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Messaggi del 05/07/2017

 

L'AMERICA L'OSSIGENO E IL MERITO DELLA SCOPERTA

Post n°1424 pubblicato il 05 Luglio 2017 da diegobaratono

DA: "cicap.org"

L'America, l'ossigeno e il merito della scoperta

Lavoisier fu sicuramente il primo al mondo a definire l'ossigeno così come oggi lo conosciamo. Ma non certo il primo ad individuare la sostanza aeriforme, che poi ha assunto quel nome. A chi spetta allora il merito della scoperta? Al primo che ha individuato la specifica sostanza o al primo che ne ha determinato le caratteristiche effettive?
    img
    Cristoforo Colombo ©Wikipedia 
    Salpato il 3 agosto 1492 dalla barra di Saltes, di fronte a Huelva (l'odierna Palos, in Spagna), il 12 ottobre 1492 Cristoforo Colombo (1541-1506) approdò a un'isola dell'arcipelago delle Bahamas, Guanahani, che chiamò San Salvador. In quel momento egli ritenne di aver finalmente raggiunto la costa orientale delle Indie. Tuttavia, nel corso della terza spedizione (1498), iniziò ad avere qualche dubbio. Era possibile, infatti, che le sue navi si fossero imbattute in una «terra grandissima della quale fino ad oggi non si è saputo nulla». Sarà Amerigo Vespucci (1454-1512) a stabilire con esattezza che quella terra non era il favoloso oriente raccontato da Marco Polo (1254-1324), ma un «altro mondo», come sottolineato da Niccolò Copernico (1473-1543) nel primo libro del De revolutionibus orbium coelestium (1543). Le esplorazioni del navigatore fiorentino (al servizio del Portogallo) dimostrarono che la costa sudamericana si estendeva per miglia e miglia senza soluzione di continuità (Vespucci scese fino alla latitudine di 50° sud). Si trattava dunque di un nuovo continente, ignorato dalla geografia tradizionale. Fu così che il geografo Martin Waldseemüller (1470-1520) propose, nel 1507, di battezzare da Amerigo il continente «America», anche se per molto tempo ci si riferì a quelle terre come al «Nuovo Mondo». Dunque chi ha scoperto l'America? Colombo o Vespucci? 

    Nel 1752 il medico scozzese Joseph Black (1728-1799) individuò una specifica sostanza gassosa, diversa dall’aria comune, che denominò «aria fissa», descrivendone le proprietà: non manteneva la combustione ed era nociva alla respirazione animale. Si trattava dell'anidride carbonica, la nostra (CO2), ma gli scienziati dell'epoca ancora non potevano saperlo, visto che la chimica moderna doveva ancora nascere. Nei decenni successivi vennero scoperte moltepliciarie. Ciò determinò la nascita di un nuovo filone di ricerca, la chimica pneumatica. Intorno alla natura dell’aria fissa si aprì una accesa controversia nella quale si inserì anche un giovane chimico francese, Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794). 

    Ispirandosi ai principi filosofici dell'Illuminismo, Lavoisier rifiutò una visione qualitativa della struttura della materia, evitando di basare i suoi studi sull’esistenza di elementi o principi primi stabiliti a priori, prima di ogni esperienza di laboratorio, così come avveniva nell'ambito dell'aristotelismo (aria, acqua, terra, fuoco) o nel variegato universo dell'alchimia (zolfo, sale e mercurio). Analizzando i processi di combustione e di calcinazione (termine utilizzato per indicare l’operazione che sottopone una sostanza ad elevata temperatura per allontanarne tutte le sostanze volatili, oppure il processo applicato ai metalli per ottenere una calce, ovvero un ossido), si convinse che tali processi non potevano essere dovuti alla perdita di flogisto, la mitica sostanza imponderabile, la cui esistenza era stata teorizzata da Georg Ernst Stahl (1659-1734). 

    Piuttosto andavano attribuiti alla fissazione nei corpi di una specifica aria, sicuramente diversa da quella atmosferica. Nel 1772 Lavoisier dichiarò all’Académie des Sciences di Parigi di aver scoperto che lo zolfo, sottoposto a combustione, aumentava di peso e si convertiva in acido vitriolico (SO2), assorbendo una notevole quantità d’aria che si fissava in esso e che era all’origine del suo aumento ponderale. Anche il fosforo si comportava allo stesso modo. Inoltre, era probabile che lo stesso fenomeno fosse alla base dell’aumento di peso dei metalli sottoposti a calcinazione. 

    image
    Antoine-Laurent de Lavoisier ©Wikipedia
    Contrariamente a quanto aveva concluso Lavoisier, Louis-Bernard Guyton de Morveau (1737-1816), che pure aveva dimostrato in maniera inequivocabile, grazie ad accurate esperienze quantitative, che i metalli sottoposti a calcinazione aumentavano di peso, cercò di spiegare il fenomeno attribuendo al flogisto un peso negativo; una soluzione effettivamente stravagante: «il flogisto, essendo più leggero dell’aria, deve diminuire in questo mezzo il peso del corpo al quale si unisce; (...) questa diminuzione deve essere considerata come il prodotto dell’eccesso della sua leggerezza rispetto all’aria. (...) In tal modo, benché ogni addizione di materia aumenti il peso assoluto di un corpo, è possibile che il flogisto, aggiunto ai corpi, non aumenti il loro peso specifico, ma lo diminuisca in un mezzo aeriforme». L’artificiosa spiegazione di Guyton de Morveau non poteva certo soddisfare Lavoisier. Consapevole che la questione dell’aria fissa fosse destinata a produrre degli effetti rivoluzionari sugli sviluppi della chimica, il 20 febbraio del 1773 Lavoisier annotò sul proprio registro di laboratorio un piano di indagini sperimentali, i cui risultati videro la luce negli Opuscules physiques et chimiques, che apparvero a Parigi nel dicembre 1773, pur recando la data gennaio 1774. 

    Lavoisier, tuttavia, non aveva ancora compreso la differenza tra l’aria che si fissava, ad esempio, nei carbonati e quella che aveva a che fare con l’aumento di peso delle calci metalliche. Ma la soluzione al problema non sarebbe tardata ad arrivare. Nell'agosto del 1774 Joseph Priestley (1733-1804), scaldando l’ossido rosso di mercurio sotto una campana rovesciata, raccolse un nuovo gas che aveva la capacità di mantenere in maniera vivace la combustione. Si trattava dell’ossigeno, classificato come «aria deflogisticata», cioè del tutto priva di flogisto. 

    Nel frattempo, la stessa aria venne isolata, in maniera del tutto indipendente, da Carl Wilhelm Scheele (1742-1786), che la chiamò «Feuer Luft» (aria di fuoco). 

    Lavoisier comprese che le caratteristiche dell’aria deflogisticata consentivano di risolvere tutta la questione. Nella primavera del 1775 stabilì la differenza esistente tra le varie arie fino ad allora scoperte (fissa, infiammabile, flogisticata, deflogisticata, ecc.). 

    Il 26 aprile lesse all’Académie des Sciences una celebre memoria nella quale definì l’agente responsabile dell’aumento di peso delle calci metalliche, ovvero degli ossidi: «il principio che si unisce ai metalli durante la loro calcinazione, che ne aumenta il peso e che li costituisce nello stato di calce, non è altro che la parte più salubre e più pura dell’aria. Infatti, se l’aria, dopo essere stata in una combinazione metallica, ritorna libera è in uno stato eminentemente respirabile ed è più adatta dell’aria atmosferica a mantenere l’infiammabilità e la combustione dei corpi». 

    Nel Mémoire sur la combustion des chandelles dans l’air atmosphérique et dans l’air éminemment respirable (1777), offrì quindi una chiara descrizione della composizione dell'aria atmosferica, stabilendo che essa era un miscuglio di gas, composto principalmente da ossigeno e azoto, termini coniati dallo stesso Lavoisier, la cui nuova nomenclatura è alla base di tutta la chimica moderna. 

    Dunque Lavoisier fu sicuramente il primo al mondo a definire l’ossigeno così come oggi lo conosciamo. Ma non certo il primo ad individuare la sostanza aeriforme, che poi ha assunto quel nome. A chi spetta allora il merito della scoperta? Al primo che ha individuato la specifica sostanza o al primo che ne ha determinato le caratteristiche effettive? Facendo un paragone con le vicende relative a Colombo abbiamo a disposizione due alternative: se Colombo ha scoperto l’America, allora Priestley e/o Scheele hanno scoperto l’ossigeno; se invece riteniamo che sia stato Lavoisier a scoprire l’ossigeno, allora dobbiamo dire fu Vespucci a scoprire l’America, e non Cristoforo Colombo. 

    Riferimenti bibliografici
    • M. Ciardi. 2003. Breve storia delle teorie della materia, Roma: Carocci.
    • M. Ciardi. 2013. Terra. Storia di un'idea, Roma-Bari: Laterza.
    • C. Colombo. 1992. I diari di bordo, a cura di M. L. Fagioli, Pordenone: Edizione Studio Tesi.
    • A.-L. Lavoisier. 2005. Opuscoli di fisica e di chimica, a cura di M. Ciardi e M. Taddia, Bologna: Bononia University Press.
    • P. Rossi. 1991. Il passato, la memoria, l’oblio, Bologna: Il Mulino.

 
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INAUGURATA LA "CITTA' DEL VINO"

Post n°1423 pubblicato il 05 Luglio 2017 da diegobaratono

DA: "cronachedigusto.it"


Inaugurata la Città del vino a Bolgheri, tra Super Tuscan, assaggi e realtà virtuale

on 04 Luglio 2017. Pubblicato in Scenari


(ph Decanter.com)

“Le scenografie durano lo spazio di un film, questo è per sempre”. Così presentava la nuova Città del Vino di Bolgheri il tre volte premio Oscar Dante Ferretti uno dei responsabili del progetto. 

Il nuovo Museo dedicato al vino si trova presso il Casone Ugolino, un’antica fattoria cinquecentesca appartenuta alla famiglia della Gherardesca. Il Museo ha una superficie di oltre 1.500 metri quadrati che si affaccia sulla campagna e sui terreni della Bolgheri Doc e si sviluppa su due piani. Il Musem combina esperienze storiche, culturali, sensoriali e multimediali “una sorta di esplorazione visiva, olfattiva e sensoriale della storia del vino che condurrà il visitatore attraverso le diverse epoche che hanno accompagnato l’evoluzione del vino in questo territorio, fino a una visione del futuro”, dice Dante Ferretti. Il percorso storico è curato da Attilio Scienza, che accompagnerà i visitatori alla scoperta delle tradizioni vinicole e gastronomiche dagli Etruschi ai Romani, a quelle medievali ed ottocentesche. Un susseguirsi di sale dove sarà possibile assaggiare cibi e vini ispirati all’epoca di riferimento, ed osservare attraverso video multimediali la storia e i metodi di coltivazione delle varie epoche. Si accede poi ad un percorso dove grazie alle ultime tecnologie olografiche i visitatori potranno vedere ed ascoltare la storia direttamente dai suoi protagonisti , in una sorta di realtà virtuale. All’uscita del percorso multimediale in un’apposita area si potranno degustare ed acquistare i vini del territorio. Il piano superiore sarà un open-space, con tavoli e spazi dedicati a degustazioni, presentazioni e riunioni di lavoro, ma anche di relax, convivialità e aggregazione.

Le scenografie disegnate da Ferretti sono state realizzate a Roma, da un team di professionisti, selezionato tra i migliori di Cinecittà. Al centro di tutto è collocato il “Mercato del Vino”, opera artistica di Dante Ferretti già esposta lungo il Decumano dell’Expo di Milano. Un’esperienza tutta italiana, che entusiasma il famoso scenografo: “mi piace fidarmi delle occasioni ed accettare nuove proposte”. Con la realizzazione del Museo il Casone Ugolino diviene una vera e propria “Città del Vino”, grande polo di attrazione per il turismo e di promozione per il territorio. Il grande progetto è stato voluto ed ideato dall'imprenditore Franco Malenotti e da Gaddo Della Gherardesca. E dove poteva nascere la prima città del vino italiana, se non nella terra dalla quale sono nati alcuni tra i vini toscani più apprezzati al mondo, come Sassicaia, Ornellaia, Grattamacco, Piastraia e tanti altri? Quindici anni da quando si è pensato alla struttura, un investimento di 12 milioni di euro. Oggi, però, il taglio del nastro. L'ingresso al museo costa otto euro e comprende una degustazione. Degustazioni aggiuntive possono essere acquistate consultando un'apposita carta dei vini. È aperto tutti i giorni dalle 11 alle 20, tranne lunedì. Vino ma non solo. Perché qui si potranno assaggiare piatti della tradizione toscana e si potrà dormire in una dei 20 appartamenti che hanno pure un angolo cottura. Nel maggio del 2018 aprirà qui il "V-Campus, un progetto dedicato ai più giovani per insegnare loro la cultura del vino. 

C.d.G.

 
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