DakarliciousUn blog di Chiara Barison |
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« Quando la seconda moglie... | Imparare il distacco. Go... » |
Celui qui veut assassiner un peuple, détruira son âme, profanera ses croyances, ses religions, niera sa culture et son histoire (J.M. Adiaffi)
E’ graziosa e sorridente. Esile e leggiadra. La guardo camminare con eleganza tra le viuzze insabbiate del villaggio di Yoff. Con una classe che è di poche, saluta tutti, indistintamente e per ognuno trova sempre il tempo di discutere sembrando davvero interessata.
Io la seguo, più goffa e lenta. Se non fosse per il mio lavoro in televisione passerei per la solita turista impacciata che si fa guidare tra i meandri di uno dei villaggi lebou della capitale senegalese.
La gente è dovunque in un brulicare che stordisce. Disseminate qua e là piccole boutique, sartorie di strada, signore con il pagne tradizionale e la polo che mescolano, instancabili, le noccioline nella sabbia calda. Sento il profumo di pannocchie grigliate, questo è il periodo e si comprano a soli cento franchi mentre da dietro secchi di plastica colorati osservo ragazzi peul riempire sacchetti di sow (latte cagliato) con una rapidità che mi impressiona nonostante l’abitudine.
Yoff è un pozzo senza fondo. Impossibile, anche volendo, scoprirne tutti i suoi infiniti misteri.
(Foto 1. Fonte: Google.sn)
Dalle case si entra e si esce, attraversando corti e sfiorando montoni. Qui tutti sono parenti, o meglio, tutti sono imparentati. Amina mi presenta tutti quelli che incontra e saluta. Molte sono zie, altri cugini. Il marito di sua madre lo chiama “père” (padre) ma non è suo papà. Sua madre si è risposata ed è seconda moglie. La incontriamo mentre passeggiamo e avvolta nel suo velo, imponente e matrona, mi punta il dito: “Ciara ana mew pour sama bébé?”, “C(h)iara, dov’è il latte per la piccola?”. Non so cosa risponderle. Amina mi dice di dirle che glielo porterò, InchAllah. La neonata, ovviamente, non è della mamma di Amina che la sua età già ce l’ha, eccome. E’ un’orfanella la cui vera madre è morta di parto. Sopravvissuta miracolosamente è stata affidata alla famiglia di Amina. Vivrà lì, almeno per ora.
Succede spesso che al villaggio gli orfanelli siano “dati” ad una famiglia. Qui i servizi sociali non arrivano, tutto si gestisce autonomamente con il beneplacito degli “chef”(capi) di quartiere.
Osservo la piccolina, è nera (davvero nera) e ha ancora le sopracciglia dipinte come tradizione impone vengano fatte per il battesimo. E’ avvolta in una pesante coperta di lana nonostante i trenta gradi ed il sole cocente.
Resta per me un mistero questa moda dell’avvolgere i neonati con le coperte di lana che a Padova spopolano tra le comunità di immigrati.
Amina mi porta da una zia, è infermiera ma quando torna a casa il suo ruolo è ben più importante, socialmente parlando: legge le conchiglie. Anzi, non proprio. Legge in una tazza d’acqua. Tradotto, genera speranza.
(Foto 2. Fonte: Google.sn)
La casa è come tante, tutte uguali. La corte è affollata di gente: uomini, donne, bambini. Alcuni lavorano, tutti parlano.
Entro e mi vergogno un pò. “Ziara Ndiaye Guewel”, sussurra qualcuno dicendomi che mi “vede” alla TV. Annnuisco e saluto. Saluto tutti come Amina, sempre sotto la sua vigilanza attenta e protettiva.
La zia leggerà il mio presente e il mio futuro, facendomi passare per prima. C’è una fila di donne e ragazze impressionante, tutte in attesa. Alcune si sventolano con il ventaglio, nessuna proferisce verbo. Dal parlare incessante della corte-mercato al silenzio di una sala d’attesa che ricorda quelle dei dentisti in Italia.
La mia presenza desta un certo stupore, soprattutto dopo che, piegandomi per allacciare le scarpe, dal mio pantalone spunta la corda di un gri gri.
“Thiey! Il Senegal sta cambiando” avranno pensato le signore .
(Foto 3. Fonte: Google.sn)
Entro, mi siedo e resto affascinata da quel salotto, così pieno e così zeppo da rendermi claustrofobica. Pelouche impolverati, centrini ingrigiti, fiori finti, l’immancabile televisione accesa, un frigo bar con annesso altro centrino e foto, tante foto. Foto che immortalano la zia in varie posizioni e vari eventi: matrimoni, battesimi e affini, sempre bellissima e sempre truccatissima. Al centro la foto con il marito, incorniciata da cuori e cuoricini, kitsch come solo i fotografi di Pikine riescono a fare.
Vorrei immortalare quel salotto con una foto ma ho paura che si offenda. Lei, la zia, è vestita con un abito lungo di seta rosso che lascia intravedere il reggiseno leopardato, sempre rosso.
Mi piace.
Io ascolto e su suggerimento di Amina non parlo, per non indirizzarla nelle risposte. Devo ammettere che ci azzecca e pure molto.
Elenca i sacrifici da fare e Amina prende nota meticolosamente. Dopo il terzo sacrificio, due cola rosse da dare con la mano destra a donna sposata, mi perdo.
Ho mal di testa, mi sento soffocare.
Usciamo e ripartiamo, donne in attesa, saluti di Amina, corte-mercato, saluti di Amina, stradine sterrate, saluti di Amina.
Amina mi infila subito in boutique e mi compra le cose per i primi sacrifici, come mi dice lei, è sempre bene farli, l’importante è non fare e non volere il male di nessuno ma proteggersi, quello sì.
Penso che abbia ragione, credo nel mistico, nell’energia.
Torniamo a casa sua dove cerca di radunare i bambini per vedere chi tra loro ha i requisiti necessari per prendere i sacchetti di latte cagliato da cento franchi che io dovrò offrire.
I bambini ascoltano e obbediscono. Per loro i sacrifici sono un’abitudine che non desta più alcuna sorpresa.
Uscendo Amina mi spiega che attorno alla corte vi sono tutte camere di mogli. Camera di moglie di fratello, camera di moglie di cugino, camera di moglie di fratello che però non è fratello ma è come se lo fosse; la moglie però è morta, mi precisa. “A Yoff muore tantissima gente” mi dice tendendo l’orecchio alla moschea che annuncia proprio un decesso.
Amina presta molta attenzione e io la osservo ancora, bellissima. E’ una delle mie poche amiche senegalesi, una delle poche che mi ha sempre aiutato come fosse una sorella.
Vive in Spagna ma torna spesso, imprenditrice fai da te e moderna rivoluzionaria che anni addietro si oppose con forza ad un matrimonio combinato dalla mamma-matrona-peul.
“Mi taggano di “rew” (maleducata) in tanti” mi dice, forse per quel suo atteggiamento pank (duro) e ribelle che nessuno è riuscito mai a domare, penso io.
“Buttagli i 500 franchi sul sedile!” mi ha urlato qualche giorno fa quando un tassista si era rifiutato di portarmi fino a dove avevo concordato. Dopo averlo fatto tacere con tre frasi di cui non ho osato chiederle la traduzione, si è girata, mi ha preso per un braccio ed ha sbattuto la portiera.
Io ho gettato i soldi con sprezzo, come mi aveva ordinato e per un secondo mi sono sentita Rambo.
(Foto 4. Fonte: Google.sn)
Amina mi fa entrare subito dopo in una camera che dà accesso ad un’altra camera. Intravedo una signora anziana, distesa, addormentata.
“E’ malata”, mi dice una delle sue figlie.
Questa vecchietta non è una vecchietta qualunque. Mi porgono qualcosa. Lo afferro e leggo “medaglia all’onore”, firmato, il Presidente della Repubblica.
Mi rendo conto di essere in presenza di una personalità. “E’ la sacerdotessa ndeup di Yoff”, mi dicono ed ha 105 anni. La medaglia all’onore le è stata conferita per tutte le persone che ha guarito nella sua lunga carriera.
Una signora-zia-parente ci tiene a farmi vedere un piccolo giardino recitanto e, quasi sussurrando mi dice: “E’ qui che si fa lo ndeup”.
“E’ costoso?” chiedo a Amina. “Eh si, ci vogliono milioni” mi risponde.
Sono un pò delusa. Speravo meno. Quasi quasi l’avrei fatto fosse stato meno caro ma oggi, in tempo di crisi, anche e soprattutto i toubab, non c’hanno 'na lira....
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