Creato da Karmelia il 19/02/2007
Il mito e l'antica cultura della Dea Madre

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Dal matriarcato al patriarcato: realtà storica o proiezione mitica?

Post n°56 pubblicato il 20 Maggio 2012 da Karmelia

Nel secolo scorso ha avuto inizio un movimento di pensiero che ha ipotizzato la preesistenza all’insorgere del patriarcato dominante nella storia dell’Occidente, di un’epoca matriarcale, approssimativamente tra il 30.000 e il 3000 aC, che ruotava attorno al culto della Grande Madre.

Secondo questi studi, gli albori della storia umana sono stati contrassegnati dall’impronta unificante di una Grande Dea che governava e governa il ciclo delle stagioni, la fertilità della terra  del bestiame, i moti della luna e delle maree come il ciclo femminile, e che in generale scandiva il ciclo continuo nascita – morte – rinascita che caratterizza la vita[1].

Il culto della Grande Dea ha trovato espressione in una proliferazione di immagini sacre e rituali di chiaro aspetto femminile, “collegate a tutti i principali momenti ed aspetti dell’esistenza umana, dalla nascita all’iniziazione, dal matrimonio, alla riproduzione e alla morte”[2].

Questa venerazione per la Grande Dea è verosimilmente incominciata nel Paleolitico, epoca in cui si è espressa attraverso una pletora di reperti archelogici. In particolare, la studiosa  Gimbutas ha costruito una “sceneggiatura iconografata della religione della Grande Dea nell’Europa antica, consistente in segni, simboli e immagini di Divinità”[3].

Essa era raffigurata nella sua cosmologica funzione generativa, attraverso le note ‘Veneri paleolitiche”, o come le statuette dell’Europa neolitica o dell’Età del Bronzo cretese, cercando anche analogie con la Dea nell’Asia pre – vedica, in Egitto e in Mesopotamia. Tuttavia, secondo Gimbutas, le Dee ereditate dal Paleolitico, come le greche Atena, Era, Artemide e Ecate e le romane Minerva e Diana, non erano solo datrici di vita come reggitrici di morte, ma molto di più, essendo in quanto tali regine e signore.

In particolare, nel Neolitico la Dea assunse i volti di datrice di nascita, rappresentata  nell’atto di partorire, come datrice di fertilità che influenza la crescita  e la moltiplicazione, ritratta incinta e nuda, o come datrice di nutrimento e protezione, rappresentata come donna uccello con seni e natiche sporgenti; oppure venne connessa alla forza vitale ctonia, rappresentata dalla dea serpente, come simbolo di vita e in quanto tale estremamente benevolo (solo in epoca successiva, nell’ambito di una cultura misogina e sessuofobia, rovesciato in un’espressione negativa e peccaminosa); era anche rappresentata nella sua speculare espressione di reggitrice di morte, ritratta come nudo e rigido osso, o attraverso i suoi simboli, ovvero vulve, triangoli, seni, zig – zag, meandri e coppelle.

Dice ancora la Gimbutas: “Simboli e immagini si coagulano attorno alla Dea partogenetica (autogenerantesi) e alle sue funzioni di base di Datrice della Vita, Reggitrice della Morte e – non meno importante – Rigeneratrice, e intorno alla Madre Terra, Dea della Fertilità, che è giovane e vecchia a un tempo, sorgendo e morendo insieme alla vita delle piante”. Questo sistema simbolico si esprimeva attraverso un mitico tempo ciclico, non lineare, che a livello iconografico è palesato dai segni che esprimono movimento dinamico, ovvero spirali rotanti e intrecciate, serpenti, mezzelune, corna, semi germoglianti.

KARMELIA


[1]  Cfr. L. RANGONI, La Grande Madre – Il culto del femminile nella storia,  XENIA 2005, 3 ss.

[2]  Cfr. M. ELIADE (a cura  di), Enciclopedia delle religioni, voce Dea, culto della.

[3]   Cfr. M. GIMBUTAS, Il linguaggio della Dea,  Venexia, Roma , 2008.

 
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Quale Salento ?

Post n°55 pubblicato il 20 Maggio 2012 da Karmelia

                                                                                                                                                      Ho Ho terminato , con grande soddisfazione la lettura dell’eccellente opera ultima di Gianni Simeone, in un consueto  tiepido pomeriggio invernale su una delle baie che decorano la meravigliosa costa alternante calette di sabbia e scoglio, a pochi chilometri  dalla mia città, Taranto, quella dei due mari.

 

 Con la distesa sabbiosa alle spalle guardo come sempre  il mare, oggi calmo, elegante e sinuoso nei movimenti delle onde , penso che forse la Dea Venere potrebbe d’un tratto farsi strada dalla superficie dell’acqua come un accattivante delfino e raggiungermi e svelarmi se il mio mare il “bene” che amo a dismisura, è un mare salentino o calabrese (il che potrebbe essere la stessa cosa…).

A dir la verità la costa jonica   l’estrema che può guardare l’infinitezza del mediterraneo, perché di fronte ha solo quella, non penso si sia posta  mai questo dilemma.

Il problema è solo umano, è quello di chiedere lumi su un’appartenenza o un’altra, che poi certo non cambierebbe il corso della storia o, forse si, perché comunque dalla storia si traggono domande e risposte, per far cosa poi?

Magari per stabilire dei limiti, per alzare dei muri, per stigmatizzare  caste e campanili,  per sentirsi diversi in un massimo comune denominatore : quale Salento, o quale Puglia o quale Albanìa o Calabrìa  come affermava un vecchio mastro muratore leccese. Magari ,invece, per capire meglio se stessi, per agire e pensare diversamente.

Nel suo accuratissimo studio Gianni Simeone con l’occhio del sociologo attento , non ha tralasciato ambito di colta disquisizione svelandoci quanto è difficile porre delle barriere, ma anche quanto lo è sentirci  uguali.

L’identità geografica è un concetto onnivoro , parla di terre natali, di legami parentali, di idiomi, di intimità di coscienze, ci sorregge nella geografia dei viaggi migratori.

Il problema, si ripresenta a cicli storici , spesso sottintende l’ordire stati di sopraffazione dell’uomo sull’altro uomo, partendo magari dal vicino di casa….come la storia vicina e lontana ci racconta.

Il lavoro di Gianni Simeone è un lavoro di analisi e di sintesi, ma si pone in assoluta continuità con gli ambiti che descrive alla ricerca di un fare chiarezza tra i termini, gli idiomi, le culture,i ritmi, le identità perdute e/o ritrovate. Per fare dell’identità un concetto diverso e più ampio, culturale.

E’ un lavoro che può porre dubbi a chi mai se li è posti, ma alla fine apporta aiuto alla risoluzione dei problemi trattati .

Lo fa con lo sguardo di chi, con serena malinconia è fuori e lontano dalla terra che tratta, ma che lo tiene collegato d’amorosi sensi, tanto da ritornarci  per  scrutarne , rispettoso ,gli angoli più bui, più dimenticati o più disincantati ma che pur sempre custodiscono tesori e certezze.

Gianni Simeone viaggia nel tempo, attraversa strade e tratturi tra il candore dei trulli e l’intenso azzurro dei cieli e dei mari di questo luogo baciato dagli dei per la mitezza del clima, la fantasmagoria dei colori, l’assoluta univocità della luce cara ai pittori e la secolarità della pietra e della terra .

Il suo percorso segue i ritmi ora lenti ora  sfrenati come le  pizziche e neopizziche , pur sempre espressioni popolari , oggi colte, di un divenire musicale che contraddistingue in “frame” ondulatori e sussultori gli archetipi delle popolazioni pugliesi o salentine che dir si voglia

L’autore mette in relazioni fatti, uomini, confini , decodifica linguaggi, stati d’animo, luoghi del cuore, ma sempre e comunque trova quel certo “quid” che contraddistingue l’”essere” della sua origine (anzi di una delle tante origini, come per tutti…come dice) di chiare basi salentine-pugliesi che  lo pervade di “giocosa dipendenza” ma pur sempre distaccata  e consapevole  che lo  forma in veste specifica di ricercatore e studioso.

 

Taranto 6 Gennaio 2010                                Carmela Amati

 

 
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LINEA CURVA, LA SACRALITA’ DELLA DEA

Post n°54 pubblicato il 18 Maggio 2011 da Karmelia

Linea curva, concava o convessa, che si svolge a sinusoide, fluida, ciclica, conduce, accoglie, include, pro-muove nel significato etimologico “muovere per”

La linea curva fa parte di un simbolismo antichissimo, il cerchio è il simbolo dell’universale e dell’unità. Sprovvisto di angoli e spigoli rappresenta l’armonia. Il movimento circolare svolge dalla notte dei tempi un ruolo magico e rituale.

Al principio,( non tutti l’ammettono, ma è così), non vi fu il “dio” a linea dritta ed angoli, ma la “Dea” dalla forma archetipa della rotondita ,Natura, Madre, Terra che alimenta , Acqua che disseta.

 Numerose figure femminili steatopige che si ritrovano in scavi nelle terre di tutti i continenti risalgono al Paleolitico ed hanno in comune i caratteri della rotondità sia nella figura intera , come negli attributi dei seni, della pancia,delle cosce.

Famosa è la venere di Willendorf in Austria, la statuetta è caratterizzata dall’ampia circolarità delle forme arrotondate. E’ una venere cicciona ,qui la vulva e i due grossi seni sono non solo di fattezze rotonde ma anche gonfie e pronunciate. Le Dee del paleolitico e neolitico abbondano nelle rotondità della carne ,esplicano simbolicamente la funzione della concettualizzazione della ciclicità umana e naturlale.

La Dea è l’inizio, il percorso, la fine-che-riconverte-in-nuovo-inizio.

La Dea Madre Onnipotente rappresentò il principio generatore dell’universo, a Lei il controllo di vita e di morte, la capacità di generare e rigenerare nell’instancabile ciclo naturale umano e cosmico.

Dal 30000 al 3000 a.C. il mondo ha riconosciuto la propria religiosità nel concetto di “Dea Unica” .

Molti la vogliono derivante dall’ archetipo primordiale  dell’”uroboro”, il serpente circolare con la coda in bocca, il “grande cerchio” una coesistenza di elementi  lunari e solari, femminili e maschili.

La Dea, come l’uroboro , ha coesistenze e consistenze diverse e opposte : il positivo (la vita) il negativo (la morte), è quindi madre buona e terribile, può elargire nutrizione, cure e ne può essere la privazione.

L’elemento materno è la conservazione  che però è solo un frammento del suo dinamismo che perpetra e riproduce in un continuum di variabili e variabilità.

Neumann li indica con i termini di carattere “elementare” e carattere “trasformatore”.

Secondo Jung l’archetipo della Grande Madre e la sua simbologia possiedono una grande varietà di aspetti : in ambito personale può essere madre-figlio, madre,matrigna e suocera;  in ambito concettuale la Dea si connota come la madre di Dio, la vergine intesa come madre ringiovanita ( Demetra e Core), Sophia , e ancora come madre-amante (Cibele-Attis) o come la “meta” nel senso della redenzione del Paradiso o della Gerusalemme Celeste.

In senso ancora più allargato Jung ci ricorda gli altri aspetti simbolici della Dea quali : la chiesa, la patria, il mare, la luna, il mondo sotterraneo, o in senso più stretto, simboli di nascita e procreazione : il campo,la grotta, l’albero, la roccia, la fonte, il pozzo, il fonte battesimale  e …in senso ancora più stretto l’utero, la forma cava, il forno….

Bellissimi esempi di questo simbolismo si trovano nell’icona della nostrana Dea Sirena riprodotta a bassorilievo nella cripta della cattedrale di Acerenza o in un paio di formelle dell’antica porta lignea di una chiesa  di Picerno   nel potentino: qui la sirena dea e regina dalla corona sul capo ,afferra con le mani le due code bifide armoniosamente curveggianti, all’altezza delle spalle mostrando in basso,l’apertura delle stesse,il  luogo sacro della nascita.

La Gimbutas ci parla di colline e pietra come metafora della Madre Terra Gravida. Ci parla di grosse pietre di tipo circolare e piatto dedicate alla Ops Consiua dea Romana della fertilità della terra, che chiuse nelle buche venivano sterrate una volta l’anno alla festa del raccolto. La Dea preistorica della fertilità della terra è indicata nel folklore europeo come la Regina che possiede i segreti della vita delle piante.

Il grande Jung indica la magica autorità del femminile . la Dea possiede la saggezza , l’elevatezza spirituale che trascende i limiti dell’intelletto, ha in sé  i luoghi della magica trasformazione, ciò che non si vede, l’occulto , l’ineluttabile che seduce intossica divora, angoscia, rende vivi.

Popolarissimo in Brasile è ancora il culto di “Yemanja”, madonna-sirena sinuosa vestita di onde, madre-amante di tutti i pescatori di Bahia. Yemanja è il mistero del femminile profondo in cui  si incontrano mito e desiderio.   

Sirena donna dei pescatori o Sirena Vergine?

Essa incarna le facce opposte di una femminilità che vuole sfuggire dai canoni ordinati  del gruppo sociale a tutela del valore della famiglia patriarcale .

Espone un corpo doppiamante tondeggiante la  Dea babilonese “Ishtar”. Come in genere le altre icone di dee è nuda perché non le servono coperture, come altre dee ha l’immagine della luna sul capo, è la personificazione di quella forza della natura che rivela se stessa come colei che dà e toglie la vita, è madre di tutti. Da lei proviene il potere della riproduzione e della crescita dei prodotti dei campi , degli animali e di donne e uomini. Per una naturale transizione è anche la Dea dell’amore sessuale e la protettrice delle prostitute.

Il carattere duplice e ambivalente è la  caratterizzazione della dea preistorica. La sacralità sta appunto nell’ibrido, la compresenza di caratteri opposti e differenti non si trova in natura , appartiene al sacro.

Qualcuno la considera come “l’impenetrabile mistero femminile”

Dispensatrice di vita ma anche distruttrice, come la luna nel suo periodo crescente sviluppa le cose e nella fase calante le sminuisce. Ma la luna crescente ritorna di nuovo e la luce subentra all’oscurità.

La Dea dal paleolitico ad oggi con i suoi dinamici simbolismi è a tutti gli effetti un  archetipo , e, come tale prende forma nell’inconscio collettivo che si ricostruisce nelle icone mitologiche rituali che ancora possiamo ammirare nelle immagini di migliaia di anni fa come in quelle di validi artisti e autori contemporanei

                                                                         

                                                                  Carmela Amati

 
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A proposito di “Templecombe”

Post n°53 pubblicato il 08 Dicembre 2009 da Karmelia

 

A dare il nome ad un  villaggio inglese del Somerset, vicino Salisbury chiamato nel Medio Evo “Combe Templariorum”, fu un gruppo di cavalieri templari che nel XII secolo vi costruirono una precettoria .

La peculiarità del luogo è caratterizzata dalla scoperta avvenuta durante il secondo conflitto mondiale , nella chiesa “St.Mary’s Church,  di un dipinto molto particolare, risalente al 1200 , che rappresenta il volto di un uomo .

Il dipinto è senza aureola ma può essere  attribuito al volto di Cristo in quanto ha delle somiglianze con l’immagine del volto della Sacra Sindone, custodita a Torino.

La somiglianza avvalorerebbe la tesi che il Sacro Lenzuolo possa essere entrato in possesso dei Templari tanto che ad esso si ispirarono per la formulazione del volto del dipinto di Templecombe che ancora giacente, fino al  ritrovamento di qualche decennio fa , nella chiesa di St.Mary era con tutta probabilità  fonte di preghiera nelle cerimonie religiose.

Dal sacro al profano…. Il dipinto con capelli fluenti e barba potrebbe essere l’immagine del famoso “Baphomet” l’idolo che secondo le accuse di idolatria rivolte ai Cavalieri di Cristo  fu una delle cause della condanna e della soppressione dell’Ordine .

                                                                                 Carmela Amati

 
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LA DEA BASILISSA

Post n°52 pubblicato il 28 Ottobre 2009 da Karmelia

                                          

 

Anche Taranto ha la sua antica fonte e il suo antico  culto della Dea.

La scoperta è avvenuta  grazie agli ultimi lavori di scavi archeologici sul litorale ionico a pochi chilometri dalla città, luogo in cui si presuppone sia avvenuto lo sbarco degli antichi greci che giunsero a colonizzare la costa.

Gli scavi recenti hanno riportato alla luce il  “ Santuario della sorgente” in zona Saturo, poco distante dalla Villa Romana del IV secolo.

Gli archeologi indicano il luogo come sacro per la pratica del culto della Dea Basilissa, cioè della Dea Regina.

Qui è stato ritrovato un vaso che riporta un’iscrizione votiva della Dea da parte di una donna di nome Cleocrateia.

Il “Santuario della sorgente” è un’antichissima fonte intorno alla quale si svolgevano con molta probabilità, riti votivi prematrimoniali dal VII secolo a.C. al VII secolo d.C.

Il ritrovamento del’antica fonte è costituito da un piccolo sacello a pianta rettangolare al cui interno era posta una statua di divinità femminile.

E’ da supporre con certezza che le nubende attingessero dalla fonte l’acqua per i riti prematrimoniali .

Anche a Taranto  la Dea  era la Dea Regina  protettrice delle spose e del matrimonio.

 
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