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"Sfingi 2007"

Post n°1 pubblicato il 02 Maggio 2008 da diegobaratono
Foto di diegobaratono

 

 

Tutti i diritti riservati. Divieto di riprodurre ed utilizzare anche parzialmente il materiale fotografico ed il testo se non espressamente autorizzato dall’autore.

 

 

“ARCHEOLOGIA: ALTRA SFINGE A EL GIZA, DICE RICERCATORE TORINESE (ANSA) – TORINO, 8 AGO – Nella piana di El Giza, il sito archeologico dell’antico Egitto, ci sarebbe una seconda Sfinge, speculare a quella che sorge vicino alle piramidi di Chefren, Micerino e Keope. Sarebbe ancora sepolta nella sabbia. A sostenere la singolare tesi è uno studioso autodidatta torinese, Diego Baratono, 37 anni, impiegato statale, e sostenitore di un’altra rivoluzionaria tesi resa nota nel marzo scorso (e contenuta nel libro “Il segreto di Cheope” di Roberto Giacobbo e Riccardo Luna), secondo la quale le tre piramidi sarebbero state costruite seguendo un preciso impianto geometrico … (ANSA) 08-AGO-98 18:07”.

 

Così veniva diramata una notizia che aveva (ed ha) tutto il sapore della follia pura. Ufficialmente si è intorno l’anno 1998. Qualcuno potrebbe pensare che si è trattato, per dir così, del “solito” annus mirabilis.[1] E’ probabile. E’ possibile.

 

In ogni caso, è in questo preciso momento che dai miei studi prende vita in qualche maniera, forse materializzandosi attraverso la condensazione delle caliginose nebbie del tempo, il consistente profilo di una stravagante, quasi imbarazzante, conclusione. Il modello concettuale che ora vedevo chiaramente emergere dalle mie “sudate carte”, era a tal punto eccezionale, imprevisto ed imprevedibile, da apparire quasi assurdo; anche a me stesso. Esisteva un solo modo per sapere se avevo ragione o meno. Consisteva nel compiere un sopralluogo, organizzare una “spedizione” nella straordinaria terra dei Faraoni. Dopo nove anni il disegno si è materializzato …

 

                        - Le condizioni, tanto per incominciare -

 

E’ vero che l’Egitto è per antonomasia la terra dei (presunti) misteri e degli enigmi. E’ pur vero, nondimeno, un altro dato di fatto: la cultura sviluppata dalle intelligenti e sensibili menti delle popolazioni nilotiche, ha solide “rize” nella realtà. In buona sostanza, tutto quanto confezionato dalla cultura egizia e che oggi è diventato per noi “mistero” (soltanto perché non riusciamo più, intenzionalmente o no, a comprenderne il senso, sia chiaro), per le genti nilotiche era, invece, routine, consuetudine. Quest’idea, ovvia e banale, non sempre si è considerata con sufficiente riguardo. La civiltà degli Egizi Antichi, inoltre, e con ogni probabilità già dal momento aurorale della sua comparsa sul proscenio della Storia, in qualche maniera ha costantemente avvertito una robusta, arcana necessità. Si trattava dell’esigenza di registrare ed interpretare in una certa misura, i potenti eventi naturali di cui era impressionata spettatrice. Provare a documentare, cercare d’intendere ed infine, riuscire a risolvere con la ragione aspetti ed eventi fondamentali individuabili nel mondo del reale erano recepiti, con ogni probabilità, quali indicatori d’intense esigenze intellettuali da appagare. In fondo, è molto breve il passo che porta dall’osservare la regolare ciclicità di vitali eventi naturali allo stabilire che tutto ciò si doveva ad una o più divinità benevole. Del resto è molto breve anche il percorso che portava a ritualizzare una certa gestualità od un determinato ingrediente cultuale, al fine d’ingraziarsi questa o quell’espressione della divinità ritenuta più propizia per le proprie esigenze. Con ogni probabilità, era questa la via migliore da seguire per avere l’impressione di governare od almeno giustificare le oscure ed immense forze della Natura. Era difficile da comprendere il mutevole e poliedrico fluire costante del mondo naturale. Si trattava, in ogni caso, dell’ordinato e prezioso cosmo concesso nel “Tep Zepi” dalla magnanima divinità primigenia.[2] Consisteva di uno spazio saturato dal divino e pertanto al divino connaturato. In quanto tale, diventava un dominio da preservare conformemente, per dir così, all’originale senza alcuna alterazione di sorta. Questo avrebbe evitato la trasformazione del Cosmo in “Isfet” nel Caos, mantenendo viceversa “Maat”, il prezioso ordine delle cose stabilito nel “Primo Tempo” dalla divinità. La sensibile ed intelligente civiltà faraonica era da sempre parte attiva di questi spazi ed abitualmente si muoveva in questi confini. Gli orizzonti esplorativi che gli acuti pensatori della cultura nilotica dovevano investigare, ed in qualche misura tentare di comprendere, erano quindi strettamente connessi con l’ambiente naturale che li circondava e consentiva loro d’esistere. E’ risaputo che l’ambiente condiziona il modo di pensare dell’uomo che lo abita. In questo senso, le popolazioni nilotiche maturarono un’indiscutibile mentalità dualistica facilmente rintracciabile in molte credenze: le due rive, le due montagne, i due orizzonti e così via. La Natura, per di più, era avvertita quale sostanziale punto di riferimento per la cultura egizia rendendo inevitabile, quindi, l’integrazione tra Uomo e Natura stessa. Il tentativo d’illustrare e fissare in qualche modo simili orizzonti, passava inoltre attraverso una precisa “koinè” intellettuale, filtrando attraverso medesimi archetipi mentali collettivi, divenendo modelli comprensibili ancora oggi. Il tutto si fondava sull’elaborazione di quei miti e di quei modelli culturali, più o meno complessi, più o meno “esoterici”, che oggi, almeno in una certa misura, siamo riusciti a recuperare e ad intendere. Da tempo gli Egizi Antichi avevano identificato i vettori privilegiati cui poter ricorrere nel tentativo d’assolvere la particolare e complessa funzione di “memoria collettiva”. Da tempo ne avevano sfruttato le potenzialità, amalgamando sapientemente pragmaticità e speculazione, miscelando finemente sentimenti religiosi e realtà quotidiane. Incorporando spettacolari visioni cosmiche ad apparentemente insignificanti paesaggi minuti. Nelle articolate proiezioni mitologiche degli Egizi si contemplava, di conseguenza, dalle vitali stelle di: “… Coloro che danno l’Acqua …”, allo scarabeo stercorario, araldo solare per eccellenza, che muove faticosamente nella sabbia, la sua preziosa sfera contenente la vita, ossia le sue uova.[3]

 

(fig 1: “Coloro che danno l’Acqua … nel bell’Occidente …” sarebbe un’espressione precisa per indicare le tre stelle individuate che, configurate esattamente come la disposizione sul terreno delle Piramidi di el-Giza, compaiono all’orizzonte occidentale nel momento del solstizio estivo del 21 Giugno. E’ in questo momento che il Nilo inizia la sua esondazione portatrice di nuova vita. E’ evidente che per definire la disposizione delle tre Piramidi di el-Giza, altre stelle non possono essere prese in seria considerazione”. immagine “Astrolabio el-Giza”, immagine “el-Giza cerchio” e immagine “IMG 2580 proprietà di Carlo Dellarole” )

 

Si trattava dei diversi e variegati modelli espressivi elaborati, perfezionati e trasmessi di generazione in generazione, di secolo in secolo, di millennio in millennio dalla geniale coscienza speculativa dei raffinati ideologi dell’Antico Egitto.[4] Con una particolarità però. E’ degna di moltissima attenzione: a modo loro, gli Antichi Egizi descrivevano quanto vedevano, e narravano quanto facevano. Nulla di più. Nulla di meno. Semplicemente. Ora, è bene ricordare, che per comprendere i risultati della cultura prodotta dalla civiltà dei Faraoni, non si deve certo far ricorso alle categorie mentali introdotte dai Greci. Anzi …

 

In linea di massima, questi sono, per dir così, i pochi punti fermi ormai compiutamente assodati ed inconfutabili che caratterizzano la cultura nilotica. Tutta la parte della mia esplorazione dedicata all’affascinante mondo dell’Antico Egitto, si è imperniata su questi precisi assunti.[5] Orbene, un aspetto, un portato dell’indagine che avevo appena concluso, tuttavia, m’incuriosiva in maniera particolare. Alcuni indicatori, infatti, si mostravano ancorarsi saldamente ad una bizzarra quanto rigorosa ed euritmica configurazione. La struttura formulare del quadro che via via era andata delineandosi, nella sua apparente semplicità mascherava un impianto ideativo sì armonico e coerente, ma al contempo anche particolarmente complesso: così complesso come solo le cose semplici possono esserlo. La configurazione in discorso, invero, si mostrava precisarsi compiutamente soltanto nel momento in cui collazionavo ed incrociavo certe peculiari tracce documentarie. In queste impronte, non vi era nulla di particolarmente equivoco od esoterico, sia chiaro. Anzi. In fin dei conti, si trattava pur sempre di testimonianze scritte. Realtà materiali. Miti riconosciuti e riconoscibili. Era tutto materiale molto noto insomma. Meglio, consisteva (ovverosia consiste) in documentazione scientificamente certificata. Ad esempio, si trattava del famosissimo testo diffusosi con il titolo, errato in modo clamoroso, de “Il libro dei morti”. Vi era inoltre la straordinaria el–Giza, con tutto il suo contenuto, ossia la Sfinge e le Piramidi. Strutture cultuali dedicatorie, queste, forse mai pienamente comprese nella loro essenza …

 



[1] Per ulteriori informazioni si veda il testo “Il segreto di Cheope”, Giacobbo - Luna, Roma, 1998, pag. 103 e segg.

[2] Tep Zepi è un concetto che si può tradurre con “Primo Tempo”.

[3] E’ proprio osservando lo scarabeo che gli Egizi hanno immaginato come “motore” del Sole (dal quale deriva la vita come dalla sfera di sterco) nel suo percorso diurno, uno scarabeo gigante.

[4] S’intendono qui indistintamente tutte le forme espressive conosciute, che gli Egizi hanno elaborato: dall’arte alla religione all’architettura alla scrittura all’oreficeria etc.

[5] Il testo principale cui si fa riferimento qui, è “Le Abbazie ed il segreto delle Piramidi. L’Esagramma, ovvero le straordinarie Geometrie dell’Acqua”, Diego Baratono, Ecig, Genova, 2004.

 

 
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