Creato da irsdd il 19/03/2009
Istituto di Ricerca demoantropologica, linguistica e storica

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Settembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 

Ultime visite al Blog

irsddVirginia.Cirillimariarisolei1980maria.sdanganelliAristoteles65kartcassanoevelinedgl16potamesiiole.reacompact1lai.interdimaio3d1carinodolce
 

Chi può scrivere sul blog

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« Per SAVERIO STRATIVISIONI DELL'ALDILA' »

LA FESTA PERDUTA

Post n°2 pubblicato il 20 Marzo 2009 da irsdd

La festa perduta

 

   Era festa, a Cassano, il giorno di Santa Filomena. Ci si svegliava, la prima domenica di agosto, coi grugniti striduli dei porcellini, di cui si faceva gran mercato. Ci si vestiva in fretta e, senza soldi in tasca, si correva a Sant’Agostino, dove la fiera ci aspettava coi galletti impastoiati, il sorbetto di ghiaccio grattato, i fichi d’India, i torroni, le noccioline, i cocomeri, i mostaccioli, le faccette nere e le bancarelle stracolme di giocattoli di cartone e di latta, cappelli di paglia, vestiti usati, zappe, bidenti, falci; dove la Santa dei  miracoli ci aspettava tra odor d’incenso, fumo acre di ceri, afrore di sudore stantio, grande calca, canto solenne e appassionato di tante voci:

 

O Santa Filomena,

                                                           Figghja d’ ‘u Spirdu Santu,

                                                           Accetta il mio canto

                                                           Co’ lla tua gran gran santità.

 

   Santa Filomena. Bella, i capelli biondi inanellati, il volto roseo, gli occhi perduti al cieli e la palma in mano, la veste ricamata d’oro. Introibo ad altare Dei, il sacerdote, con la splendida pianeta rossa, simbolo di martirio, incedeva solenne sui bassi gradini dell’altare maggiore, ad Deum, qui laetificat juventutem meam. E le donne, sudate, abbandonate, rapite:

 

                                                           Filomena risponde:

                                                           - O caro padre mio,

                                                           La Vergine Maria

                                                           No’ lla posso mai più lascià’ -.

 

   La chiesa di Sant’Agostino ribolliva, c’era ressa, c’era frastuono di voci oranti basse, vibranti, alte, frementi, balbettanti, singhiozzanti. Alla santa dei miracoli i miseri gridavano la loro angoscia, a lei affidavano la loro speranza:

 

                                                           Filomena fu ‘nchiusa

                                                           Il giorno ventisette,

                                                           Maria le cumparette

                                                           E le fece questo parlà’:

 

   I cieli aperti le donne oranti volevano che accogliessero le loro preghiere, come nella mezzanotte dell’Assunta, quando, ancora a Sant’Agostino, sul sagrato, in ginocchio all’aperto, elevavano la loro preghiera, sicure che nella notte misteriosa, in cui i Cieli si spalancano ad accogliere nella gloria la Madre di Cristo, la Madre di tutti, anche la loro voce sarebbe salita fin lassù, e sarebbe stata udita, e la loro parola accolta e le loro richieste esaudite:

 

- O Filomena cara,

statti custant’e forte,

ca li Celest’aperte

tutt’a ttia stan’aspettà’ -.

 

   Era un andirivieni per tutto il giorno. La ressa in chiesa si moltiplicava per il largo e per le strade adiacenti. La banda musicale, quella celebre del maestro Giannicola, intonava all’infinito inni e marce trionfali, e ad essi si frammischiavano i ritmi serrati delle tarantelle, eseguite con irrefrenabile accanimento da organetti, tamburelli, bottiglie e chiavi con la comparsa sporadica di qualche cupi cupi, a cui nessuno badava, perché quello era strumento per la notte di Santa Lucia e per il Santo Natale. Il frastuono era grande, la folla tanta, i venditori gridavano la loro mercanzia, i maialini grugnivano disperati, il caldo faceva il resto, e il bibitaro, quello del ghiaccio grattato con lo sciroppo, un tipo alto, allampanato, secco e ossuto, un po’ adunco, le mani artigliate, con cui ghermiva l’intero blocco di ghiaccio, e il cocomeraio, tondo come i suoi meloni d’acqua, facevano i loro affari. Lo spirito della festa aleggiava e impregnava di sé uomini, animali e cose.

 

                                                           E ‘nnu bikkìer’ ‘i gakkua,

                                                           ‘Na ffeddhicèddh’ ‘i péane,

                                                           La bella Filomena

                                                           Più bella mo’ si farà.

 

   Compiuto il rito, pregata, cioè, la Santa con tutto l’abbandono dell’anima e del corpo, baciata la sua veste di broccato, sfregato il fazzoletto sul suo viso, pieni di speranza, anzi, certi di ottenere ciò che avevano chiesto con tutta la forza del loro essere, carichi della potenza della taumaturga tanto celebrata dal Santo Curato d’Ars, custodi gelosi del piccolo panno, con cui avevano toccato il sacro corpo, a cui avrebbero fatto ricorso quando il male avrebbe preso il sopravvento, i fedeli sciamavano fra le bancarelle, scherzando, ridendo, salutando festosamente, guardando e si facendosi guardare con quei loro vestiti della festa. Compravano poco, ma la rossa fetta di cocomero sì, soprattutto i fidanzati. Ah, quel rosso fresco del cocomero, che beava la bocca e riscaldava l’anima. E la granita pure, e il torrone. Facevano parte della festa. Quelli che potevano compravano il porcellino, il chirillo, che “avrebbero cresciuto” con i rimasugli della mensa e avrebbero scannato, ricco e grasso, nel tempo sacro di Natale. Noi, incantati, frastornati, felici, percorrevamo il labirinto di persone, bancarelle, cani randagi, muli carichi di merce. Mio nonno mi comprava il sorbetto con lo sciroppo d’amarena. Mi piaceva tanto. E mio padre il cavalluccio di cartone. Lo squartavo appena tornato a casa per scoprire che cosa ci fosse dentro la pancia. Mia madre, giovane e radiosa, tornava con il santino benedetto. Bello, con la santa ritratta con colori vivaci e la preghiera sul verso. Lo inseriva nell’interstizio del vetro della cristalliera, dove già altri santi facevano bella mostra, facendomi fantasticare per via di quelle loro sublimi e terribili storie mille volte narrate dalla placida nonna.

 

                                                           Senti sunà’ li gloria

                                                           E tutte li cambane,

                                                           La santa Filomena

Alli ciele mo’ se ne va.

 

   Giovanni XXIII, il Papa innovatore e lungimirante, ha cancellato Filomena dalla lunga lista dei Santi. Ragioni storiche. La festa, d’un tratto, è, così, svanita, e la fiera con essa. Ed è svanita l’attesa gioiosa d’incontrarsi, parlarsi, riconoscersi nello sguardo dell’altro, nel saluto dell’altro, nel sorriso dell’altro, di parlare con la Santa per svelarsi a lei, perché lei spiegasse la sua potenza contro il male.

   Ancora oggi qualcuno chiama la figlia Filomena, e qualche donna prega ancora la gran Santa, e a lei si rivolge fidente nel momento del bisogno. Perché le ragioni della fede di un’anima dolente non sono quelle della storia.

 

                                                           La Santa Filomena

                                                           Alli ciele mo’ se ne va.

Leonardo R. ALARIO

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963