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Post n°9 pubblicato il 01 Settembre 2005 da mojofuel
Adoro guardare il cielo. Ogni volta mi racconta una storia diversa. Non e' mai lo stesso. E' come un enorme, immenso, sconfinato libro aperto sull'orizzonte dell'infinito. Osservo il cielo di Londra e vedo lunghe pennellate di nuvole bianche, pulite, come se Dio si fosse divertito a dipingere su di un'immensa tela azzurra. Qui la notte le stelle si vedono benissimo, quando il cielo e' sgombro. E anche la luna e' talmente piena, perfetta, eterea e seducente che ti verrebbe voglia di baciarla tra le cosce senza dire una parola, respirando a pieni polmoni il suo odore di fumo e di vecchie storie. L'altra notte ho visto una stella cadente. Ho vissuto a Milano per 25 anni, ma non sono mai riuscito ad acchiapparne una, nemmeno con lo sguardo. Quand'ero a Lecce ne vedevo a milioni, ma e' ovvio che se ti piazzi a panza all'aria per tutta la notte di San Lorenzo una prima o poi la becchi, ovviamente a meno di essere l'uomo piu' sfigato sulla faccia della terra (oddio, di solito ai falo' di San Lorenzo sono tutti impegnati a fare altro, che sia sbronzarsi, fare il bagno o coccolarsi, per cui se rimani fino all'alba a faccia in su tanto fortunato non devi essere). Il cielo di Lecce era perfetto. Stupendo, limpido, sorridente. Una sorta di sterminato regalo che non finivo mai di ammirare, specialmente ai tramonti quando il sole arrossiva di pudore alla vista della luna e, timido com'era anche se aveva fatto lo spavaldo tutto il giorno friggendo le cervella di noi poveri cristiani, correva a tuffarsi in acqua dalla paura e dava fuoco al drappo schizzato di luce del mare. Oppure quando si nascondeva tra gli ulivi, giocando a rimpiattino con le prime stelle e tingendo di viola l'abito da sera della sua splendida controparte, la quale si presentava in forma smagliante, silenziosa e terribilmente bella, tinta di un colore sanguigno talmente intenso da fare male e farti chiedere se quel sangue per caso non fosse il tuo. Una sera siamo andati a fare il bagno al mare, io ed Enrico. Damiano ci aveva tirato il pacco, preferendo uscire con Stefania (che a quel tempo era una discreta palla al piede e della quale, lo ammetto, ero dannatamente geloso), e non essendoci niente da fare in paese (tranne la solita sagra dal nome salentino impronunciabile), avevamo pensato bene di fare una capatina alla spiaggia. Ricordo che avevamo appena posato gli zaini sulla sabbia (dopo aver sfidato la morte e la polizia a bordo del suo Liberty blu), e subito mi ero sentito soffocare come se mi avessero premuto un cuscino in faccia. Un black out pazzesco aveva colpito il paese, e non c'era una sola luce accesa nel raggio di chilometri. Una volta superata la paura con una risatina isterica (non sono mai stato un cuor di leone...), avevamo frugato negli zaini e trovato quello che ci serviva: due piatti di plastica, otto candele profumate alla pesca e un accendino. Cinque minuti dopo eravamo in mare, una bottiglia di spumante austriaco (alla pesca pure quello) che cambiava mano di continuo e otto piccole candele che galleggiavano sull'acqua salata, facendo l'occhiolino alle stelle. Per un'ora circa, furono l'unico punto luminoso nella notte. E noi la possedemmo, quella notte. Ricordo che ero quasi spaventato dalla bellezza quasi dolorosa di quello spettacolo indicibile. C'eravamo solo noi, il mare e un cielo di seta traforato da milioni, miliardi, fantastilioni di stelle. Sembrava che qualcuno si fosse divertito a bucare un cartoncino nero col punteruolo (uno dei miei peggiori ricordi delle scuole elementari, giuro!). Eravamo due amici che danzavano nell'acqua, ridevano e si divertivano a osservare il fondo illuminato dalle candele. E non importava che le macchine bloccate nell'ingorgo causato dal black out risuonassero di bestemmie e colpi di clacson (con le prime che spesso superavano i secondi in volume). Per me c'erano solo gli scrosci sommessi delle onde, gli spruzzi che malgrado tutto non riuscivamo a evitare e il suono delle nostre risate. Dio, che cielo. E la cosa piu' pazzesca e' che in quel momento mi sono sentito per la prima volta parte di un tutto che credevo non finisse mai. In quel momento non sono stato a farmi tante fisime su quanto fossi piccolo e mortale e su quanto quell'enorme regalo che mi era stato fatto fosse totalmente gratuito e probabilmente immeritato. Mi sono semplicemente goduto il tutto, come fossi stato parte di quella meraviglia al pari del mare, delle stelle, del buio. E ora sono grato per avere vissuto quegli attimi. Infinitamente grato. Pagherei (anche se so che non c'e' prezzo) per riassaporare quelle sensazioni. Forse...forse il problema mio e di tanti altri e' proprio questo. Non ci fermiamo abbastanza spesso ad osservare cio' che ci circonda, e lo diamo per scontato. Voglio dire, qualunque cosa perde di fascino e interesse se sperimentata troppo a lungo. Il cielo, come tutto il resto, e' li' da sempre. Siamo sicuri che ci sara' sempre, per cui a che pro perdere qualche minuto per osservarlo, abbracciare con lo sguardo l'orizzonte e stare ad ascoltare le sue storie, o ascoltare quello che noi raccontiamo a noi stessi?
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