Ombre e luci

....inverno 95/96


Aprii gli occhi e con un movimento brusco mi voltai perguardare che ore fossero sulla sveglia al lato del mioletto. Non avevo dormito molto mi accorsi, ma quellepoche ore mi erano sembrate lunghissime econfortevoli: non sentivo più le fitte brucianti alla schienae mi stiracchiai per cancellare dai muscolil’intorpidimento del riposo.Rimasi a guardare il soffitto, persa nel debole chiaroreche filtrava dai battenti socchiusi del balcone; unastriscia bianca attraversava diagonalmente la stanza eminuscoli granelli di polvere rimbalzavano nel fascio diluce. Guardavo ipnotizzata quel balletto di puntinibianchi e avvertivo in quel segno, la presenza amica ebuona del sole che fuori già illuminava il paesaggio.Precipitosamente mi buttai dal letto e corsi aspalancare le finestre; la pioggia della notte prima avevalasciato il terreno nero e liscio, marcandoprofondamente i solchi che dividevano le coltivazioniconfinanti. La mimosa che, gigantesca occupavaun’ampia visuale davanti al balcone, nascondeva dietrole sue chiome le altre case. Lasciava cadere dalfogliame fitto milioni di stille d’acqua che, nell’incontrocon i raggi del sole, si trasformavano in silenziosidiamanti purissimi che gocciolavano per terra.
  Con riluttanza mi allontanai e scesi al piano inferioreper fare colazione. Pensando che avrei sicuramentesaltato il pasto, mi riempii lo stomaco della crostata cheavevo preparato il giorno prima. Mi sarebbe piaciutoquel giorno rimanere a casa, sprofondata nel letto caldocon i miei libri da leggere, ma dovevo prepararmi perandare come tutti i giorni al lavoro.Sotto la doccia, che resi interminabile, iniziai a scorrerequegli ultimi dieci mesi… Il licenziamento dopo due anni da un lavoro che miaffascinava e il cui datore era anche il mio uomo, miaveva lasciato  residui di impotenza e sconfitta.Quando la nostra storia giunse alla fine, chiesi unappuntamento per incontrarlo nella sua azienda e glicomunicai, senza preavviso, che avrei lasciato anche illavoro come addetta alle pubbliche relazioni del suoufficio politico. Secondo la mia logica, contraddetta dapiù persone, la sua presenza nella mia vita non era piùconciliabile con l’attività lavorativa: avrei preferitochiedere l’elemosina,ma dovevamo star lontani. Avreipotuto chiedere aiuto a diverse sue conoscenze (ancheparlamentari) di darmi una mano:avevano di me moltastima, ma l’orgoglio la ebbe vinta e sparii anche dalcerchio delle sue amicizie.Per caso mi giunse dopo due mesi notizia di un lavorostagionale come segretaria in un’industria dellazona; potevo respirare almeno per i prossimi tre mesi enon mi lasciai sfuggire quell’opportunità. Durante laprecedente pausa forzata, avevo anche vinto unacrociera in un programma televisivo e visto chel’impegno in fabbrica sarebbe terminato asettembre, optai per quella data il viaggio.Egitto, Turchia, Israele, Grecia, Spagna…Il tour nelMediterraneo che decisi di fare da sola, pur avendovinto 2 biglietti, rappresentò per me il giusto riposo delguerriero. Inizialmente scettica e timorosa di affrontarequell’avventura in solitudine, la decisione si rivelò dasubito idonea al mio reale bisogno. La cabina sul pontePrincipale munita di oblò e 2 letti a castello, diventòpresto l’oasi di pace…Nessuno con cui dividere ilbagno, né condividere programmi (di cui ci fornironouna lista stracolma), magari sentendomi in colpa se nonavessi voluto partecipare; a disposizione 2 armadi perriporre il bagaglio e la mia pila di libri di cui era piena ametà la valigia: cosa desiderare di più! Soltanto il tavoloda pranzo che mi fu assegnato prevedeva ospiti...Duecoppie di sposi (una campana, l’altra siciliana) e lamoglie del cuoco (napoletana), rappresentarono lacompagnia piacevolissima non soltanto delle grandiabbuffate, ma anche quella delle escursioni a cuipartecipai. Mi sedetti nel piatto doccia, lasciando che il gettod’acqua mi sferzasse i piedi…La pausa crociera miaveva certamente ritemprato da un periodo di fortitensioni emotive, ma io sapevo che in fondo conducevouna lotta con la mia stessa esistenza non trovando maiappagamenti…né sentimentali, né lavorativi, néspirituali. La torchiavo come un’arancia la mia vita, cosìcome si fa con le spremute…ero troppo curiosa discoprirne il succo che io chiamavo senso…Risultò faticoso pormi troppe domande in quelmomento: mi stava prendendo il freddo e poi non volevosoffermarmi su interrogativi che mi stavanoalienando. Mi avvolsi nell’accappatoio e mi preparai perriandare al lavoro…Lo avevo scovato su un giornale di annunci: ”Cercasiprocacciatrice telefonica per vendita prodottierboristici”. Quando contattai i gestori, dopo il ritorno dalviaggio e questi mi proposero un corso di unasettimana per imparare i primi rudimenti divendita, nonché principi e nozioni di erboristeria,risposi, mentendo, di aver avuto altre esperienze nelcampo e che potevo iniziare da subito. Fui creduta edue giorni dopo incominciai.Ripensai alla pioggia, al buio e alla paura della notteprecedente tornando a casa e la serenità che mi avevatrasmesso la tiepida giornata mi abbandonò. Un sensodi profondo sconforto mi prese guardandomi allospecchio. ”C. non sei più tu quella che si sta guardandoe i tuoi occhi piangono!”. Dissi questa frase ad altavoce e mi vergognai di sentirla; abbassai lo sguardo emi allontanai dalla stanza... Uscii di casa richiudendo laporta alle mie spalle; un sordo, soffocante malumore siera impadronito di me, nonostante il sole sfolgorassenel cielo…*continua