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Post N° 5

Post n°5 pubblicato il 02 Novembre 2008 da dr.restauro

Conclusioni

 

La complessità dei problemi che s’incontrano nella conservazione dei beni culturali, legata alla grande varietà dei materiali utilizzati ed alle molteplici tipologie di degrado subite dagli stessi, impone l’uso simultaneo di più tecniche diagnostiche per la costruzione di una corretta tipologia d’intervento.

Purtroppo poi a complicare le indagini per i dipinti restaurati possono esserci dei materiali aggiunti ormai praticamente indistintamente miscelatisi coi materiali originali.

Nonostante l’evoluzione delle componenti strumentali ed in particolare l’introduzione di rivelatori a maggior sensibilità  e di sorgenti laser con emissione nel vicino IR , nelle stesure invecchiate ( in qualsiasi modo) contenenti una grande % di olio la fluorescenza rilevata è  notevole. Qui è stata svolta una ricerca su più campioni pittorici atta all’identificazione dei pigmenti nel tempo nonostante i diversi leganti impiegati spesso in stratigrafie sovrapposte, che spero quindi vada ad integrare le raccolte di spettri attualmente disponibili, che sono in gran parte riferiti ai soli pigmenti puri. Pur conoscendo le precise indicazioni tramandateci inerentemente l’uso del corretto legante a seconda del pigmento utilizzato, ho volutamente commesso “errori”,miscelando certi pigmenti con dei leganti coi quali so essere incompatibili e che col tempo quindi sono già visibilmente alterati, in quanto tale uso è possibile trovarlo applicato dai pittori meno esperti ancora oggi.

Le ricerche svolte ed i confronti effettuati hanno ulteriormente contribuito a sfatare alcuni fraintendimenti inerenti la metodologia pittorica che si credeva fosse utilizzata da alcuni antichi Maestri : del tipo inaudito che per i pigmenti chiari vada usato l’albume od un tuorlo molto chiaro (per non falsarne il colore?!) il che è assurdo è dimostrato e dimostrabile che qualsiasi “rossissimo” tuorlo non altera in alcun modo il risultato finale della tempera, se mai ad alterare le tonalità sono l’aggiunta di alcool e/od aceto come gli antichi maestri ben sapevano e ci hanno tramandato, pare senza senso, vista la notevole diffusione di “manuali” che riportano notizie falsate.

Ritengo inoltre vada chiarito un incredibile malinteso riguardo alla reale natura della vernice anticamente utilizzata c’è chi senza fondamento ritiene fosse la sandracca . L’errore nasce da Lippmann che tradusse da dei trattati tecnici dell’8°sec. la parola “beronike” con “vernix”. Nel 1932 Hedfords, nella sua nota dissertazione sul manoscritto di Lucca considerò, senza giustificazione alcuna, la dicitura “beronike” identica a “veronice” e la tradusse  con “vernix” riferendosi al Lippmann. Il Berger poi si riferì ai precedenti ed introdusse un’innovazione: tradusse “vernix” = vernice = sandracca ogni qualvolta trovò la parola “beronike”.

Leggendo attentamente gli antichi tesi si deduce solamente che questa “beronike” è una componente di una ricetta di lacca oleosa e non è di per sé una vernice finale; poteva trattarsi di una gomma od una coppale,recente o fossile, che veniva sciolta in olio e non in acqua.

 

 

.....x maggiori dettagli :vedere Lo Stato dell'Arte 6 , Nardini Editore....

e/o contattare l'autrice dr.restauro@gmx.at

NOTE

 

[1]  Ho utilizzato legno di pioppo, dello spessore di 0,4cm, e diversi tipi di tela, entrambi preparati con tre strati a gesso e colla e levigati con una lastra di metallo.(1.)

[2] Premesso che i tempi d’invecchiamento artificiale non sono correlabili coi reali tempi d’esposizione agli agenti atmosferici (2.), quest’operazione è stata condotta seguendo in parte le istruzioni tratte dal diploma in arti della conservazione di C. Sceilblauer (3.) che prevedeva periodiche variazioni di temperatura ed umidità, ma non l’esposizione all’IR ed un solo ciclo di 20 ore all’UV, mentre qui i campioni sono stati sottoposti a 5 cicli di 20 ore l’uno all’ UV ed altrettanti all’IR grazie ad un tubo Philips infrared R 95 E .

[3] Esistono svariati testi per affermare o confutare diversi pareri ed asserzioni riguardo all’uso di pigmenti e leganti, ho consultato la più ampia letteratura (da Teofrasto 315 a. C. ad oggi) ponendo molta attenzione alla traduzione, spesso controversa, di termini che col tempo hanno assunto un diverso significato, posso quindi giustificare ogni scelta eseguita nella preparazione dei campioni.

[4] FT-IR DIGILAB FTS 40, utilizzato per verificare l’autenticità di alcuni pigmenti che risultavano essere irriconoscibili al micro-Raman .     Spettri ottenuti per accumulo di 16 scansioni con risoluzione di 4cm-1 .

[5] Spettrofotometro JASCO TRS 300 dotato di un microscopio Olympus del quale ho usato l’obiettivo 50x ; i parametri sono stati ottimizzati di volta in volta a seconda della risposta del campione analizzato, in generale il numero di scansioni impiegato è tra 30 e 300, la potenza del laser tra 30mW e 300mW ed i tempi d’integrazione variabili tra 200s e 300s.

[6] Ideato ed assemblato nel laboratorio ora della Professoressa Silvia Bruni c/o Università degli Studi di Milano da singole parti disponibili separatemente in commercio, è posizionebile su di un cavalletto per effettuare misure in situ (Fig.1.). Qui tramite una fibra ottica la radiazione viene portata ad una sonda JASCO RMP-100 dotata di un obiettivo OLYMPUS 50x. Le sonde sono dotate di un attenuatore che permette di regolare la potenza del laser che arriva al campione. La presenza del notch filter rimuove la λ d’eccitazione quindi non è possibile avere informazioni al di sotto dei 100cm-1; il rivelatore CCD ANDOR ,raffreddato a -50°C x effetto Peltier, è sensibile e con un basso rumore di fondo.

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