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Gioco e sviluppo della moralità

Post n°488 pubblicato il 13 Marzo 2008 da sinemoiaquai
 

C'è un generale consenso tra gli studiosi di questa materia sul principio che lo sviluppo della moralità avvenga per stadi successivi. Ne consegue che la personalità dell'adulto riflette le caratteristiche sviluppate durante l'infanzia, anche negli aspetti della concezione della moralità.I primi anni di vita, in particolare dai sei ai tredici anni, hanno perciò un'importanza straordinaria non solo nella formazione della personalità, ma anche nel comportamento sociale. Il ruolo dei genitori e della scuola è fondamentale. In quel periodo si forma la concezione morale degli individui e perciò della società.

Spesso invece, nell'attuale società orientata principalmente ai consumi e all'accumulo di denaro, in questo periodo cruciale del rapporto genitori-figli, generalmente concomitante con lo sviluppo di carriera di uno o entrambi i genitori, il tempo e l'attenzione dedicati alla formazione sono limitati.

Non si tiene in sufficiente considerazione il fatto che, nello sviluppo psicologico e morale, il bambino è il padre dell'uomo



Il gioco viene descritto dalla psicologia come un’attività che trova motivo in se stessa, ha il proprio aspetto gratificante principalmente in sé e secondariamente nel fine
che raggiunge. Nel gioco sono sempre implicate la vita emotiva, quella
intellettiva, i processi di socializzazione e di educazione.
A partire da Freud, la psicologia dinamica ha individuato nel gioco due aspetti che le danno un carattere formativo ed evolutivo: l’aspetto "catartico " in cui il
bambino può scaricare su oggetti-simbolo e su attività le ansie, tensioni,paure, insicurezze ed aggressività,raggiungendo una distensione dell’io ed una maggior padronanza dell’ambiente.
Ciò è possibile perché il bambino passa più facilmente dell’adulto dal piano della realtà al piano della rappresentazione, manifestando desideri e tensioni che non troverebbero espressione altrove. Può ritrovare un maggior senso di sicurezza di quanto gli sia consentito sperimentare sul piano della realtà. Il secondo aspetto è rappresentato dal controllo della realtà interna ed esterna che il bambino è in grado di raggiungere attraverso il gioco e la finzione che lo può
caratterizzare.
Tutto ciò consente al bambino di muoversi con libertà, e al tempo stesso di trasformare in attività una situazione emotiva che potrebbe vivere in modo passivo senza la possibilità di poterla controllare. Il senso di controllo e dominio sugli oggetti e sulle situazioni offerto dal gioco consente al bambino di passare da una realtà fittizia ad una più simile a quella dell’adulto. Quando le regole del gioco si strutturano, consentono di verificare l’emozione, di darsi un compito
finalizzato e di competere con altri secondo schemi codificati.
Il gioco ha così una funzione socializzante, dove il bambino passa da una fase associativa, dove gioca con altri scambiando gli oggetti, ad una fase collaborativa dove si realizza una vera integrazione con divisioni di ruoli, organizzazione di gruppo,
subordinazione dei desideri individuali alle esigenze del gruppo, un gioco dove ciascuno interviene con la propria creatività a variare le "figure "
di base in rapporto alle proprie caratteristiche individuali. Il gioco ha in
se, quindi, una grande potenzialità educativa e formativa e può assumere anche delle caratteristiche utili all’osservazione ed alla terapia, specie in età
evolutiva.
Il gioco motorio infantile appare essere sempre una simulazione, come ogni gioco, un "fare come se ", simulazione spontanea di attività che sono dell’essere umano in quanto tale e quindi anche dell’adulto. Questo aspetto di gioco, e del gioco infantile in particolare, racchiude in sé anche una finalità primaria che è quella di allenamento, un allenarsi a fare cose, ad apprendere modi, a
preparare ed usare il corpo. Tutto ciò ovviamente è presente nelle culture più antiche od in quelle di tipo "tribale ". Mi basta ricordare come
esempio evidente, che le attività sportive che ci vengono dalla cultura greca sono tutte attività che rappresentano un allenamento o alla caccia o alla
lotta, oppure in ogni caso a capacità utili, se non addirittura necessarie,
alla sopravvivenza. La stessa cosa si può dire anche per certe performances che caratterizzano certi riti di passaggio dei popoli a cultura etnico-tribale.
Questo aspetto, come abbiamo già osservato, è presente da sempre ed universalmente nell’attività motoria spontanea dei bambini nella quale troviamo la lotta, la corsa, le prove
di forza o di abilità nella ricerca. Attività queste che hanno sempre un senso ed una finalità di tipo esplorativo e cognitivo, perché rappresentano i modi articolati e complessi attraverso i quali il bambino esplora conosce e gestisce il mondo. La naturalità di questo processo è dimostrata anche dal fatto che atteggiamenti di questo tipo li ritroviamo come comportamenti etologicamente leggibili anche negli animali ed in particolare nei mammiferi, nei quali
"l’apprendimento " è fondamentale per evocare e sviluppare le
competenze innate; i cuccioli "giocano " come se cacciassero o come se sfuggissero ad un pericolo.
Oltre a tutto ciò, la ritualità già identificata, assume a volte caratteristiche e finalità marcatamente religiose che rivestono una funzione culturale di rinforzo e di rimotivazione dell’attività ludica originaria.



Per saperne di più : Lo sviluppo della moralità Piaget, Kohlberg

 
 
 
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