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"Miracolo a Le Havre", film, Finlandia, Francia, Germania 2011

Post n°85 pubblicato il 16 Dicembre 2011 da cineciclista
 

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Miracolo a Le Havre

Il “sistema d'immagine” e la povertà potente di Kaurismaki

di Riccardo Tavani

Lustratevi le scarpe prima di andare a vedere questo film, ovvero prima di entrare in questa favola di lustrascarpe e gente minuta dai grandi sentimenti. A che epoca si rifaceva il C'era una volta delle nostre vecchie favole ? A un'epoca indeterminata nel lontano passato. Quella di Kaurismaki, invece, oscilla tra il presente di bruciante attualità dell'immigrazione clandestina e il passato prossimo degli anni '50 – '60 dello scorso secolo, come “sistema d'immagine” dell'intero film. Per “sistema d'immagine” si intende quella cifra stilistica che si sedimenta e si accresce discretamente in ogni sequenza, fino a una saturazione delle immagini che è il senso più autentico del film, ben oltre la trama narrativa. Tutto è di quegli anni 50 – '60: case, baracche, negozietti, bar, mosche da bar, bottiglie, vestiti, auto, bus, ospedali, medici, infermiere, musica, musicisti, telefoni. Si vede un solo telefonino e per pochi secondi: quello di un delatore che chiama la polizia per far arrestare un ragazzo immigrato. E anche le scarpe sono di oggi: da ginnastica, scamosciate, difficili se non impossibili da lustrare. Inoltre c'è l'ambiente di ingresso a un centro di immigrati a Calais, con bip, cellule elettroniche, tesserini magnetici, tornelli, ecc. Il C'era una volta e il “sistema d'immagine” vengono consapevolmente sgarrati, affinché sotto la pelle della fabula appaia quella ulcerata del presente reale. Il lustrascarpe si chiama Marcel Marx, la moglie Arletty, il ragazzino fuggiasco nero Idrissa. Arletty finisce in ospedale con un tumore incurabile (ma Marcel non lo sa) quando Idrissa si nasconde in un ripostiglio esterno della loro casa adibito a cuccia per il cane Laika. Uno strano commissario, di nome Monet, lo sta cercando, perché la sua fuga ha fatto scalpore, è finita sui giornali e il Prefetto di Le Havre lo vuole riacciuffare a tutti i costi. Marcel è stato anche lui una specie di fuggiasco in patria, clochard di lungo e onorato corso, cui Arletty ha dato il rifugio di una casa e di un affetto negli ultimi anni. Non ci pensa neanche un istante a dare anche lui rifugio al ragazzo africano. Ma non gli dà solo rifugio e protezione nella sua casa. No, glielo lo dà in quell'ambiente, in quella favola da Miracolo a Milano, in cui la gente per condizioni di vita e sentimenti era più vicina a quella degli attuali immigrati. Entra qui in gioco una sorta di neorealismo magico, favolistico, perché l'ambientazione, l'atmosfera è quella tipica di quel cinema, ma Kaurismaki la usa per raccontare una favola, senza nasconderlo, ovvero dicendocelo scopertamente che ci sta raccontando una fiaba e non la realtà che fa apparire in improvvisi, squarci, sgarri sulla superficie della celluloide. Se non ce lo dicesse ci ingannerebbe, perché si potrebbe pensare che il mondo di oggi è davvero così, con povera gente ricca di sentimenti, pronta ad aiutare un povero ragazzo sbattuto dalla deriva della fame nei continenti in un freddo porto d'Europa. L'autore, invece, ci sta raccontando quella favola che di noi narra, così come eravamo fino ad appena mezzo secolo fa; di quale semplicità, linearità, spontaneità di gesti concreti ci caratterizzava verso gli altri sofferenti simili a noi. E forse tutti ci comporteremmo come quel lustrascarpe, quella fornaia, quel fruttivendolo, barista, pescatore, vecchio rocchettaro, e persino quel burbero commissario Monet nei confronti dei tanti Idrissa in cui ci imbattiamo quotidianamente. Così anche l'uso dei mezzi cinematografici di Kaurismaki si intona a quella preziosa parsimonia che si satura di una potente povertà poetica, raggiunta non tramite dispendio economico e tecnico ma ricorrendo alla progressiva sedimentazione del suo peculiare “sistema d'immagine”. Il miracolo sarebbe tornare a quella Le Havre, a quella Milano, a quel calore senza stufa, a quella nebbia diafana sulle banchine, in cui penetra uno spiraglio di sole e un improvviso ciliegio fiorisce rigoglioso, proprio davanti la porta dietro cui Idrissa si nascondeva e dormiva insieme al cane. Fronte del porto con ciliegio in fiore: il fior fiore di una fiaba, di un remoto, vicinissimo C'era una volta.

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Commenti al Post:
hely2
hely2 il 19/12/11 alle 13:06 via WEB
Qualche mese fa a Firenze c'è stata una settimana dedicata al cinema Finlandese ed in particolare ad Aki Kaurismaki.Avevo visto solo l'Uomo senza Passato, e mi era stato sufficiente per amare i suoi personaggi e la sua musica.. Ed il tuo post su di lui mi ha messo una fretta di gustare questo altro film. Ciao Cine.
 
 
cineciclista
cineciclista il 19/12/11 alle 15:23 via WEB
In questo film, Hely, il passato del protagonista, del nostro lustrascarpe è invece quel “C'era una volta” a noi così vicino nel tempo eppure lontano nella memoria. Grazie per la visita e il commento.
 
ladymarianna0
ladymarianna0 il 20/12/11 alle 00:04 via WEB
La tematica è più che mai attuale: clandestinità e miseria, una condizione esistenziale che si arrabatta tra povertà e difficoltà quotidiane, fra le quali la malattia della moglie (che il protagonista ignora).
E' molto forte e direi doloroso il punto in cui sottolinei [... dicendocelo scopertamente che ci sta raccontando una fiaba e non la realtà...] poiché rimarchi una realtà in cui solidarietà e fratellanza non sono altro che un'utopia, una consapevolezza che fa male da morire.
Non basta desiderare un mondo migliore, è necessario agire singolarmente, nel proprio piccolo, ciascuno con il poco che può dare e fare, credendo fortemente nella solidarietà e nella tolleranza, aprendosi alla generosità, questo è l'unico miracolo possibile (concetto che riprende il tema del mio ultimo post.) Vedrò questo film senz'altro...
Ancora una volta grazie Riccardo per lo spunto di riflessioni che i tuoi post offrono generosamente...
Un caro saluto, Monica
 
 
cineciclista
cineciclista il 20/12/11 alle 13:57 via WEB
Ti ringrazio per i due commenti, Lady M, li prendo entrambi come un contributo all’interno dell’incessante work in progress che sono le riflessioni intorno ai temi dei nostri post.
 
Nues.s
Nues.s il 22/12/11 alle 12:27 via WEB
Bello leggerti. Bella recensione, Mr Tavani. Mi piacciono queste pellicole 'piccole', senza tante pretese, tra quell'equilibrio di pensosi richiami e la leggerezza un po' buffonesca, ilare di certe realta'.
E se il film...è delizioso quanto 'L'uomo senza il passato'.. beh, allora...
 
 
cineciclista
cineciclista il 22/12/11 alle 14:26 via WEB
Ti ringrazio dell'apprezzamento, Nues. Ieri sono andato a rivedere il film con un professore di filosofia dell'arte per scrivere un'intera pagina del quotidiano Terra sulla sua interpretazione della pellicola. Ne è uscita una chiave diversa dalla mia, ma che non la smentisce. Vi aggiunge un altro sguardo, svelando un altro strato del racconto. Le vere opere d'arte sono fatte così, non stanno un attimo ferme a farsi cogliere definitivamente una volta per tutte.
 
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