospo Mare, dove per la prima volta fu perforato un pozzo
orizzontale, di mettere in cantiere l’ampliamento del campo estrattivo al largo di Vasto (Ch), che
già ora conta una produzione di 6mila barili/giorno.
Oggi, da una lettura più attenta dei fatti, si può affermare che, nonostante i proclami e le
disposizioni regionali che miravano ad altri obiettivi, in Abruzzo era in atto, e lo è ancora, una vera
e propria strategia petrolifera. Inizialmente nota a pochi, essa comincia a collidere con le scelte
strategiche da tempo condivise e che hanno destinato importanti territori a parchi, puntato sullo
sviluppo dell’agricoltura e dei suoi prodotti, valorizzato il turismo costiero e montano e creato il
marchio di un Abruzzo a garanzia di genuinità e di rispetto del territorio e delle sue diversità.
È da questo punto di vista che va inquadrata la vertenza di Legambiente sul progetto di “Centrale di
trattamento idrocarburi liquidi e gassosi”, meglio noto come “Centro oli”, prevista dall’Eni ad
Ortona; una vertenza che supera i confini locali e che pone l’Abruzzo d’innanzi ad una scelta
cruciale che difficilmente potrà far coesistere le ragioni del petrolio con le ragioni di oltre mezzo
secolo di economia consolidata fatta di agricoltura e turismo, le sue vere vocazioni.
L’Eni, pur non avendo mai reso noto il proprio piano industriale, intende completare il suo ormai
chiaro disegno, attraverso la realizzazione di un Centro di primo trattamento olio proveniente dai
pozzi petroliferi denominati: Miglianico1, con capacità di produzione di 27,74 Sm3/ora (Standard
metrocubo/ora) di olio grezzo e di 4.717 Sm3/ora di gas naturale, e Miglianico2, con capacità di
produzione di 24,22 Sm3/ora di olio grezzo e di 4.958 Sm3/ora di gas naturale.
Il Centro oli che, attraverso processi di desolforazione produrrà greggio e gas naturale idonei alla
commercializzazione, avrà una potenzialità di 1.150 Sm3/giorno di olio stabilizzato, di 165.000
Sm3/giorno di gas e di 15 t/giorno di zolfo, e sarà collegato, per mezzo di gasdotto, alla rete
nazionale Snam e, per mezzo di oleodotto, al deposito olio costiero.
Il deposito costiero, sempre di proprietà Eni, recentemente ampliato ad una capacità di 79.500 m3 è,
a sua volta, collegato per mezzo di oleodotto, al terminale della banchina del vicino porto di Ortona,
attualmente in fase di ampliamento per un importo di lavori di oltre 60 milioni di euro.
L’industria del petrolio, complice una classe politica inadeguata e distratta, sta realizzando il suo
progetto che, mai valutato nella sua complessità, è stato trattato alla stregua di banali concessioni
edilizie, così come dimostrato dai contenuti dei pareri rilasciati dai vari enti preposti.
Le valutazioni di compatibilità ambientali, fatte singolarmente nel tempo sul porto, sul deposito
costiero, sui pozzi e sul centro oli, non hanno pertanto mai valutato appieno le ricadute complessive
del progetto, non solo dal punto di vista ambientale, ma anche dal punto di vista economico e
sociale.
È per questo motivo che il locale comitato, mosso inizialmente dalla sindrome nimby (not in my
back yard) per semplice opposizione alla realizzazione del Centro oli sul proprio territorio, ha
catalizzato attorno a sé le ragioni delle tante forze produttive, agricole e turistiche, che costituiscono
la spina dorsale dell’economia locale.
Una economia fondata su produzioni di qualità. Un’area che per bellezza del paesaggio collinare
marino è inserita nell’istituendo Parco Nazionale della Costa Teatina, nota come “Colline del
Montepulciano”, paragonabili alle colline toscane del Chianti, e produce il 70% della produzione
vitivinicola dell’Abruzzo, dando lavoro e ragione di vita ad oltre cinquemila aziende agricole. Non
è un caso che l’occupazione agricola delle colline teatine, al contrario della tendenza nazionale,
abbia avuto in questi ultimi anni un aumento in termini numerici, dimostrando una forte potenzialità
del settore. In Abruzzo più di un terzo del vino prodotto è a denominazione Doc e Docg, e in
provincia di Chieti, al momento l’area più strettamente interessata dall’affare petrolio, nel 2007 è
stato prodotto quasi l’80% della produzione totale regionale. Risulta quindi giustificata la rabbia
manifestata dalle cooperative agricole, dai Comuni delle Città del Vino, dall’Unione dei Comuni
della Costa dei Trabocchi e delle Colline Teatine e da tutte le associazioni di categoria agricole, che
hanno letto nelle analisi economiche contenute nel progetto Eni del Centro oli, un danno da parte
dell’insediamento a “totale carico dell’economia agricola locale”.
All’agricoltura occorre aggiungere il turismo balneare ed enogastronomico che ha fatto della qualità
territoriale l’elemento portante della propria offerta.
Territori di indubbia bellezza paesaggistica, sottoposti nel tempo a regimi di tutela naturalistica che
hanno determinato una rete di aree protette, nucleo fondante dell’Istituendo Parco Nazionale della
Costa Teatina, rischiano, in barba alle tante bandiere blu che ogni anno vengono attribuite ai
Comuni costieri, di essere “soffocati”, oltre che dalle attività di trattamento degli oli, anche dal
traffico di navi cisterne previste in movimento attorno al porto di Ortona.
Al di là di ogni altra valutazione relativa ai danni prodotti alla salute umana ed all’ambiente,
puntare sul petrolio resta una scelta politicamente ed economicamente sbagliata; è l’aspetto costi
benefici che non convince in quanto, la distruzione dell’attuale tessuto produttivo non sarà mai
compensato né a livello di occupazione né a livello di risultati economici, dall’industria petrolifera.
Alle valutazioni di carattere generale sull’economia locale, occorre aggiungere valutazioni di merito
sull’iter autorizzativo del Centro oli. Balzato all’attenzione dell’opinione pubblica soltanto durante
la campagna elettorale delle elezioni comunali di Ortona del maggio 2007, il Centro manifesta una
serie di dubbi che hanno portato enti locali, operatori economici, associazioni ambientaliste e privati
cittadini ad una serie di ricorsi amministrativi e di esposti giudiziari. Le argomentazioni sono forti:
la non corretta procedura di Valutazione di impatto ambientale, la violazione del Piano regionale
paesistico, la violazione delle norme urbanistiche regionali in tema di variazione di destinazione
d’uso di terreni agricoli, la violazione delle norme del Piano di assetto idrogeologico, l’illegittimità
dell’atto di variante dello strumento urbanistico del Comune di Ortona, la violazione della
normativa Seveso sugli impianti ad incidenti rilevanti, la violazione delle norme in materia di
emissioni in atmosfera, la non corretta procedura delle Conferenze di servizio, la non corretta
applicazione dei principi di partecipazione nei procedimenti amministrativi e la violazione delle
norme e dei principi in materia di pubblicità.
La superficialità e la leggerezza che ha contraddistinto la vicenda Eni in Abruzzo, regione
interessata per oltre 3.800 km2, all’incirca il 35% dell’intera superficie regionale, da vicende legate
al mondo degli idrocarburi, impongono per Legambiente la conoscenza dei piani industriali di tutte
le compagnie petrolifere. Esse stanno determinando, al di sopra di ogni programmazione e controllo
democratico, una trasformazione dell’Abruzzo costiero in distretto minerario attraverso una serie di
atti separati (titoli minerari, pozzi di estrazione, centro di trattamento, oleodotti, depositi e porti) che
non consentono una visione organica capace di garantire un futuro alla regione.
La trasparenza nel settore estrattivo, inserita nel dicembre del 2007 anche nell’agenda del Summit
del G8 di Berlino attraverso il rilancio della Extractive Industries Transparency Initiative (Eiti),
rappresenta per le major del petrolio la migliore forma di collaborazione e confronto con le
istituzioni e le comunità locali, unica via di sviluppo, di sostenibilità e di sicurezza.
Il giorno nero dell’11 settembre 2001 è coinciso per l’Abruzzo con l’avvio della corsa nostrana
all’oro nero: una competizione, a quanto pare, poco chiara, con pochi giocatori e nella totale
assenza di spettatori al seguito. Ma le popolazioni locali da protagoniste hanno già iniziato da tempo
la vera partita: una partita non giocata nelle stanze dei palazzi ma su un campo da gioco di oltre 10
mila km2, l’Abruzzo.

Molto altro ancora lo trovate nel file pdf di legambiente.

http://www.fonti-rinnovabili.it/attach/963_A_dossierPetrolio2008.pdf

 
 
 

La nostra ministra dell’ambiente

Post n°7 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da John.Ross.Mingotti
 

(l'effetto serra, questo sconosciuto)

Stefania Prestigiacomo è la ministra italiana dell’ambiente; in teoria la figura del ministro dell’ambiente dovrebbe preoccuparsi di difenderlo, ma non è questo il nostro caso.
Dopo aver reintrodotto pochi giorni fa gli incentivi del Cip6 anche per l'energia elettrica prodotta dagli impianti di termovalorizzazione dei rifiuti (detti inceneritori), eguagliandoli così alle fonti rinnovabili, ora ha deciso di opporsi alla direttiva europea sulle emissioni di CO2, isolandosi dal resto della Comunità Europea.
Tale direttiva prevede la riduzione entro il 2020 delle emissioni di CO2 del 20%, il miglioramento dell’efficienza energetica del 20% e l’incremento della produzione di energia da fonti rinnovabili del 20%.
La Prestigiacomo, parlando davanti all’Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica (ANFIA), ha sostenuto che gli sforzi europei sono inutili se non applicati a livello globale, sostenendo la dannosità anche delle misure volte a ridurre l’inquinamento da CO2 delle automobili (mi immagino già che applausi scroscianti, un po’ come andare a dire all’associazione italiana parrucchieri che i calvi sono dei nemici del popolo).
Come motiva dunque la ministra la scelta di opporsi alle misure per la riduzione della CO2? Ecco una sua dichiarazione sul tema:
 
(AGI) - Roma, 10 ott. - "Gli obiettivi del pacchetto clima energia vanno inseriti nel contesto economico complessivo. Bisogna svincolare il dibattito sul pacchetto clima-energia dal recinto dell'ambientalismo ideologico, altrimenti tali tematiche rischiano di restare in un ambito politico-militante, lontano dalla gente, lontano dall'economia reale, lontano anche da qualunque concreto beneficio per l'ambiente". Lo afferma il ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiacomo. "Se si vuole che la battaglia per il clima diventi davvero una sfida condivisa, - aggiunge - programmi ed obiettivi devono essere inseriti nel contesto economico complessivo e, oggi piu' che mai, essere compatibili con tale contesto. L'Italia in passato, anche per ansia mediatica dell'ambientalismo politico di nicchia, ha assunto impegni slegati delle possibilita' reali del paese; impegni che, peraltro, hanno visto l'Italia penalizzata rispetto a partner europei che inquinano molto piu' di noi. Oggi bisogna cominciare a costruire perche' la situazione che ci ha lasciato il centrosinistra in questo campo era pessima. Ci sono da attuare politiche concrete e sostenibili per la riduzione dei gas serra nel sistema produttivo, in quello dei trasporti, in quello dei consumi civili. Ma senza intenti vessatori e nella consapevolezza che attorno alla battaglia per l'ambiente bisogna creare il consenso degli italiani e non solo visibilita' per maestrine e maestrini con la penna verde.

Apprendo ora che l’effetto serra è diventato “ansia mediatica dell’ambientalismo politico di nicchia”; c’è da dire che in un primo momento ho pensato che tali dichiarazioni fossero uno scherzo vista la quantità spropositata di cazzate infilate una dietro l’altra, ma poi mi sono dovuto ricredere.
La Prestigiacomo motiva inoltre la scelta sostenendo che il previsto contributo ambientale apportato dall’Italia è minimo e non corrisposto al ben più massiccio impegno economico richiesto per attuare tali miglioramenti (un po’ come dire visto che già facciamo poco, tanto vale non fare un cazzo); oltretutto senza impegni analoghi da parte di Usa, India e Cina l’Europa darebbe loro un vantaggio…
…per favore qualcuno le spieghi il concetto di sviluppo sostenibile!!!
Con questo illuminante esempio di strategia ambientale se il tizio davanti a me butta una cartaccia, allora posso farlo anch’io, non vorrò mica limitare la mia libertà di inquinare il mondo!

Andrea Bonzi

 
 
 
 
 

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