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Saffo, pensiero e memoria

Post n°81 pubblicato il 17 Novembre 2011 da cineciclista
 

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(
Steven Kenny, "Sunrise", 2005  oil on linen  18 x 24 in.)

Il Canto di Saffo,
sentire il pensiero, ascoltare il mistero

di Riccardo Tavani

Nel libro “Il canto di Saffo”, edito da Moretti&Vitali, Gabriella Cinti ci mette davanti a una dimensione particolare dell'intreccio tra memoria, pensiero e poesia. Nella antica poesia lirica greca, il significato di una parola, di un verso, il pensiero che trasmettevano erano nel suono acustico, nella foné dei termini usati e della loro successione. Non era possibile accedere al pensiero se non per questa via puramente acustica. I versi di Saffo, la successione di parole che li formano, non tanto ci richiamo concettualmente il sentimento d'amore che stanno cantando, quanto è il loro suono che ci fa sentire direttamente e fisicamente sulla pelle, nella profondità sensibile delle viscere e di tutto il nostro essere questo concreto afflato d'amore. E così il vento, un fiume, le Pleiadi ce le fa “sentire” propriamente, acusticamente, attraverso accordi o contrasti fonetici di sillabe e consonanti che non rimandano mentalmente all'oggetto cantato, ma lo fanno “toccare” direttamente. Non solo, però, c'è questa via completamente diversa, materialmente fonetica di accesso e trasmissione del pensiero, ma c'è anche una dimensione più sconvolgente. È la dimensione che porta ad attingere la nostra sensibilità direttamente a quel substrato originario, caotico, magmatico, tragico che è alla base della vita, della natura e che non è mai per intero pronunciabile e tanto meno pensabile. È farci sentire ciò che altrimenti non sarebbe in nessun altro modo esperibile. Quella soglia del sogno, del mito e del mistero che è veramente comune a ogni essere e aspetto, vivente o meno, del cosmo, della natura. Dormono le cime dei monti/ e le vallate intorno/ i declivi e i burroni;/ dormono i serpenti, folti nelle specie/ che la terra alleva/ le fiere di selva, le varie forme di api/ i mostri nel fondo cupo del mare... canta Alcmane. Ma “canta” nel vero senso della parola, in quanto la lirica greca era originariamente inconcepibile al di fuori del suono della voce che recitava a memoria e dell'ascolto acustico collettivo. La poesia procedendo in avanti da un suo verso iniziale a uno finale riportava in realtà sempre indietro nel sogno, nel mistero, nel pensiero e nella memoria dell'origine. Un origine intesa non come un punto x della storia del mondo, ma come una condizione sempre in atto nel sottosuolo del presente e sempre riattivabile in determinate circostanze. Anche la lingua lirica greca è per Gabriella Cinti la lingua-memoria del Mediterraneo e dell'Europa che ancora ci abita dentro e che ci canterà e incanterà ancora di quella comune origine cosmica.

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Commenti al Post:
Ignava
Ignava il 20/11/11 alle 15:54 via WEB
sembra così complesso questo post...per semplificarlo lo titolerei: sentire il pensiero. ascoltare e sentire vengono spesso usati per definire la medesima cosa, sbagliando. un saluto al mio "giornalista" preferito ;)
 
 
cineciclista
cineciclista il 20/11/11 alle 20:35 via WEB
Suggerimento accolto, titolo cambiato. In quanto alla complessità ho dovuto fare un vero e proprio salto mortale di sintesi, per dare appena un'idea stringata di un libro importante. A presentarlo in una biblioteca qui di Roma eravamo ben tre relatori, mentre l'autrice ci ha fatto ascoltare il suono di quelle liriche recitate a memoria nella loro lingua originale. Un grazie "sentito" anche per il "preferito".
 
Nues.s
Nues.s il 23/11/11 alle 11:45 via WEB
Come un quadro. La Poesia orna quel 'domani'.
Ascolta il presente, ha in memoria il passato. Nel mistero si attraversa, solo così.
Guai mancasse..
 
 
cineciclista
cineciclista il 24/11/11 alle 20:30 via WEB
La memoria, Nues, essendo in relazione al tempo, come questo non si riesce a definire bene cosa sia. Ne parliamo sempre riferita al passato, eppure c'è un passato, quello della nostra nascita di cui non abbiamo alcuna memoria. Nelle pietre possiamo trovare memoria di un'era geologica precedente la nostra comparsa sul pianeta, ma nelle nostre sinapsi neuronali non troviamo traccia di quel nostro evento originario. Il passato, sotto questo aspetto, ha lo stesso grado zero di memoria che possiamo riferire al futuro. Più che ornarlo quel “domani”, la poesia è in sé un “domani”, in quanto il suo ritmo, il suo canto procedono in avanti, nel futuro, da un verso all'altro, come un treno da una stazione all'altra. Però, procedendo nel domani dei suoi versi, va indietro, nel passato, all'origine immemorabile.
 
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