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Messaggi del 14/04/2010

 

Teofanie cosmografiche(VIII parte) ...

Post n°410 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

... E’ quasi premonizione di quanto

un giorno, alle pendici dei Vosgi,

si sarebbe disvelato all’umanità intera.

Il mito fondante, la visione

moralizzatrice di un destino

mediato dall’intervento divino

sempre presente, sono ingredienti

che ritornano vigorosamente anche nell’iconografia del mappamondo

affrescato valtellinese.

Gli storici dell’arte che si sono

occupati della “Sala della Creazione”

dove campeggia l’opera geografica

del Vopell, sono concordi nel

sostenere gli affreschi religiosi momento celebrativo a suggello dell’atto

maritale, avvenuto nel 1576,

tra il cattolico Carlo I Besta e

Anna Travers, nobildonna di famiglia protestante. Nel ciclo pittorico gravitante attorno all’affresco geografico

in discorso, spicca la totale assenza di rappresentazioni antropomorfe

delle divinità. Si legge in

filigrana, poderosa, l’influenza

esercitata dalla cultura protestante

dei Travers, famiglia allora molto

potente ed influente in Valtellina.

E’ ovvio che l’arrivo nella famiglia

Besta del nuovo membro femminile,

legato spiritualmente a teorie

riformiste d’oltralpe, abbia peso

non indifferente nella scelta dei

motivi decorativi a carattere religioso della splendida sala. Modelli figurativi

protestanti, grondanti contenuti

sacri cattolici che, però, hanno

avuto origine da quel grembo inesauribile costituito dal mondo culturale umanistico fiorentino, dove tutto ha inizio, e che,

come in un cerchio, consente al tutto di concludersi decorando le pareti

di una nobile dimora in un piccolo

sperduto borgo medievale delle

Alpi retiche. Lo splendido mappamondo affrescato da anonimo nel 1570,

proprio per sua natura strutturale,

per forma e per contenuti, riconduce inesorabilmente alla sagoma del

mappamondo del 1507 elaborata

dal cenacolo vosgense.

E’ inevitabile pensare, a questo

punto, che anche l’affresco

valtellinese celi nel suo profilo,

la stessa simbologia mariana

della carta francese. Fu, dunque,

scelta strategica mirata quella dei

cattolicissimi Besta, d’utilizzare un mappamondo palliografico, e

quindi mariano, all’interno di un

ciclo d’affreschi dagli influssi

“riformisti”? Si voleva così equilibrare,

in estremo atto sincretistico, i contenuti mediatici degli stessi, troppo

sbilanciati verso idee riformate?

Esaminando l’impianto iconografico

del manufatto geografico valtellinese

attraverso l’implacabile crivello offerto

dalla matrice palliografica, allo stato

dell’arte,

diventa più che plausibile pensarlo. 

“… Non sempre le cose stanno come

sembrano …”.           

Esopo, Favole, 4, 11

Bibliografia

Baratono D., Le Abbazie ed il segreto delle Piramidi. L’Esagramma, ovvero le straordinarie Geometrie dell’Acqua, Genova, ECIG, 2004.

Dolcetti P., Ferecide di Atene testimonianze e frammenti, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2004.

Colli G., La sapienza greca, II, Milano, Adelphi, 1978.

Diogene L., Vite dei filosofi, Bari,Ed. Laterza, 2005.

Mangani G., Cartografia morale, Modena, Franco Cosimo Panini, 2006.

Ronsin A., La fortune d’on nom America, Grenoble, Jérome Millon, 1991.

Formisano L., Iddio ci dia buon viaggio e guadagno, Firenze, Ed. Polistampa, 2006.

Piani C., L’affresco Geografico di Palazzo Besta di Teglio, Firenze, in Rivista Geografica Italiana, n°111 settembre 2004, pp.543-550.

Piani C., Baratono D., La carte dévoillée du Palazzo Besta, Actes du colloque Saint-Dié-des Vosges, baptise les Ameriques, Musée Pierre Noël, 2008, pp.71-81.

Bettini A., Americae Retectio, ricostruzione di un processo creativo, Genova, in Columbeis, III, Darficlet, 1988.

Franceschini P., La cappella Vespucci del ramo d’Amerigo il Navigatore nella chiesa di Ognissanti a Firenze, s.e., Firenze, 1898.

Schmidt C., Mathias Ringmann (Philésius), umaniste alsacien et lorrain, in Mémoires de la Société d’Archéologie Lorrraine et du Musée Historique Lorrain, III, 1875.

 

Milano, presso l’Istituto di Geografia Umana dell’Università statale

 
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Teofanie cosmografiche (VII parte)...

Post n°409 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

...Waldseemuller.[1]                                               

L’azzardo nostro è volere dimostrare l’esistenza della simbologia sacra del mantello, celata da oltre cinque secoli, fra i tratti sinuosi di una delle più importanti carte rinascimentali conosciute. In altri termini, si è fermamente convinti che le puntuali sintesi iconico-cosmografiche rintracciate, oltre ad essere raffinatissima elaborazione di una o più “occultae mentis” posizionate a livello di retroscena nel contesto di questa vicenda, conservano strutture semantiche tutt’altro che trascurabili. Anzi. I contenuti sono rivelatori del diretto coinvolgimento tra chi, in qualche modo, ripristinando certa continuità storica ricodifica primordiali simbologie sacre proiettandole nelle profondità narrative del documento cardine per la storia della geografia, ossia la carta del Waldseemüller, e chi perpetua “tradizioni sapienziali” dai contenuti non sempre allineati con la cultura ufficiale del momento, ossia il mondo umanistico fiorentino. La nostra chiave di lettura trova, infatti, favorevole riscontro in certi significativi passaggi epistolari ed in precise raffigurazioni pittoriche, testimonianza di contatti intercorsi, fra il mondo culturale umanistico italiano e quell’erudito

Fig. 6 Ghirlandaio, Madonna della Misericordia, 1472-73.           operante a Saint-Dié-des-Vosges agli inizi del secolo XVI. Oltre alla lettera datata ottobre 1507 inviata da Renato II al cardinale Francesco Soderini, fratello del gonfaloniere Pier Soderini, ritrovata in questi ultimi anni dal professor Benoit Larger,[2] l’ipotesi di stretto rapporto fra Saint-Diè e Firenze, si mostra stillare copioso, ad esempio, dalla collazione tra quanto scrive Amerigo Vespucci nella sua lettera a Pier Francesco de Medici, di cui si riporta l’originale datato Siviglia 28 luglio 1500, la “Nota d’una letera scrive Amerigo Vespucci….”, e l’introduzione della “Cosmographiae introductio” stilata dal cosmografo vosagense Martin Waldseemüller nel 1507: “… Ho acordato, Magnifico Lorenzo, che, così come v’ò dato conto per letera di quanto m’è ocorso, mandarvi due figure della descrizione del mondo fate e ordinate di mia propria mano; e sapiate che sarà una carta in figura piana e uno apamondo in corpo sperico…”.

…con l’aiuto dei libri di Tolomeo secondo una copia greca e aggiungendo le quattro relazioni di Amerigo Vespucci, ho preparato una rappresentazione del mondo in sfera solida e piana…”.

Da questo passo, ma non è l’unico, emerge un’informazione preziosa. Gli eruditi lorenesi sembrano aver preso spunto per il loro testo, proprio dalle lettere autografe d’Amerigo. I pregiati manoscritti, si deve ricordare tuttavia, non erano certo disponibili a chicchessia, nella Firenze dell’epoca.[3] Altro elemento indicativo nell’insieme, è il dipinto fatto realizzare sempre dai Vespucci a Firenze nella chiesa d’Ognissanti. Realizzato dal Ghirlandaio intorno al 1472, curiosamente a vent’anni esatti dalla scoperta ufficiale del “Nuovo Mondo”, il dipinto oltre a presentare evocativi connotati religiosi cari ai fiorentini, ripropone il motivo simbolico ricorrente in questo studio: la “Madonna della Misericordia” ed il suo “mantello”. Sotto il manto della figura mariana compaiono, disposti in modo da configurare evocative, quanto elusive, disposizioni geometriche, dodici personaggi: Sant’Antonino più undici rappresentanti della famiglia Vespucci. Tra questi fa capolino, giovane ed imberbe, Amerigo. Il volto del giovane Amerigo presenta caratteristiche uniche, ben riconoscibili. I suoi tratti fisionomici, infatti, sono perfettamente sovrapponibili a quelli del volto, ora invecchiato, dell’Amerigo Vespucci rappresentato in cartiglio in alto a destra, nel mappamondo murale del 1507 del Waldseemüller. Non esistono altre immagini del navigatore fiorentino con stessi identici tratti identificativi.[4] Come spiegare, dunque, la notevole “coincidenza” figurativa? Per quanto noto, è possibile che gli eruditi lorenesi acquisiscano il bozzetto riproducente Amerigo in maturità, direttamente a Firenze, dalla famiglia stessa del navigatore. E’ possibile, seconda ipotesi, che in seguito a spostamenti in Italia dell’umanista Matthias Ringmann, gli alsaziani vengano a conoscenza dell’insolita rappresentazione mariana presente a Firenze, nella chiesa di Ognissanti. [5] Colpiti dall’insolita immagine mariana definita dal Ghirlandaio, ne realizzerebbero copia. Si spiegherebbe così, la sorprendente sovrapponibilità geometrica intercorrente tra la sagoma del mappamondo vosagense ed il contorno del manto della Vergine, realizzato dal Ghirlandaio per il casato Vespucci. La terza ipotesi potrebbe pensarsi commistione delle due precedenti. Il profilo del manto mariano, dunque, si rivela essere il software, che suggella gesta narrative cosmogoniche antiche, quelle di Ferecide, che riconducono al “terzo giorno della Creazione”. E’ anche forte richiamo, nondimeno, a quel 25 aprile del 1507, giorno in cui, per la prima volta, agli occhi degli uomini si dischiudono orizzonti geografici certo nuovi, ma inspiegabilmente già definiti, misurati, quasi perfetti. Si tratta di un “Mondus novus” per cui sarà coniato il toponimo “America”, inglobato maternamente in un grembo palliografico dissimulato sì, ma trasudante, in ogni caso, forti connotati simbolico-persuasivi.[6] La scritta impressa sullo stilobate ai piedi della Vergine ideata dal Ghirlandaio per i blasonati Vespucci, in effetti, esalta il significato mitopoietico e pedagogico del momento creativo in parola. L’iscrizione latina recita: “della misericordia di Dio è piena la terra”. Significativamente, il salmo poche righe dopo descrive anche il “terzo giorno della Creazione”.[7]



[1] Claudio Piani, Un rebus in soluzione: l’affresco geografico del ciclo della creazione, in V Settimana della cultura, Palazzo Besta di Teglio, nuove proposte di studio, Archivio di Stato di Sondrio, 2003, A Teglio nella Sala della Creazione di Palazzo Besta, in Settimanale della Diocesi di Como, Cronaca Sondrio cultura, p.30, Como, 2003.

[2] Benoit Larger, Les gymnase vosgien et ses réseaux: le cardinaux. Lettre de procuration de René II, roi de Sicilie et duc de Lorraine à Francois Sodérini, cardinal de Sainte Suzanne, Actes du colloque: Saint-Dié-des-Vosges, Baptise les Ameriques, annex, pp. 82 - 87, Musée Pierre-Noël, Saint-Dié-des-Vosges, 2008.

[3] Luciano Formisano, Iddio, ci dia buon viaggio e guadagno, ms. 1910, Codice Vaglienti, pp. 20 - 22, Firenze, 2006.

[4] Esistono impianti iconografici similari, con immagini di personaggi illustri, nello “studiolo” del Duca Federico da Montefeltro risalenti alla seconda metà del secolo XV. Si tratta, quindi, d’iconografie coeve al dipinto del Ghirlandaio realizzato per la chiesa d’Ognissanti. E’ inevitabile pensare ad una circolazione continua d’idee nel periodo.

[5] I contatti finora qui evidenziati con l’Italia da parte del cenacolo dei Vosgi attraverso la figura dell’umanista Matthias Ringmann, sono comprovati dalla lettera di Gianfrancesco Pico della Mirandola, nipote di Giovanni Pico, scritta e indirizzata a Matthias Ringmann, ed inserita dallo stesso, nell’edizione tolemaica edita a Strasburgo nel 1513. Nell’epistola datata 29 agosto 1508 si attesta che Pico fornisce al Ringmann, partito da Strasburgo in direzione di Novi Ligure, dove allora risiede il nipote di Giovanni Pico, un codice geografico greco che permette una migliore traduzione dell’opera di Claudio Tolomeo in via di realizzazione. Il codice è riferibile attualmente al Bav.Vat.Gr.191. Ringmann da Novi ligure prosegue verso Ferrara dove incontra un altro letterato, Lilio Gregorio Girali. Questo non è il primo viaggio in Italia del Ringmann. Nel novembre del 1505, infatti, aveva già incontrato Gianfrancesco Pico nella città di Carpi. E’ dopo questa sua visita, che Ringmann decide di proseguire verso Firenze per allacciare rapporti con la famiglia Vespucci? Entrò nella chiesa di Ognissanti per visitare le tombe degli avi di Amerigo rimanendo colpito dall’immagine affrescata della Madonna della Misericordia che li sovrasta, suggerendola in seguito a Gautier Lud, fervente mariano, Lud, infatti, fu colui che nel 1494 introdusse la festa della presentazione della Vergine al Tempio, per utilizzarla come modulo strutturale del planisfero del 1507? Ricordiamo che Ringmann era in animo giusto per recepire particolari stimoli religiosi. Nel 1504, infatti, studia a Parigi nel collegio del cardinale Le Moine: essendo allievo dell’umanista Jacques Lefèvre d’Etaples, abbraccia le idee spirituali-mistiche della devotio moderna. Questo movimento riformista avvicina il credente attraverso un percorso spirituale misericordioso, che lo porta ad immedesimarsi con la figura stessa del Salvatore, secondo una visione della religione molto più personale. Da sottolineare inoltre l’opera in “Sintagma de musis” pubblicata nel 1511dallo stesso Ringmann. Frutto dell’incontro con l’umanista ferrarese Lillio Girali, partendo dalle notizie che gli antichi greci e latini davano sul nome e sull’origine delle Muse, Ringmann, in questo suo lavoro chiarisce la questione sul perché le virtù morali, le qualità intellettuali, le scienze e i tre continenti del Vecchio Mondo abbiano sembianze e nomi femminili. Esempio, quindi, illuminante di come l’alsaziano fosse sensibile alla tematica della raffigurazione retorica della donna come imprescindibile utero da cui tutte le arti e le virtù morali ebbero forma ed origine.

[6] Giorgio Mangani, Amerigo Vespucci e la meditazione cartografica, Riv. Geogr. Ital., 112, pp.523-540, Firenze, 2005, si segnalano a riguardo in questo studio, le note (4) e (7) dove Mangani sottolinea alcuni passaggi fondamentali, basandosi proprio sulle ipotesi da noi prospettate a partire dal maggio 2003, in merito alle quali la sagoma proiettiva della grande carta murale stampata a Saint-Dié-des-Vosges nel 1507, possa celare un ermetico messaggio simbolico caritatevole, ossia misericordioso.

[7] Salmo 33, 5. Altro salmo molto interessante in questa prospettiva è il 104, Inno a Dio creatore, dove esplicitamente si parla di manti e drappi in relazione all’atto creativo.

 
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Teofanie cosmografiche (VI parte)...

Post n°408 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

...Clemente, nello stesso passo, accenna a figura di quercia alata, o terebinto, pianta simboleggiante solitamente sapienza vergine e misericordia, su cui è disteso il particolare pallio ricamato. L’abbinamento del  atomanto con l’albero, origina valori semantici ben superiori alla semplice somma delle singole parti in gioco. Si tratta, infatti, di significati paradigmatici tanto potenti da improntare, governandolo, l’atto più sacro ed insondabile dell’intero ciclo mitologico: la creazione nel terzo giorno del mondo e della realtà apparente in cui esso si agita. Particolare indicativo, è il movimento “fisico” del pallio geografico: da posizione avvolgente sulle spalle di Gea, a sistemazione aperta sui rami del sacro albero alato.[1] Alla vista, è inevitabile, il manto disteso assume precisa, inequivocabile, inconfondibile configurazione. Si tratta della stessa sagomatura riscontrata in peculiari rappresentazioni sacre cristiane: le Madonne ed i Santi che aprono le braccia in segno di protettiva accoglienza. Sono questi i soggetti deputati ad indossare manti la cui valenza, senza dubbio, è misericordiosa. L’iconografia, però, sembra riprendere tratti e posture di figure antropomorfe molto più antiche, caratterizzanti rappresentazioni rupestri dell’età del Bronzo con soggetti, i cosiddetti “oranti”, in atteggiamento votivo ed a braccia spalancate. Il modulo dalla speciale impronta figurativa “pallioforme”, sembra trasparire anche dal contorno proiettivo di figurazioni geografiche quali la carta del 1507 di Martin Waldseemüller o quella seriore di Caspar Vopell. L’immagine del mantello, suggestiva per evocare l’antico mito ferecideo, curiosamente sopravvive nel tempo. A distanza di duemila anni, infatti, nel secolo XVI, si ritrova medesima rappresentazione, integra nel significato, utilizzata da alcuni artisti per celebrare l’epocale momento della scoperta e battesimo del Nuovo Mondo. Stradanus, ad esempio, per realizzare la composizione figurativa della sua “Americae retectio”, ripropone ingredienti mitologici esclusivi della teofania immaginata da Ferecide. La scoperta dell’America, meglio d’altri, sembra essere topos privilegiato dove l’atto del “disvelamento”, mitologicamente sacro in Ferecide, si trasfigura assumendo colorazioni di puro atto creativo, ancora sacro sì, ma ora dalle forti modulazioni cristiane; più precisamente, “mariane”. Con la scoperta del “Nuovo Mondo”, all’intero genere umano si è rivelata la quarta parte del mondo. Il manto, che per Ferecide è ingrediente catalizzatore della creazione, si ritrova, nella rappresentazione dello Stradanus, sfondo eccellente per tratteggiare l’idea commemorativa originatasi nell’uomo rinascimentale sull’epocale impresa. Stradanus è noto per pregevoli incisioni sulla visione allegorica dell’America, che in genere rappresenta come donna nuda, soggetta allo sguardo vigile d’Amerigo Vespucci, in sembianze marziali. L’elemento che più colpisce osservando la sua “Americae retectio”, è proprio il drappeggio con cui il mantello quasi domina, avvolgendolo, il globo terracqueo. La scena è carica di figure simboliche: la colomba, palese richiamo allo Spirito Santo, tiene con il becco un apice dell’ampio tessuto. Enigmatico, Giano, rappresentante la città natale di Cristoforo Colombo, ossia Genova, curiosamente, tenta invano di sollevare la sua porzione di manto. L’azione del “disvelamento”, invece, si rivela di facile esecuzione per la figura opposta a Giano. Si tratta di Flora, chiaro riferimento a Firenze, patria dell’altro protagonista della vicenda, ossia Amerigo Vespucci. Sottili le allusioni riferibili alle imprese dei due navigatori. Si tralasciano, tuttavia, per concentrare l’attenzione sul panneggio avvolgente del maestoso mantello. Chi ha dimestichezza con modelli figurativi sacri, osservando il mantello profilato da Stradanus, scorgerà immediatamente forte similitudine con rappresentazioni di “Madonne misericordiose”, che utilizzano l’apertura del proprio manto per contenervi al di sotto, particolari vedute scenografiche.[2]

Il pallio teso dalla colomba, ossia dallo Spirito Santo, dunque, diviene potente ancorché imperscrutabile riferimento a Maria. Maria, quindi, unica mediatrice possibile tra dimensione trascendente ed immanente, partecipa in maniera dinamica all’azione, offrendo aiuto protettivo al disvelamento del Nuovo Mondo, attraverso il suo generoso abbraccio universale. L’intreccio d’allusioni iconografiche tanto intense ed articolate, grazie al “palium geografico” suggerito da Ferecide di Siro, incomincia ad acquisire significato. La profilatura del manto presente nell’“Americae retectio”, infatti, oltre a richiamare l’emblema palliografico caratteristico delle Madonne misericordiose, si riallaccia chiaramente ad uno dei più conosciuti mappamondi del secolo XVI, ossia quello realizzato nel 1507 a Saint-Dié dal geografo e matematico Martin Waldseemuller.[3]



[1] Corre obbligo ricordare la mitologia greca, con il “Vello d’oro” dell’“ariete alato”, dedicato ad Ares e conservato disteso su quercia nel bosco sacro al dio, nonché l’avventurosa epopea marittima dei cinquantacinque navigatori “Argonauti”. Gli ingredienti, coerentemente, sono sempre gli stessi. E’ ancor più interessante, inoltre, il sottile richiamo alla clamide tessalica, giacché pure Giasone proveniva dalla Tessaglia.

[2] L’iconografia in parola, è riscontrabile sia nella raffigurazione trecentesca della famosa Madonna fiorentina di Peregallo, sia nell’antico logo mariano della Fabbrica del Duomo di Milano. Il ricorso alla protezione mariana contempla dunque non solo aspetti significativi per nobili famiglie o per anonimi devoti e disciplini. E’ anche impiegata per emergenze architettoniche e piante di città, lasciando già intuire l’utilizzo futuro che di questa simbologia pallioforme si farà anche in ambito cosmografico. Il panneggio delle Madonne misericordiose, dunque, si presta bene per essere trasformato da semplice immagine sacra, in un vero e proprio sipario scenografico, sotto il quale si dispiegano a guisa di diorama sfondi paesaggistici i più diversi. Troviamo un esempio di simile utilizzo iconografico anche nelle splendide Madonne dipinte dal francese Enguerrand Quarton nel 1553-54 o in quelle di Giorgio Martini dove riscontriamo Maria proteggere la città di Siena da eventuali calamità sismiche.

[3] Claudio Piani, Un rebus in soluzione: l’affresco geografico del ciclo della creazione, in V Settimana della cultura, Palazzo Besta di Teglio, nuove proposte di studio, Archivio di Stato di Sondrio, 2003, A Teglio nella Sala della Creazione di Palazzo Besta, in Settimanale della Diocesi di Como, Cronaca Sondrio cultura, p.30, Como, 2003.

 
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Teofanie cosmografiche (V parte)...

Post n°407 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

L’ermetica rappresentazione amigdalica è tanto efficace, da essere ancora utilizzata, nel 1457, nel famoso planisfero denominato “Atlante genovese”, per via delle simbologie araldiche contenute, appartenenti alla nobile

Fig.2 Mappamondo a mandorla, Ranulf Higden.     

 

famiglia degli Spinola.[1]

Era tradizione abbastanza consueta, dunque, concepire certe carte geografiche come moduli figurativi dai contenuti religiosi non sempre “in chiaro” per modalità d’espressione. Il linguaggio simbolico adottato, spesso è criptico. I contenuti, tuttavia, risultano “decrittabili” ed “operativi”, nel momento in cui si riesce ad individuare la versatile chiave di lettura, il software, a sua volta in grado d’attivare i differenti hardwares coinvolti, ossia mappamondi a forma di clamide, Cristi Pantocratori e Madonne Misericordiose, riducendo il tutto ad unico, comprensibile linguaggio. Per quanto conosciamo, la “Creazione del Mondo nel suo terzo giorno” è il potente software di riferimento da utilizzare in quest’ambito culturale. Si può aggiungere, inoltre, che la carta di Palazzo Besta, presentando tutti i tratti simbolici sin qui messi in evidenza,

Fig.3, Atlante genovese, 1457. 

appartiene, a fortiori, al medesimo genere simbolico-descrittivo. L’azione primigenia che innesca l’“Atto” per eccellenza, è dar forma, plasmare e controllare una matrice primordiale indefinita. L’atto è autoreferenziale, nel senso che assume tutta la sua efficacia ed energia nel momento in cui il Creatore, manifesta a se stesso l’opera finita in ogni suo dettaglio, compiacendosi del lavoro ultimato. La materia a questo punto è riconoscibile, fisicamente localizzata nello spazio e di conseguenza nel tempo. Disparate rappresentazioni fotografano questo momento fondante: riportano ad antichi topoi, presenti nelle più remote tradizioni, da quell’egiziana fino a quella greca per proseguire fino a quell’ebraica, attraverso miti e leggende. In proposito, episodio mitologico particolarmente interessante tra i numerosi che hanno attirato la nostra attenzione, è certo l’elaborazione mitopoietica del filosofo presocratico greco Ferecide di Siro, del secolo VI a.C. Le sue idee, sono raccolte nell’opera cosmografica: “La caverna dei sette anfratti”. Il racconto, attraverso azione sacrale molto suggestiva e particolare, celebra le nozze mistiche tra Zeus e la Terra, Ctonia, in seguito Gea. L’avvenimento sancisce nuovo ordine cosmico. La divinità, incontra Ctonia, la Terra, ancora informe da plasmare e identificare. Le depone quindi sulle spalle un mantello ricamato, ideale “strumento pedagogico”, dove compaiono le terre, i monti, i mari e le città: “…per lui fanno le case, molte e grandi. E dopo che le ebbero portate a termine, tutte, assieme ad arredi e a servitori maschi e femmine, e a tutte le altre cose necessarie, ecco, quando tutto risulta pronto, fanno le nozze. E quando giunge il terzo giorno delle nozze, allora Zas fa un manto grande e bello, e su di esso intesse in vari colori Terra e Ogeno e il palazzo di Ogeno … volendo invero che le nozze siano tue, con queste ti onoro. Ma a te salve da me, e tu con me congiungiti. Ecco come furono per la prima volta – dicono – i riti del disvelamento: da ciò prese poi origine la consuetudine, sia per gli dèi sia per gi uomini. Ed ella gli ribatte,ricevendo il manto da lui…”.[2] Nel frammento papiraceo del III - IV secolo d. C., scoperto nel 1897 da Grenfell e Hunt, è descritta particolare ed enigmatica rappresentazione cosmogonica. La potenza plasmante del manto geografico intessuto da Zeus, nell’avvolgere la massa terrena, realtà immanente ma indistinta ed offuscata, informe ma incorrotta, rappresentata appunto da Ctonia, darà vita al cruciale processo formativo. La grezza spazialità sferoidale acquisirà, attraverso l’omaggio onorifico del “mantello”, potente atto sacro, le sembianze di Gea, ossia della Madre Terra. Avverrà, la metamorfosi, proprio il terzo giorno, secondo progetto precostituito di chi ha già in mente, il chiaro disegno cosmografico da realizzare. Il mito di Ferecide delle nozze tra Zas e Ctonie, prima che fosse ritrovato il frammento citato, era parte di testimonianza lasciataci da Diogene Laerzio: “ Zas orbene e Tempo furono sempre, e Ctonie: ma a Ctonie toccò il nome di Terra, dopo che Zas la onorò dandole la terra in dono”. Clemente Alessandrino (150-215 d.C.), ecclesiastico greco profondamente intriso di pura spiritualità neoplatonica, substrato mistico-culturale questo, ripreso nel secolo XV proprio a Firenze da Argiropoulo, Cusano, Ficino, Pico della Mirandola, nei suoi “Stromata”,[3] riecheggia lo stesso mito: “…un mantello grande e bello, e in esso raffigura Ge e Ogeno e le case di Ogeno…”.



[1] Osvaldo Baldacci, L’ecumene a mandorla, in Geografia n°23, settembre-ottobre, pp.132-138, Roma, 1983.

 

[2] Papiri greci, II II, IV secolo d.C.

[3] Tessuti, stoffe, tappeti.

 
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Teofanie cosmografiche (IV parte)...

Post n°406 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

...Il simbolo della “mandorla mistica”, riferisce di tentativi mirati a fondere e dissimulare, anche attraverso innovative dimensioni geografiche, trascendenza ed immanenza, creatore e creazione. Per intendere meglio il discorso occorre abbandonare per un attimo la visione iconografica cristiana medievale, e risalire nel tempo, a quando visse il greco Strabone d’Amasia (64 a.C. - 20 d.C.), storico e geografo tra i più importanti dell’antichità. Nei diciassette libri della sua autorevole e vasta opera sulla “Geographia”, Strabone descrive più volte il mondo quale grande isola a forma di clamide. Per Strabone, che: “… lo schema dell’ecumene abbia forma di clamide è assolutamente chiaro, dal momento che le estremità orientali e occidentali si rastremano a ugnatura, battute dall’Oceano, e diminuiscono di larghezza …. Strabone, nel passo citato estratto dal “Libro II”, utilizza il preciso termine “clamide”. Il significato del vocabolo “clamide”, equivale a “pallio”, in pratica, a “mantello”. Il capo d’abbigliamento in parola, sorta di corto mantello, era indossato dagli antichi guerrieri greci tessalici; di fattura semicircolare si portava sulla spalla sinistra. Strabone insiste in merito alla peculiare forma ellittica data ad alcuni mappamondi, con sagomatura riconducibile appunto alla foggia della clamide; ma perché utilizzare un siffatto termine di paragone? Tecnicamente, il modulo geometrico della mandorla-clamide, è funzionale, forse, a migliore trasposizione su piano bidimensionale, delle coordinate sferiche tridimensionali ricavate “misurando” il mondo reale. Strabone, invero, si sofferma frequentemente sulla similitudine intercorrente tra rappresentazione geometrica e mantello. Ciò induce a ritenere le riflessioni del geografo greco, come sarà meglio confermato in seguito, contenere ben altri e più carsici riferimenti iconografici e simbolici. Questi riferimenti, dopo la debita ricodifica, sono confluiti in altri orizzonti culturali. Peculiari correlazioni tra allegorie sacre cristiane ed alcune carte geografiche sembrerebbero confermare l’idea. Il profilo a guisa di mandorla, rappresenterebbe dunque, per il primo mondo cristiano, la stilizzazione del simbolo acquatico dell’ICHTHYS, del “pesce cristico”. L’amigdala racchiude, letteralmente, testimonianza di tentativi sincretistici orientati da un lato a stigmatizzare e dall’altro ad assorbire e ricodificare, modelli simbolici molto più arcaici, legati originariamente al potente, indelebile culto della “Magna mater”, al suo fertile organo sessuale, apertura imprescindibile dalla quale erompono forme di vita sempre nuove. Il simbolo ittico cristiano dell’“ICTUS”, del “pesce eucaristico”, include percorsi metonimici facilmente rintracciabili. Partendo da archetipi primordiali totalmente muliebri, questi evolvono ramificando sia nella simbologia “al maschile” del Cristo Pantocratore, sia mantenendo l’antica allusione “al femminile” fiorendo nel dolce richiamo mariano. La raffigurazione in parola, in ogni caso, non è esclusiva delle iconografie sacre medievali. La cosa è alquanto curiosa, poiché la geometria amigdalica si ritrova involucro d’alcune raffigurazioni zodiacali, come riscontrabile nel “Très Riches Heures del Duca di Berry, del 1413, ed inoltre, già cornice per alcune rappresentazioni geografiche del secolo XIV. Queste ultime, realizzate dal monaco inglese Ranulf Higden, rappresentano capitolo a se stante, nello scenario cartografico medievale. Il motivo che ha indotto il religioso a realizzare tali carte geografiche, tuttavia, non è ancora del tutto chiaro. Potrebbe essere ipotesi plausibile, che il monaco inglese, veduti casualmente arcaici manufatti geografici di forma ellissoidale, sia rimasto colpito dalle inusuali fattezze utilizzate. Il religioso intuisce, forse, che gli antichi adoperavano forme e moduli iconografici identici a quelli codificati poi dal mondo cristiano. Per il monaco recuperare la versione greca dei mappamondi a forma d’amigdala-clamide, rimaneggiarne il contenuto allegorico originario sostituendolo mediante iconografie dal tenore cristiano come la “vesica piscis”, effigie del Cristo, sembra diventare atto spontaneo, forse perché a lungo meditato. I mappamondi medievali a forma d’amigdala-clamide, secondo nostro ragionamento dunque, suggellano nel loro interno elevati e delicati concetti sincretistici, che riportano indietro nel tempo, a primigenie tradizioni mitico-simboliche assimilate, rivalutate e trasfigurate in nuovi emblemi religiosi. Al contempo, nondimeno, i mappamondi medievali rimangono veri e propri strumenti di lavoro al servizio di più pragmatiche attività mercantili, mestieri scanditi a loro volta da un’imprescindibile, irrinunciabile unità di misurazione temporale: la lunghezza dell’“amen”. Spazio religioso e dimensione del quotidiano, forse per la prima volta, vengono a trovarsi armonicamente integrati.

 
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Teofanie cosmografiche (III parte)...

Post n°405 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

... L’originale profilo policircolare che avvolge e determina la tipologia di proiezione del mappamondo valtellinese, si è sostenuto più e più volte, è inequivocabilmente riconducibile alla medesima sagomatura “palliografica”[1] impiegata dal Waldseemuller per incorniciare la sua carta del 1507. Questa ormai è storia. A seguito d’ulteriori indagini, nondimeno, la nostra ricerca partita dal mappamondo murale lombardo, raggiunge acuti toni sacri, apprezzabilmente subliminali, inaspettatamente universali.[2] Il Medio Evo vede utilizzare i mappamondi come vere e proprie pale d’altare o, si è già detto, quali mirate integrazioni iconografico-didascaliche, scelte per ornare pagine di preziosi salteri. Le immagini geografiche, diventano pregiati sottofondi d’accompagnamento, stimolano le menti dei fedeli attraverso la “materializzazione” visiva d’episodi citati nelle sacre scritture. I mappamondi, percepiti come veri e propri emblemi religiosi, erano impregnati della stessa carica simbolica consueta sia in altre raffigurazioni sacre più ricorrenti, sia nei testi a queste abbinati. Di fronte a rappresentazioni geografiche tanto consistenti, il fedele avvertiva, potente e simultanea, duplice spinta emotiva: a raccogliersi in preghiera e, contemporaneamente, ad aprirsi, a “viaggiare” con la sua mente verso il mondo. L’immagine del Cristo, spesso sovrastante le rappresentazioni cosmografiche in discorso, riprende posture classiche specifiche del “Cristo Pantocratore”. La figurazione sacra del Cristo Pantocratore, solitamente, è dipinta nel catino absidale delle chiese medievali. Cornice caratteristica all’immagine del Cristo, diviene la figura geometrica della cosiddetta “mandorla mistica”. Speciale involucro ellissoidale a racchiudere l’immagine divina, intenso simbolo sia della “Maiestatis Domini” sia della “Regina Coelis”,

Fig.1, Cristo Pantocratore.                                                         

ossia di Maria, nel primo cristianesimo la mandorla o amigdala, assume intonazione, per dir così, “esoterica”. La nuova religione”, infatti, nei difficili momenti aurorali della sua comparsa, utilizza la “mandorla”, splendida metafora geometrico-simbolica riferente all’Acqua, per trasmettere valori e contenuti del tutto propri. L’amigdala diverrà, di qui per sempre, anche la “vesica piscis”, diretto richiamo al noto “ICHTHYS”, acronimo di: Iesous CHristos THeou Yiòs Soter, ossia Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore.[3] La “vesica piscis” ha modellato semplice, ma quanto mai efficace a livello simbolico. Si ottiene geometricamente intersecando due circonferenze. Ora, in qual modo l’antica simbologia religiosa qui considerata, rientra nel percorso d’indagine intrapreso? Per qual motivo la “mandorla” o “vesica piscis”, custode di precisi linguaggi figurativi religiosi, si trova riecheggiata in alcune particolari carte geografiche, come quella realizzata nel 1507 da Martin Waldseemüller e quella, seriore, dipinta nella Sala della Creazione? Qual è, se esiste, il nesso tra “amigdala”, “vesica piscis” e “mantello”?



[1] A forma di mantello, mariano in questo caso, come si vedrà oltre.

[2] Claudio Piani, Diego Baratono, La carte dévoillée du Palazzo Besta, Actes du colloque: Saint-Dié-des-Vosges, Baptise les Ameriques, annex, pp.71-81, Musée Pierre-Noël, Saint-Dié-des-Vosges, 2008.

[3] Si veda a questo proposito: Le Abbazie ed il segreto delle Piramidi. L’Esagramma, ovvero le straordinarie Geometrie dell’Acqua, Diego Baratono, 2004, Genova, pag. 89 e segg.

 
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Teofanie cosmografiche (II parte)...

Post n°404 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

...Ugo da San Vittore, scrive nel prologo della sua  Descriptio mappae mundi”: “Sapientes viri, tam seculari quam ecclesiastica litteratura edocti in tabula vel pelle solent orbem terrarum dipingere, ut incognita scire volentibus rerum imagines ostendant, quia res ipsas non possunt presentare…”. L’idea tanto corretta quanto moderna, che le rappresentazioni per immagini in genere, geografiche in questo caso, aiutino a recepire meglio i concetti rispetto ai testi scritti cui s’accompagnano, sarà ribadito successivamente, anche da Ruggero Bacone e da Francesco Petrarca. Petrarca, infatti, proclama i mappamondi addirittura superiori al viaggio fisico stesso. Si trasmette in qualche misura l’idea, che questi particolari oggetti non sarebbero semplici costruzioni decorative ma vere e proprie finestre sul mondo, interiore ed esteriore, della conoscenza. Potenti varchi virtuali nel tempo e nello spazio in grado di trasportare istintivamente chiunque sia partecipe, in luoghi lontani, sconosciuti, instillando ricchi contenuti pedagogici in chi osserva. Nel Medio Evo, inoltre, i mappamondi erano utilizzati per “spiegare illustrando”, aspetti appartenenti sia alla dimensione trascendentale e religiosa, sia a quelli più pragmatici ed immanenti dell’ambito secolare loro contemporaneo. La domanda è inevitabile: anche la carta affrescata di Palazzo Besta assume dunque, queste funzioni dai chiari connotati didattico-meditativi?[3] Cerchiamo di capirne di più.


[1] History of Cartography World Wide Web, Newsletter 2003, summer, Editor’ News, pp.3-4.

[2] Claudio Piani, L’affresco geografico di Palazzo Besta, Riv. Geogr. Ital., 111, 2004, pp.543-550, Firenze, 2004.

[3] Giorgio Mangani, Il sentimento del paesaggio nel Lario e nelle Marche, relazione alla seconda conferenza internazionale di ricerca “ La cultura del paesaggio tra storia, arte e natura” (Lovena di Menaggio, Como, 2006).

 
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Teofanie cosmografiche ...

Post n°403 pubblicato il 14 Aprile 2010 da diegobaratono

Teofanie cosmografiche,

ovvero l’origine del

“Sacro manto geografico”.

      di Claudio Piani e Diego Baratono

“ …Niente è tanto difficile che, cercando,

non si possa venirne a capo …”.            

Terenzio, Heautontimoroumenos

 Risale ormai all’anno 2003, l’identificazione della fonte iconografica radice del mappamondo affrescato sulla volta della cosiddetta “Sala della Creazione”, spettacolare ambiente nella dimora rinascimentale dell’antica famiglia dei Besta a Teglio. L’importante scoperta, oltre ad innescare discussioni sulla diffusione di ben determinata scuola cartografica rinascimentale,[1] nella fattispecie quella teutonica riferibile al matematico Caspar Vopell, ha portato alla nostra considerazione pressanti interrogativi sulla presenza di così ricercato e particolare manufatto, in contesti socioculturali apparentemente privi di particolari interessi su questioni geografiche ormai lontane. In nostri precedenti studi,[2] si è evidenziato come le pitture racchiuse nella splendida volta della sala in discorso, orbitanti appunto intorno al mappamondo vopeliano, sono fedele racconto per immagini del ciclo biblico della Creazione”. In dettaglio si trovano rappresentati: la “Genesi della Luce”, la “Separazione delle Acque”, la “Creazione degli Animali terrestri, dei Pesci e degli Uccelli”, la “Creazione delle Stelle”, ed in ultimo, la “Creazione d’Adamo ed Eva”. Importante l’iconografia a fondamento d’alcune scene dipinte nella volta, in particolare quell’inerente alla nascita d’Eva: in buona misura, questa sembra replica di figurazioni prototipiche, circolanti in ambiente prettamente toscano. Più precisamente, si tratterebbe delle creazioni riferibili all’artista senese Bartolo di Fredi, le cui opere pittoriche, eseguite verso la metà del Trecento, sono ancora splendidamente conservate nella navata sinistra della Basilica di Santa Fina a San Gimignano. L’indicazione, si vedrà meglio in seguito, è di vitale importanza per avvicinare ed intendere l’insolita strutturazione e culturale e sociale, che ha consentito, ad una località decentrata quale si direbbe Teglio, l’elaborazione e la gestione sapiente, di potenti modelli espressivi, per dir così, “ermetici”. Sono molto particolari le tematiche in discorso, invero, maneggiate finanche in modo disinvolto in questo contesto prettamente montano. Si direbbero costruzioni mentali radicate, piuttosto che altrove, nel + sofisticato mondo fiorito alla luce ed al calore della Firenze umanistico-rinascimentale, ora trasformatasi in straordinario forno alchemico, influente “atanor” formativo radiante cultura a trecentosessanta gradi. La sala del mappamondo valtellinese, ha dimensioni raccolte in 48 mq; è esposta a Nord e molto probabilmente era adibita a stanza da letto od a biblioteca. Tutti gli indizi portano ad immaginare un utilizzo del locale come luogo di raccoglimento, d’ozio, soprattutto, di meditazione. I mappamondi che sovente decoravano questo genere di locali, erano ingredienti propedeutici all’ideale svolgimento di determinate pratiche meditative. Le scene dipinte, infatti, solitamente ricoprivano notevole funzione didascalica per l’osservatore. L’ornato si rivelava essere vero e proprio trattato di storia universale illustrata consultabile in ogni momento, senza la “fatica” di sfogliare ingombranti quanto delicate pagine di costosissimi libri. Il “mappamondo”, come buona parte delle poche storie universali ed enciclopedie circolanti nel Medio Evo, aveva lo scopo di concentrare su di se la sintesi dell’intera opera che lo conteneva. Il mappamondo, si è già detto, svolgeva “anche” la funzione di riassunto per immagini. Non è da meno, quindi, la decorazione pittorica ideata per l’interno della “Sala della Creazione”, che acquista valenze polarizzanti, in grado di condensare tutte le immagini bibliche presenti nel locale, in unico continuum spazio-temporale ...

 

 
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