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Post n°86 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da cineciclista
“Almanya”: la porta si apre ancora ma la patria non c'è più di Riccardo Tavani La famiglia di Hüseyin e Fatma Yilmaz, originaria di uno sperduto villaggio pastorale dell’Anatolia, si è ormai accresciuta di figli e nipoti nati ed educati in Germania, dove Hüseyin si è trasferito per lavoro circa mezzo secolo prima. Cenk è il più piccolo: completamente tedesco ma con questi pezzi viventi di memoria e narrazione turca che sono i nonni e gli zii. La domanda “Siamo turchi o tedeschi?” che il piccolo Cenk rivolge alla giovane zia Canan (la quale aspetta un figlio dal suo ragazzo inglese) pone immediatamente un problema. La famiglia rappresentava la cellula primaria di quella unità di tradizioni, tratti territoriali, antropologici, culturali e politici chiamata “popolo”, che era a sua volta la base di sacrale legittimazione dello Stato. Se ora questa cellula primaria è attraversata al suo interno da uno pluralità di riferimenti geo-antropologici, che fine fa proprio il concetto di “popolo”? Dunque è proprio all'interno della famiglia multietnica, che va ramificandosi nel cuore dell'Occidente, che sembra dissolversi la categoria di “popolo” e riproporsi quella di “moltitudine”. Hobbes afferma il “popolo” proprio in opposizione alla moltitudine, intesa come magma umano e sociale, stato di natura e condizione prepolitica, che non potevano essere ricondotte a nessun disegno statale unitario. Per Spinoza, al contrario, la “moltitudine” è la possibilità di esistenza politica e sociale dei molti in quanto molti, come riconoscimento delle loro differenze, pari dignità e libertà civili. In Hobbes prevale l'opposizione paura-scurezza, per cui lo Stato è l'unica salvezza possibile alla situazione del “homo hominis lupus”. Per Spinoza è invece proprio l'irriducibilità dei molti a un'unità coercitiva a dover essere garantita dall'autoritarismo del Leviatano statuale. Torniamo al film. Proprio il giorno in cui i nonni, dopo quasi mezzo secolo di radicamento in Germania, ottengono la piena nazionalità tedesca con rilascio di relativi passaporti, il vecchio Hüseyin svela, davanti a tutta la famiglia riunita a tavola, che ha comprato una casa nel villaggio d’origine e vuole ora che tutti lo seguano in viaggio laggiù per vederla e rimetterla a posto. Il film diventa un tipico road movie, il quale, però, ha un doppio movimento. Quello spaziale, geografico in avanti e in direzione della Heimat originaria, e quello all’indietro della memoria, dei ricordi, da questa patria agricola e pastorale a quella industriale della Germania. Anche questo doppio movimento è un aspetto della moltitudine attuale in esodo fluttuante, oscillazione migratoria permanente come condizione esistenziale, tanto paradossale quanto straziante, proprio in relazione ai vecchi confini. La casa acquistata da Hüseyin in Anatolia è solo un'unica parete diroccata, con una porta sbrindellata ancora, però, ruotante sui cardini. Della vecchia patria non rimane che questo: un paesaggio struggente dietro la porta della memoria. pubblicato su Consorzio Creativi del 17 dic 2001 |
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Mi è rimasto impresso un particolare che vede coinvolta appunto tutti i suoi componenti nella paziente e laboriosa preparazione di un dolce (mi pare si trattasse del paclavà) che Azad, invitato per una merenda da amici di scuola appartenenti a famiglia altolocata... porta come presente... e che finisce nella spazzatura, poi recuperata dalla servitù...
Oddio, mi fermo... magari un giorno lo vedrai...
E' uno di quei film che trasmettono il sentire dell'autore... di cui si vivono le sensazioni come fossero nostre...
Perdonami se mi sono dilungata e se sono uscita dal film del post (che vedrò certamente), ma merita davvero di essere visto, il cast è straordinario... Buonanotte, bacio... Monica