Decima Flottiglia...

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Nota personale: Ancora una volta i ricordi ed i racconti di mio padre. Il ribelle da processareErano i primi mesi del ’45 ed era destinato in uno dei depositi militari della Decima dalle parti di Carpenedo (VE).  Ricevette l’ ordine di prepararsi  per  tradurre a Pola un ribelle catturato che doveva essere processato dal tribunale Militare.  L’ indomani gli avrebbero messo a disposizione un autocarro ed un autista. La sera lo prese in disparte un ufficiale della “Decima” (non ricordava piu’ il cognome) che gli  disse piu’ o meno cosi’: “Se domani per strada succede qualcosa, non fate gli eroi!” Al mattino, mentre l’ autista riscaldava il motore del camion, portarono il “ribelle”, un giovane studente veneziano, cosi’ almeno gli era stato detto, figlio di un fornaio. Il ragazzo, prima di salire sul camion si rivolse a mio padre chedendo: “…i te ga dito qualcossa  per mi?” Di botto la risposta di mio padre: “Si, de  portarte a Pola che i te devi  processàr” Giunti in prossimita’ di un ponte da dietro un muretto – raccontava ancora mio padre – parti’ una raffica di mitra che sembrava solo un avvertimento… sparata per non far male a nessuno e per non colpire il camion, solo per costringerlo a fermarsi.Memore dell’ avvertimento… non fece l’ eroe, ne’ lo fece l’ autista. Un balzo fuori dalla cabina e a rotoloni nel fosso. Non ci fu alcuna reazione, nessuna altra sparatoria… si rialzarono, salirono sul ciglio della strada: del “ribelle” nessuna traccia, degli assalitori nemmeno. Con la comprensibile preoccupazione, proseguirono per Pola e fecero rapporto al comando. Mio padre si aspettava qualche dura punizione… in fin dei conti si era lasciato scappare un prigioniero, un partigiano da processare!  Gli furono concessi invece due giorni di permesso da trascorrere a Trieste, con i genitori e la fidanzata.  Al termine dell’ insperata licenza, rientro con l’ autista a Carpenedo, si presento’ all’ ufficiale che gli aveva affidato il prigioniero, riferi’ dell’ accaduto e ancora una volta non successe nulla.  Come se fosse gia’ stato tutto previsto, anzi – spiegava mio padre – organizzato.Ma a che scopo? Chi era quel “ribelle” e soprattutto era davvero un “ribelle”. Tentammo piu’ volte di trovare una risposta o almeno di sapere il cognome del giovane studente veneziano, per cercarlo, per vedere se era ancora vivo, se qualcuno sapeva della sua avventura… Non venimmo a capo di nulla. Passando gli anni nella mente di mio padre affioravano sempre piu’ lontani ricordi… Pisa, i bombardamenti di Livorno, le giornate a tirar da sotto le macerie donne, bambini e vecchi assassinati dalle bombe dei “liberatori” , l’ 8 settembre, il ritorno a piedi verso casa, la cattura da parte dei cosacchi, la tradotta verso la Germania, il bombardamento a Peri, ancora una volta a piedi verso Trieste, la decisione di arruolarsi nella Repubblica Sociale, i rastrellamenti sul Carso sloveno… gli occhi dei maro’ caduti, strappati dai titini e spediti ai commilitoni in piccoli pacchetti… le stelle rosse conficcate nelle orbite vuote, il trasferimento del suo reparto a Venezia, la fine della guerra, la “quarantena” titina di Trieste, l’ epurazione…Ma di quel fatto, di quell’ episodio accaduto a poche settimane dalla fine di una guerra che sapevano oramai perduta… di quel comportamento cosi’ inusuale dei suoi superiori, non sapeva darsi ragione.  Se ne e’ andato qualche anno fa con un dubbio: chi era davvero il figlio del fornaio? Un partigiano venuto a trattare con la Xa per concedere una via di uscita ai reparti? Uno della Xa che doveva infiltrarsi tra i partigiani, per trattare la resa o la comune azione contro gli slavi? O forse davvero un “ribelle” catturato e da processare a Pola… L’ ipotesi che potesse essere qualcuno che, da una parte o dall’ altra, tentava di trovare un modo onorevole per uscire dalla tragedia e magari far fronte comune contro i titini era quella che lui avrebbe voluto fosse confermata Mentre noi, io e voi, ancora potremmo avere dei dubbi, lui almeno la risposta – da Qualcuno e da qualche parte – l’ha sicuramente avuta!