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FIN DOVE SI SPINGE LA PERVERSIONE UMANA?
L'uomo non riesce a cambiare le proprie abitudini inquinanti
e si affida alle innovazioni meccaniche.
Fioriscono i progetti di geoengineeringSPECCHI orbitali per riflettere i raggi del sole. Polvere di ferro negli oceani per ingrassare il plancton, gran divoratore di anidride carbonica. Super-aspiratori che succhiano tonnellate di CO2, tipo deumidificatori su scala mondo. Sono solo alcuni dei progetti di geoengineering, l'ingegnerizzazione della Terra, ultima frontiera nella lotta al cambiamento climatico. Sanno di fantascienza e invece sono concreti come i business plan delle centinaia di aziende che hanno deciso di scommetterci. E non si dubita tanto sul se funzioneranno, quanto su che tipo di effetti collaterali potranno avere. Perché quando si comincia a "giocare a fare Dio" non si sa mai dove si va a finire.
La premessa teorica è chiara. Molte attività umane, il consumo scriteriato di energia in testa, devastano l'ambiente. Gli inquilini del pianeta però, nonostante allarmi sempre più insistiti e apocalittici, non ne vogliono sapere di cambiare stile di vita. Se non si riesce a intervenire sulle cause, constatano quindi alcuni scienziati, almeno attacchiamo gli effetti. Una sorta di ambientalismo pragmatico, "a valle" che si arrende all'incorreggibilità "a monte" degli uomini e cerca di rimediare con il primato della tecnica.
Il fatto è, come sancisce la convenzione Onu sul cambiamento climatico del '92, che il livello "pericoloso" di gas serra nell'atmosfera è di 450 parti per milione (ppm). Oggi siamo a 385. Prima della rivoluzione industriale erano 280. Bisogna fare qualcosa prima che la situazione diventi, alla lettera, irrespirabile.
Sull'ultimo numero dell'autorevole bimestrale Bulletin of atomic scientists Alan Robock, direttore del Centro per le previsioni ambientali della Rutgers University, mette per iscritto tutte le sue perplessità sul nuovo approccio. Una delle proposte più discusse è quella del Nobel Paul Crutzen di spruzzare delle specie di mega-aerosol di zolfo nella stratosfera. Le particelle schermerebbero la luce del sole e raffredderebbero la Terra. Che funziona si è capito nel '91 quando il vulcano Pinatubo, nelle Filippine, eruttò. I 20 megatoni di gas di zolfo nell'aria lasciarono una nuvola che effetivamente raffreddò il pianeta per i due anni successivi.
Col tempo ci si è accorti però che il miracolo aveva alcune controindicazioni. Riducendo le precipitazioni aumenta il rischio di siccità per centinaia di milioni di persone. E più zolfo significa anche una più rapida erosione della fascia d'ozono. Le grandi distese d'acqua ricadono invece sotto la giurisdizione sperimentale delle americane Climos e Planktos. Entrambe stanno provando a contrastare il riscaldamento reclutando un alleato invertebrato: il fitoplancton. Disseminare gli oceani con polvere di ferro moltiplica la presenza del vegetale specializzato nell'assorbire il CO2.
L'australiana Ocean Nourishment Corporation mira allo stesso bersaglio usando come concime l'urea. La Atmocean del New Mexico usa invece delle pompe in profondità per portare in superficie acque più fredde e ricche di forme viventi che, alimentando le alghe, sequestrerebbero il diossido di carbonio.
Solo negli Stati Uniti sono circa 400 le compagnie private che hanno fatto della "mitigazione del CO2" la loro missione societaria. Un numero destinato a triplicarsi entro i prossimi due anni, stima la società di consulenza Point Carbon. E se il prossimo presidente Usa introdurrà dei tetti più stringenti all'inquinamento industriale, anche il valore delle società che aiutano a contrastarlo schizzerà.
Ci scommette la Global Research Technologies che produce aspiratori grossi come un container in grado di assorbire l'anidride carbonica dall'aria e, attraverso una serie di reazioni chimiche, trasformarla in materiali inerti da seppellire in località isolate. Una macchina sarebbe in grado di far fuori una tonnellata di CO2 al giorno. Ne servirebbero 30 milioni per neutralizzare 10 milioni di tonnellate all'anno, circa un terzo delle emissioni totali. I costi all'inizio sarebbero di 250 dollari a tonnellata per scendere, giura su Usa Today il geofisico della British Columbia Klaus Lackner, a 30 dollari una volta a regime.
Il problema sembra più di prospettiva che di soldi. Ken Caldeira, climatologo a Stanford, ha fatto le simulazioni e i conti sul mensile Wired: "Con 100 milioni di dollari all'anno si potrebbe spruzzare lo zolfo nella stratosfera". Ma se un'altra amministrazione interrompesse questi punturoni spaziali la temperatura prenderebbe a galoppare di nuovo a 10-20 volte il ritmo attuale, provocando un rialzo di 7 gradi Fahrenheit al decennio e mettendo in pericolo la sopravvivenza.
Insomma, indietro non si torna. Aggiungete un'obiezione psicologica ma cruciale: se le gente crederà di avere trovato una soluzione tecnologica ai problemi del clima non farà più niente per inquinare meno. Un po' quel che si argomenta contro le pillole del colesterolo rispetto all'esercizio fisico e alla dieta sana.
L'argomento è però elettoralmente seducente, almeno per i pasdaran vicini all'amministrazione Bush. E infatti all'inizio di giugno l'American Enterprise Institute ha ospitato un entusiastico convegno dal titolo "Geoengineering: un approccio rivoluzionario al cambiamento climatico". È lo stesso think tank che, finanziato da Exxon-Mobil e altri grandi inquinatori, pagava i ricercatori disposti a scrivere articoli ridicolizzanti il global warming. Con uno sponsor così, c'è da stare in campana.
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