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Il divano a tre posti

Post n°3 pubblicato il 21 Dicembre 2009 da dorannamontefusco

 

Doranna Montefusco Fuzzi

Il divano a tre posti - '09

 

Sentii la maniglia della porta gracidare maldestramente insieme a un gran vociare di bambini prima  di

veder comparire un biondino tutto accaldato. Si precipitò su di me facendomi scompigliare le piume così bene sistemate qualche giorno prima da una premurosa signora chiusa in un aderente grembiule celeste. Si era data da fare appena fui collocato di fianco alla finestra affacciata sul cortile da cui provenivano quelle voci. Mi aveva insistentemente battuto per liberarmi  dai fastidiosi peletti di cui mi avevano riempito i due pestiferi cagnolini del proprietario appena lasciato. Poi, aveva chiuso finestra e porta e mi aveva abbandonato al mio destino. Almeno così mi era sembrato in quel momento. Ormai ero convinto di finire la mia vita solo e dimenticato, di nuovo fra tanti libri che però ora guardavo con diffidenza, troppo intimidito dall'ambiente nuovo. Quando  anche  le scarpe infangate del biondino finirono sul mio morbido tessuto e cominciò a spargere briciole da un sacchetto di patatine tirato fuori da sotto al maglione, cominciai a temere il seguito e a rimpiangere d'aver desiderato di cambiare aria, nella speranza di una più confortevole collocazione.

 

Mi avevano portato in quella nuova casa il sabato precedente infilandomi a forza in un'auto troppo

piccola per le mie ingombranti dimensioni. Come potevo avevo cercato di rifiutarmi di farmi trattare a quel modo, capovolto e privato dell'imbottitura dei miei fedeli cuscini, premuto e schiacciato da tutte le parti come un sacco vecchio, io che mi sentivo ancora nel pieno delle mie forze, convinto di poter assicurare per molto tempo pace e tranquillità a chi m'avesse voluto. La mia intelaiatura aveva riportato vergognose conseguenze  a vista per come era stata trattata da quei due ragazzotti che avevano il  compito di trasportarmi da una casa all'altra. Ma loro avevano deciso di farlo nonostante la mia massiccia corporatura e a nulla era servita la mia resistenza passiva.

 

Non avevo certo rimpianti, con un cuore così poco umano e imbottito di una infinità di piume d'oca, cosa potevo temere? Certo, sarei potuto finire ancora giovane in una maleodorante discarica fuori città. Che destino terribile sarebbe stato! Un insulto al mio marchio d'origine di cui mi ero fatto un gran vanto. 

 

Nei mesi precedenti ero stato sistemato per poche settimane in una nuova famiglia e già cominciavo a sentirmi a mio agio quando alla padrona di casa saltò in mente che ero pesante da spostare, troppo ingombrante e anche, ahimè!, un po' invecchiato. Ero riuscito perfino a fare amicizia coi pelosi Nuvola e Mimi, sopportando d'essere ricoperto da tutti quei peli che perdevano in quantità fuori misura e che irreparabilmente si infilavano dritti nelle trame del mio tessuto.

 

Ogni tanto pensavo con nostalgia alla prima casa da cui mi ero liberato e dove ero vissuto per più di vent'anni, una famiglia tanto felice quanto litigiosa. Anche loro erano in tre,  proprio adatti a me che ogni sera facevo del mio meglio per accoglierli in un soffice e morbito abbraccio, non appena  mi cercavano all'ora del telegiornale. Ma avevano sempre da ridire e da accapigliarsi su tutto, sulla minestra congelata che perdeva il suo sapore, sull'asse da stiro che era meglio  che fosse duro piuttosto che morbido, sulla carta vecchia che andava recuperata dalla parte pulita o al più buttata nel sacco della differenziata. Se non era l'uno era l'altra a rimbeccare e a non farsi scappare l'occasione per rintuzzare un discorso a voce alta che avrebbe potuto concludersi da solo senza la coda della stizzosa polemica. Per fortuna che in mezzo a quei due grandi c'era un bimbetta che ogni tanto dava ragione a uno o all'altra, costringendoli a calmarsi fino alla successiva baruffa. Mi ricordo la volta in cui le scappò di mano il gelato. Tutto un affanno perchè lo scempio a mio danno scomparisse prima dell'arrivo della madre. In un batter d'occhio fui velocemente baganto, insaponato, strofinato, bagnato ancora, poi strizzato e infine inondato da un soffocante e improvviso getto di aria calda, recuperando in breve tempo il mio aspetto iniziale, tanto che la mamma, rinentrata dopo un'estenuante giornata di lavoro, si lasciò cadere d'un colpo sui miei cuscini  senza accorgersi del misfatto appena cancellato.Di giorno, quando finalmente solo,  avrei potuto trascorrere qualche ora in pace nell'attesa del loro rientro, era anche peggio.  La via di casa correva parallela ai binari della stazione e ogni volta che passava un treno, praticamente sempre, tremava tutto attorno a me e anch'io non potevo evitare sussulti improvvisi che all'inizio mi  avevano colto di sorpresa spaventandomi di brutto, abituato com'ero al silenzio del magazzino  dei  miei primi mesi di vita. Tutto quel frastuono di ferraglia mi allarmava nonostante la mia solidità. Così, non prendevo mai pace e per questo cominciai a desiderare di cambiare ambiente. Quando la bimbetta crebbe tanto da arrivare all'età di andare in sposa e i due adulti, con mia gioia, si erano trasferiti altrove, non ci fu più spazio per me in quella rumorosa famiglia. Capii dai loro discorsi che presto avrei dovuto cambiare collocazione  per lasciare il posto a un collega più giovane, più alla moda di me, più elegante e sicuramente più sodo. Mi rassegnai a quella decisione irreparabile anche perchè non sopportavo più d'essere lasciato solo giorno e notte ora che tutti si erano trasferiti altrove.  Sapevo comunque che mi sarebbe mancata quella famiglia e ancor di più mi sarebbero mancati tutti i libri stipati nella libreria di fianco a me e con cui nel tempo avevo famigliarizzato. Spesso, nei momentidi tranquilli, ripassavo i titoli stampati sulle coste,  immaginando le storie  che racchiudevano, i personaggi che animavano, le avventure che custodivano. A lungo andare, dopo un certo periodo di indifferenza reciproca, i libri erano diventati solidali con me, riconoscendo anche loro che non se ne poteva più di quei battibecchi inutili. Ma, soprattutto, non sopportavamo più le vibrazioni della ferrovia che ogni volta  sentivamo avanzare come un'onda  inesorabile, facendoci assurdamente temere che  che prima o poi i vagoni avrebbero  deragliato finendo con l'investirci sul loro percorso. Poi, anche i libri furono spostati nella nuova casa e non ne seppi più nulla.

 

Dove mi trovavo adesso cominciava a apiacermi e mi sembrava più che una casa, piena di luce e di banbini come mi parve fin dai primi giorni, nonostante che all'inizio fossi rimasto solo per diverso

tempo. Anche qui ero circondato da libri, da una quantotà enorme di libri colorati, tutti ben disposti sui

ripiani che ricoprivano le pareti. Cominciavo già a sperare di fare amicizia anche con loro per scoprire

i segreti  che racchiudevano gelosamente fra le mille pagine ricche di illustrazioni e mi sforzavo, dalla mia angolatura, di leggere i fantasiosi titoli delle loro variopinte copertine per riempire le lunghe e silenziose serate in cui restavo veramente solo.

 

Da qundo quella mattina il biondino era entrato furtivamente nella mia stanza per mangiare in pace il suo sacchetto di patatine senza essere visto, avevo imparato a riconoscere i suoi passi prima che entrasse, perchè era tornato spesso, anche in orari diversi, ma non più solo. Ora arrivava con altri ragazzini e tutti insieme si precipitavano su di me dopo avere afferrato velocemente ognuno un libro diverso. Poi, il loro improvviso silenzio era il segnale che per un po' la nostra fantasia avrebbe galoppato attraverso i personaggi e le avventure racchiuse nei libri che una decisa signora chiedeva loro di "leggere con gli occhi" e spesso leggeva lei stessa, con voce alta e sicura, come fosse un'attrice alle prese con la parte da recitare, seduta su una seggiola proprio di fronte a me, dopo aver insistito con gli scalmanati di non precipitarsi sulla mia imbottitura  in più di cinque o sei per volta.

Così, imparai ad aspettare con ansia quei momenti, cercando come potevo di mantenere soffici le mie piume d'oca per far trovare in ordine i cuscini che mi ricoprivano, perchè d'allora altri gruppi si alternarono e altre storie si dipanarono da quei pacchi di libri appoggiati uno accanto all'altro sulle mensole della stanza. Non avrei mai dimenticato l'emozione che provavo quando la voce suadente della volpe raccomandava al piccolo principe, straniero sulla terra e perciò all'oscuro dei sentimenti umani, di tornare a trovarla ogni giorno alla stessa ora così lei l'averbbe atteso con trepidazione e la loro amicizia, nel tempo, si sarebbe rinsaldata. Era così commovente da farmi rimpiangere di non avere anch'io un cuore per sentirlo palpitare dal sentimento. E quante volte ho desiderato d'essere su un albero insieme al barone rampante per veder vivere dall'alto gli uomi inariditi dalle  regole di circostanza che li obbligavano a comportarsi come dei burattini senz'anima. Ho anche sognato d'essere l'ottomana in seta che ospitava Sandokan nella cabina della Marianna quando solcava i mari dell'oceano Indiano incitando i suoi uomini a feroci battaglie all'ultimo sangue.

Pazientemente sopportavo gli sfregamenti dei bambini, le carte di caramella lasciate nelle mie pieghe, il fango distccato dalle suole nelle giornate di pioggia, pur di non privarmi dell'incanto di quelle letture quotidiane.

Tuttavia, negli ultimi tempi spesso mi facevo prendere dalla  malinconia  perchè mi accorgevo che col passare degli anni, nonostante la mia solidità,  mi scolorivo per le troppe carezze date e ricevute e mi afflosciavo ogni giorno di più sotto il peso dei frequenti e vivaci ospiti, incapace di mantenere sode le mie antiche accoglienti forme. Così, mi consolavo pensando  che in fondo ero stato fortunato a rinascere a nuova vita in quella biblioteca di scuola, coccolato da bambini felici, in  mezzo  a tutte quelle storie di avventure e a quei variopinti personaggi, un po' umani e un può fuori dal  tempo.

Chissà che un giorno anch'io non fossi diventato il personaggio di una storia  riuscendo così, finalmente, a rimanere vivo per sempre!

 

 

 

 
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