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Teheran chiama e Milano, semplicemente, non risponde. Neppure di fronte all’uccisione di una decina di manifestanti, all’incarcerazione dei leader democratici, nonché all’inquietante censura contro i giornalisti. Non una bandiera verde (simbolo dei democratici iraniani) esposta nelle varie sedi istituzionali, come pure era successo in passato per altri casi.
Saranno le ragioni del business? Chissà. Una cosa è certa, però: che la “guerra per il petrolio” non è meno imbarazzante per le nostre coscienze del “silenzio per il petrolio”. Del resto, è sintomatico che sono stati gli ambasciatori europei a Teheran ad essere stati convocati per riceve le proteste del regime, invece che noi a chiamare i loro diplomatici per contestare il voto truccato e la repressione.
L’impressione che stiamo dando come città di Milano poi, è quella che quanto succede in Iran non ci riguarda. Eppure da Teheran chiedono aiuto proprio a noi occidentali. Dalle immagini dei telegiornali vediamo tra la folla tanti cartelli, molti dei quali scritti non in persiano ma in inglese. Per chi non l’avesse capito, sono scritti per noi. Sono grida rivolte alle nostre orecchie. La nostra attenzione è la loro unica speranza di scongiurare una nuova Tienanmen. E noi invece, la Milano dell’Expo il cui slogan è “nutrire il pianeta, energia per la vita” cosa rispondiamo di fronte ai pasdaran e alle loro squadracce della morte? Voltandoci dall’altra parte. Gli studenti universitari della nostra città per esempio, non si mobilitano per i loro colleghi di Teheran; e viene quasi paura a domandarsi il perché. E la politica? nel centro-destra sono improvvisamente scomparsi i sedicenti “oppositori delle dittature islamiche”. Proprio nel momento in cui uno dei peggiori regimi mediorientali barcolla, perdono la voce. Sarà l’irresistibile distrazione delle elezioni provinciali? Chissà. Anche nel centro-sinistra sedicente solidale, a dire il vero, la rivoluzione di Teheran non sembra far battere molti cuori. Non si registrano mobilitazioni in favore dei democratici iraniani. Destra e sinistra milanese stanno insomma ignorando non solo le richieste degli iraniani, ma anche i principi a cui amano richiamarsi. Il risultato è che le piazze sono vuote. I nostri occhi insomma, non sembrano avere lacrime per Teheran. Sono chiusi dal peggiore dei burqa mentali: l’indifferenza. Chissà se almeno la recente proposta dei giovani ebrei italiani – quella di intitolare una via di Milano agli studenti iraniani, in gran parte musulmani – servirà a destarci. In pochi casi come questo il dialogo inter-religioso non si è limitato alle parole, ma ha prodotto frutti così ricchi. Sta ora alla politica raccoglierli subito e non lasciarli marcire. Faccio appello dunque al nostro consiglio comunale perché affronti il tema. Già la sola notizia che Milano inizia a discutere delle violenze del regime iraniano, rappresenterebbe una prima degna risposta ai manifestanti di Teheran. Oltre che alle nostre assopite coscienze.
Davide Romano
Pubblicato su La Repubblica del 20 giugno 2009
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