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Le voci dei muezzin si rincorrono nei vicoli fioriti, la sabbia sferza il mio viso rigato dalle lacrime e nebbie purpuree avvolgono il mio corpo stanco. Trafitta da falsi pensieri avanzo incespicando ad ogni passo. Avide parole si sono cibate della mia anima ed ora mi abbandonano, infine, sconfitta. Lascio che il mio cuore sanguini la sua amarezza, lascio esplodere la delusione e il rammarico. Non mi curo del mio volto, non mi curo degli sguardi altrui che si soffermano sul mio, perso nel vuoto, sui miei occhi ciechi, sul mio silenzio assordante. Il sole abbraccia docile il Corno d’oro, la basilica di Santa Sofia staglia le sue velleità bizantine e il palazzo Topkapi lascia esalare l’ultimo canto della donne del sultano. Sento le voci ridenti delle concubine dell’Harem e le mute vergate delle schiave, sento il profumo degli incensi aromatizzanti e degli oli afrodisiaci spalmati sui gelidi corpi. Sospiri tremuli e infantili timori di bambine troppo presto immolate all’altare del piacere e della perdizione, abnegazione femminile a capo chino di fronte al potere celeste reso uomo. Remoti simulacri di un passato ormai divelto, susseguirsi di lacere mutazioni, ora sei Istanbul, prima Costantinopoli ecumenica romana ed ancor più lontano greca Bisanzio. Immota guardiana dei due mari, tacito fendente di due mondi. Ora di preghiera. Il mercato si svuota, la calca mi supera sfiorandomi. Mi lascio carezzare dalle lievi tuniche delle donne che si affrettano per la cena e mi lascio sorprendere dalle variopinte spezie che brillano nel legno, gialle, arancio, rosse, porpora e tante altre ancora che si moltiplicano a perdita d’occhio sulle bancarelle. I profumi si mescolano in un incontro appagante e stridulo, salsicce calde e yogurt, riso e cipolle, fragranti dolci di frutta secca e inebrianti calici d’anice. Mi fermo e lascio stuzzicare il mio appetito. E’ da quando sono partita che non tocco cibo, è da quando ho deciso di fuggire dal mio passato che il mio corpo rifiuta qualsiasi sussistenza, come se volesse egli stesso rifuggire dalla vita plagiata. Acquisto un sacchetto di frutta disidratata. Ananas, mango, papaia, cocco, kiwi, pera, mela, fico, albicocca e la gusto lentamente lasciando il tempo di assaporarne l’esotico in ogni sfaccettatura. Mi avvio verso il mare, il sole vi si sta tuffando dentro ed il ponte sul Bosforo inizia ad illuminarsi. Quante arzigogolati ricami della mente non mi hanno fatto accorgere della caotica frenesia intorno a me, ma è bello rinchiudersi in una remota torre d’avorio che tutti possono guardare ma mai nessuno può valicare. Un rifugio dal mondo, un rifugio da me stessa, non voglio tornare a vedere ciò che è al di la di questo mare, non voglio vedere la mia Itaca, non voglio vedere il mio passato. Voglio lasciarmi rapire con violenza da questa linea di cupole e minareti, da queste vie strette, da questo fascino senza tempo; qui dove mi getto tra le braccia di un lento divenire in cui voglio perdermi. Ieri, ho arraffato in fretta e furia giusto l’essenziale per coprirmi e mi sono imbarcata sul primo aereo. Non una parola, non un cenno d’assenso o di dissenso, non un suono ho lasciato emettere alle mia bocca… non un pensiero ha più fatto vibrare le mie corde. Mi sono chiusa nel silenzio, ho finito il fiato, non ho trovato più sintassi, né formulazione, nessuna spiegazione, nessuna giustificazione, nessuna apologia, nessuna tregua. Ed ora nella solitudine dell’incomunicabilità mi sento a casa, ammiro la moschea Blu che rende unica la costa, immagino di correre nei giardini della ville ottomane; luoghi reconditi di passioni proibite e d’incesti. Quante volte nell’oblio mi sono persa in queste immagini; solo un istante per sentirmi eterna… invulnerabile.. inesistente…effimera. Ed ora sono qui dove nessuno mi conosce, nessuno mi scalfisce, nessuno mi logora, giustamente indifferente, finalmente sola, ma sola perché lo voglio.
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Respirare il suo respiro, perdermi nel suo sguardo così vicino al mio, troppo vicino… che assurdità. Tanto vicino da farmi sussultare, da inibire il mio cuore dal suo incessante incedere. Un solo istante in cui ogni oggetto scompare, ogni voce diventa sorda, ogni vento turbine luminoso. Io e lui, da soli, nell’infinito. Nel vuoto che non lascia correre il tempo, dove le parole sono echi remoti. Per più fiate gli occhi si sono incontrati, nell’etere cristallino, nell’immoto divenire dell’essere, nel lento progredire della ragione, nel baratro degli istinti, nel diluvio delle certezze. Pensieri, pensieri, solo pensieri così volatili, che appena nati si librano in cielo come aquile. Con la grazia di un volo infinto, dell’eleganza del proibito, della violenza primordiale, della sopravvivenza obnubilata. Terme sulfuree, o coriandoli di neve. Danzanti vapori o precipitanti candori. Sotto lacrime dal cielo o baciata dal sole in quell’ insostenibile leggerezza di un taciuto disio. Ed ora mi accorgo che le parole non bastano, le lettere si disgregano, la sintassi si fa sempre più irrisoria sgretolandosi negli antri di ciò che avrei voluto dire. Silenzio.. Silenzio della notte; frusciare delle foglie danzanti nel vento. Rami secchi ondeggiano divelti dalle folate ed il ruscello precipita in diverticoli vacui. Un ululato lontano, grida ferine di fuggevoli selvaggi. Il mio passo è svelto sul cupo sentiero, solo la luna mi è guida nelle tenebre. Groviglio di rovi che attanaglia il cielo, invulnerabile morsa di oscuri talenti. La fiamma della lanterna vacilla, un gemito e poi.. tutto tace. Ed ancora quel respiro, quella dolcissima condensa sul mio viso. Perché non devo aver paura, perché nulla mi può sfiorare, perché sono al sicuro nel calore inaspettato di un sorriso che non vorrei vedere. Eppure nell’oscurità sorridi, sorridi nel proibito, sorridi nella selva dagli eterni pericoli, dove un piede in fallo mi farebbe crollare, come una marionetta alla quale vengono recisi i fili, come una marionetta accasciata senza voce. Eppure tutto il mondo sembra così piccolo e lontano, una biglia che imprigiona miliardi di vite. Vite di corsa.. vite frenetiche, forse un po’ troppo vuote, forse solo disattente… eppure quante cose si perdono, quante cose si affievoliscono. Quanti piccoli istanti possono divenire interminabili se solo lo si volesse. Ancora quello sguardo senza fine… di nuovo, nel deserto e nel cuore. Come vorrei che i suoi occhi non si abbassassero mai, che cercassero il mio sguardo per perdersi; mentre io non ho il coraggio nemmeno di alzarli.. eppure lo vedo camminare, lo vedo muoversi, lo vedo ridere e lo sento respirare. Soli sulla strada… Il sole si tuffa all’orizzonte trascinando con se tutte le parole non dette. Le vedo, le vedo chiaramente.. di più, molte di più.. ..eppure non proferisci verbo.. ..eppure non proferisco suono.. …eppure siamo io e te.. nell’impossibilità, in una nicchia inesistente siamo pur sempre noi.
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L’aria è gelida, il sole primaverile, i profumi dolci.. dolcissimi. |
Post n°1 pubblicato il 09 Maggio 2009 da ediedi
Ciao!!! Anch'io, infine, ho deciso di ritagliarmi un angolino nella rete in cui far confluire i miei pensieri, i miei racconti, i miei aneddoti e le mie passioni. A breve lascerò scorrere l'inventiva nelle parole ed i desideri in viaggi onirici, ma ampio spazio dedicherò alla cucina, ai viaggi, ai ristoranti ed a tutto ciò che c'è di meraviglioso in questo cantuccio d'universo. A presto!!!
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Inviato da: diletta.castelli
il 23/10/2016 alle 16:20
Inviato da: ediedi
il 05/06/2009 alle 22:03
Inviato da: auburnautumn
il 05/06/2009 alle 18:04
Inviato da: ediedi
il 15/05/2009 alle 16:19
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il 15/05/2009 alle 15:47