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Accogliere il mondo del bambino

Post n°481 pubblicato il 18 Febbraio 2008 da sinemoiaquai

(continua)
Accogliere un bambino è anche
accogliere il mondo interno del bambino, le sue aspettative, i suoi
progetti, le sue ipotesi o le sue illusioni. Significa non lasciar
scorrere, come se fosse tempo inutile, il tempo che il bambino dedica
alle attività individuali o ludiche anche fuori della scuola, o quello
nel quale intesse relazioni "nascoste" con altri bambini.
Ci si
potrebbe domandare se la scuola non debba provare a rovesciare il senso
del termine insegnare (in-segnare,lasciare un segno) per affermare che
sono bambini che lasciano segni importanti agli adulti. Segni che gli
adulti devono imparare a leggere perché possono servire per sapere come
meglio intervenire, come più prontamente arricchire in complessità ed
ampiezza le esperienze dei bambini, rendendo nitide informazioni
organizzate spontaneamente in forma spesso nebulosa e non cosciente.
Non
c'è contraddizione fra accoglienza ed intervento educativo. Nella
misura in cui si cerca di accogliere le cose che vengono dai bambini
(prevedendo un intervento ancor prima che le richieste divengano
esplicite), ci si trova a costruire una didattica anche basata sulla
vita reale, sul quotidiano, sulle reali richieste degli alunni. Oggi
questa nuova attenzione al bambino ed al suo mondo non ci fa più
correre il rischio di uno spontaneismo diffuso o di un attivismo mal
inteso. Nelle Indicazioni Nazionali per i Piani di Studio
Personalizzati nella Scuola Primaria (2003), si sottolinea come i
bambini
“abbiano maturato in famiglia, nei rapporti con gli altri e
con il mondo, nella scuola dell’infanzia non soltanto una “loro”
fisica,chimica, geologia, storia, arte ecc. “ingenue”, ma che abbiano
elaborato anche una “loro” altrettanto “ingenua”, ma non per questo
unitaria, organizzata e significativa visione del mondo e della vita.
La scuola primaria si propone innanzi tutto, di apprezzare questo
patrimonio conoscitivo, valoriale e comportamentale ereditato dal
fanciullo e di dedicare particolare
attenzione alla sua considerazione, esplorazione e discussione comune”.
L’idea
di accoglienza, anche nelle proposte di Indicazioni Nazionali, non
viene vista come semplice ricezione di eventi casuali, ma piuttosto
come riconoscimento dell’idea che la vita reale è anche culturale – o
può diventarla. Viene così riaffermato che “dentro” il quotidiano
maturano le diverse discipline, e viene “riscoperto” che la differenza
fra esperienza del bambino ed esperienza “disciplinare” è solo una
differenza di grado e non una diversità di natura, come già affermava
John
Dewey. Il curricolo “implicito”I lineamenti di un metodo
accogliente sono stati presentati in maniera esplicita negli
Orientamenti per la Scuola dell’Infanzia del 1991. La tesi era simile a
quella prima espressa: laddove si lascia spazio per le esperienze reali
e vitali dei bambini, dove ci sono fiducia e rispetto per tutti e per
ciascuno, là vi è anche costruzione della conoscenza, specie quando
l'adulto predispone e conduce a sviluppo gli spunti che sono offerti
dagli stessi bambini, anche se in forma non sempre esplicita.





Le "connotazioni" degli Orientamenti ‘91 erano indicate nella:

Predisposizione degli ambienti, dei tempi, dei materiali, degli arredi,
degli oggetti, delle strumentazioni didattiche. Quanto più essi sono
pensati in funzione delle attività e dell'autonomia dei bambini, tanto
più essi fanno nascere situazioni

interessanti, relazioni che consentono di star bene, contesti che
permettono agli adulti di percepire la ricchezza del vivere infantile,
anche nei suoi risvolti relativi alla costruzione della conoscenza. "Le
finalità pedagogiche della scuola

dell'infanzia si riflettono necessariamente anche nel suo modello
organizzativo, da intendersi come una sorta di curricolo implicito". Di
questo curricolo implicito fanno parte l'organizzazione dei gruppi, le
sezioni, le attività ricorrenti della vita

quotidiana, la strutturazione degli spazi e dei tempi, cioè tutto ciò
che agli occhi di certi educatori appare poco “culturale”,poco
“cognitivo”. Si insiste sull'importanza dell'apprendimento all'interno
di un contesto (ecologicamente accogliente,

come direbbe Bronfenbrenner), sulla molteplicità dei modi di apprendere
(stili cognitivi, intelligenze multiple), sul fare motivato per il
bambino (il quotidiano, il banale, i comportamenti usuali e consueti)
e, più in generale, sul benessere del

bambino che apprende.

Valorizzazione del gioco. Il gioco è visto da un punto di vista
psicologico, ma anche secondo un'ottica pedagogica e culturale.
All’adulto viene chiesto di trarre dalle esperienze ludiche infantili
spunti per la programmazione delle attività nei

vari campi della conoscenza. Le esigenze ludiche dei bambini non si
manifestano solo attraverso azioni di routine, ma anche attraverso
esperienze vere e proprie (si ha esperienza, per Dewey, quando si
comprendono le relazioni fra le azioni che si compiono), esperienze che
contengono tutti gli elementi per sviluppare un lavoro di
organizzazione delle conoscenze.

Costituzione di un clima sociale positivo. Le attività di piccolo
gruppo, di coppia "con e senza l'intervento dell'insegnante", vengono
valorizzate perché rendono possibili le interazioni fra bambini,
facilitando "la risoluzione dei problemi",spingendo alla
"problematizzazione, sollecitata a dare e ricevere spiegazioni". Un
clima sociale positivo può essere realizzato solo se l'adulto rivolge
"un'attenzione continua e competente ai segnali inviati dai bambini
stessi e all'emergere dei loro bisogni".

Presenza di un adulto “mediatore”. La “regia” dell'insegnante consente
l’“attivazione e la elaborazione delle informazioni (memorizzare,
rappresentare, comprendere le relazioni)”. Qui l’idea di accoglienza fa
appello ad un atteggiamento di

ascolto e alla capacità (dell’adulto) di “saper vedere” (come direbbe
Hawkins) ciò che di “apprenditivo” sta “dentro” le azioni e le
situazioni che vengono vissute dai bambini. Un ambiente che sa
accoglierePossiamo ritenere valide le caratteristiche del

contesto della scuola dell’infanzia anche per la Scuola Primaria. Esse
configurano il termine accoglienza e ne determinano le caratteristiche
essenziali.

a)Accogliere è predisporre. Un ambiente predisposto ed organizzato a misura

del bambino è un ambiente che espone messaggi e sollecitazioni. Non è
un luogo neutro, una zona culturalmente depotenziata, uno spazio
casuale. Un ambiente predisposto espone il bambino a stimoli precisi e
gli invia segnali identificabili: si producono azioni, si richiedono
capacità, si attuano comportamenti.

Occorre riconoscere alle didattiche che si riconducevano alla pedagogia
attivista la massima valorizzazione di questo aspetto. Le scuole
attive, con le classi laboratorio, gli angoli di attività, la mobilità
degli allievi impegnati in progetti personali

e di gruppo, consideravano l’ambiente classe come un ambiente di vita,
dal quale potevano scaturire apprendimenti e comportamenti socializzati.

Anche l'adulto, oltre che l'ambiente, è una sorta di espositore
culturale. Lo è in tutti quei momenti nei quali intesse un dialogo con
i bambini, quando propone, quando offre esperienze, quando corregge,
quando mostra i propri interessi...

Una predisposizione accogliente riguarda perciò le cose ed i materiali
didattici, ma anche i tempi ed i ritmi delle proposte,riguarda le
persone e tutto il contesto di vita nella scuola.b)Accogliere è
ascoltareL’accoglienza richiede un atteggiamento

di ascolto e di rispetto all’interno del gruppo classe per aiutare i
bambini a comprendere “le varie forme, palesi o latenti, di disagio
diversità ed emarginazione esistenti nel loro ambiente prossimo e nel
mondo che ci circonda” e per acquisire la

“competenza necessaria ad affrontarle e superarle con autonomia di
giudizio, rispetto nei confronti delle persone e delle culture
coinvolte” (Indicazioni Nazionali, 2003). L'ascolto è qualcosa di più
di una tecnica didattica; l'ascolto richiede di

mettersi nei panni dell'altro, di sintonizzarsi con lui, di cambiare
l'ottica del vedere e del sentire per cercare di prendere quella
dell'interlocutore. L'ascolto non è una azione passiva, un lasciar
correre, un comportamento non impegnato;

l'ascolto è un agire fortemente attivo. Quando un adulto assume un
atteggiamento di ascolto non corregge le spiegazioni che danno i
bambini, anzi lascia che i modelli e le ipotesi che loro fanno prendano
corpo. Interviene, casomai, per confermare, riprendere (in psicologia:
rispecchiare), per rilanciare, per problematizzare (nella cultura
organizzativa:

negoziare). Anche nella fase dell'intervento più diretto, nel momento
della stimolazione degli adulti, la regola fondamentale rimane quella
dell'attenzione, dell'ascolto. Questo atteggiamento accogliente
riconduce alla necessità

naturale che l'adulto dia un sostegno al bambino, partecipando alla sua crescita cognitiva, affettiva e relazionale.

 
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Prossimi alle scogliere noi
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dell’uggia e del campo di tabacco
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il Salento in poesia. Ieri e oggi.

(in foto, il menhir di Carpignano)

 

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