Fabio Carapezza, figlio adottivo di Renato Guttuso (Bagheria, 26 dicembre 1911 – Roma, 18 gennaio 1987) è stato a Messina domenica 28 febbraio alle, ore 11, per la scopertura della targa che è stata posta dinnanzi al teatro Vittorio Emanuele, per indicare la variopinta Leggenda di Colapesce, più di 120 mq di pittura, eseguita nel 1985 da Guttuso su 43 pannelli assemblati per il soffitto del Vittorio Emanuele, e montata all'avvio della stagione operistica il 7 gennaio 1986.
L'evento “Vucciria” che ha caratterizzato la recente Notte della cultura, è stato anche l'occasione per abbinare l'opera di Guttuso ad una delle sue ultime realizzazioni.
“Guttuso e la città dello Stretto” è stato poi il tema della mostra bibliografica e documentaria alla Biblioteca Regionale di Messina e che ha approfondito anche la vicenda del Colapesce. In Guttuso e il teatro musicale, volume curato nel 1997 da Fabio Carapezza, a proposito del Colapesce, vi si legge che si tratta dell'ultima e forse più grandiosa opera dell'artista di Bagheria, che colora tutto il soffitto del maggior teatro di Messina.
“Su tre dozzine di quadrati di legno ben stretti e connessi si vede il famoso gran tuffo di Colapesce: una discesa, un'immersione profonda e definitiva, di contro a quelle ascensioni. Tre scene mitiche: le prime due fresche, aurorali, piene di luminosa speranza, l'ultima in pieno conflitto di luce e tenebre repentino finale inabissarsi. Le scene iniziali e la conclusiva del gran theatro del mondo: tra d'esse tutte le altre grandi e piccole, lunghe e brevi, concrezioni o suggestioni di suoni.
Lì i miti puri del mondo giovane, quando convivevano e conversavano uomini e dei: i pescatori dell'Aspra si riconoscevano angeli e santi, le loro donne Madonne in cielo; Afrodite dormiente sull'acque, bellissima tra i delfini, ha le sembianze della marchesa Maria de Seta, e mentre Stromboli fuma sullo sfondo, dalle altre isole e dall'Isola a lei accorrono irresistibilmente affascinati tritoni e centauri, e giovinetti si tuffano e cavalieri tirandosi appresso il cavallo; chiari i colori, limpida l'aria, gravida di felicità la vita.
Qui invece s'è incrinato il mito, si spalanca l'abisso tra la terra franta, dove irrompe il mare, e fra la sorpresa delle sette sirene, dei delfini e dei gabbiani, vi s'immerge l'uomo travagliato ed arso, per andar a sorreggere la sua patria cadente, ad impetrarsi sottomarina cariatide; livida luce e morte tra tenebrose sponde brulicanti di perigliosa vita. Il tuffo di Colapesce viene vissuto e rappresentato come un'opera teatrale, gran balzo verso l'eternità, che avviene tra canti e incanti di sirene, le sette sirene del mar della sua vita: “E il naufragar gli è dolce in questo mare”. Ulisse, alla fine del suo ultimo viaggio, ormai solo, non vuol e non può più legarsi all'albero maestro.
“Quella sul soffitto del Vittorio è la scena centrale e saliente; nei numerosi bozzetti si vedono i vari stadi del tuffo e i movimenti delle sirene, e la conclusiva con l'uomo ormai in fondo all'acque, invano seguito dai delfini, e il soprassalto delle sirene sbigottite di non vederlo più risalire”.
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