Creato da Pitagora_Stonato il 12/07/2010

EREMO MISANTROPO

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Messaggi del 13/01/2016

Kilgore Trout - da "la colazione dei campioni" Kurt Vonnegut

Post n°1319 pubblicato il 13 Gennaio 2016 da Pitagora_Stonato
 

 

Kilgore Trout possedeva un pappagallo che si chiamava Bili. Come Dwayne Hoover, anche lui era completamente solo la notte, a parte il suo parrocchetto.

Ma mentre Dwayne andava cianciando d'amore al suo Labrador, al suo parrocchetto Trout sorrideva e bisbigliava cose a proposito della fine del mondo.

"Da un momento all'altro diceva. "E sarebbe ora, tra l'altro."

Lui aveva una sua teoria: presto l'atmosfera sarebbe diventata irrespirabile.

E immaginava che quando l'atmosfera sarebbe diventata velenosa, Bill se ne sarebbe andato qualche minuto prima di lui. A tal riguardo lo prendeva anche in giro: "Come andiamo con la respirazione, Bill?" diceva; oppure: "Mi pare che ti sei buscato un po' d'enfisema, Bill"; o ancora: "Non abbiamo mai parlato di che tipo di funerale ti piacerebbe, Bill. Non mi hai neppure mai detto di che religione sei". E così via.

Diceva a Bill che l'umanità meritava di fare una morte orribile per essere stata tanto feroce da rovinare un pianeta così bello. "Siamo tutti degli Eliogabali, Bill" gli diceva. Così si chiamava un imperatore romano che si fece fare da uno scultore un toro di ferro, vuoto dentro e di grandezza naturale, con uno sportello che si chiudeva da fuori. 11 toro aveva la bocca spalancata, e questa era la sola altra apertura verso l'esterno.

Eliogabalo faceva entrare una creatura umana per lo sportello, che poi veniva chiuso da fuori. I rumori che l'essere umano faceva all'interno del toro venivano fuori dalla bocca spalancata. L'imperatore invitava gente a una bella festa, con abbondanza di cibo e vini e belle donne e bei ragazzini, dopodiché faceva accendere della ramaglia da un servo. La ramaglia stava sotto a della legna che stava sotto al toro.

(…)

Trout tirò fuori dal baule lo smoking e lo indossò. Somigliava molto allo smoking che avevo visto indosso a mio padre quando era molto, molto vecchio.

Aveva una patina verdognola di muffa la cui peluria in certi punti faceva pensare a rattoppi di fine pelliccia di coniglio. "Andrà benissimo per la sera," disse Trout, "ma dì un po' Bill: a Midland City cosa si porta in ottobre prima che il sole cali?" Si tirò su i pantaloni in modo da esporre gli stinchi grottescamente decorativi. "Bermuda e calzini corti, eh, Bill? Dopotutto, io sono delle Bermude."

Ripassò lo smoking con uno straccio bagnato e i funghi vennero facilmente via. "Detesto far queste cose, Bill" disse, riferendosi ai funghi che stava ammazzando. "I funghi hanno diritto di vivere quanto me. Sanno quel che vogliono, Bill. Che m'accechino se ne so più di loro."

Quindi pensò a quello che Bill magari voleva. Non era difficile immaginarlo. "Bill," disse, "tu mi piaci tanto e, nell'Universo, io sono un tal pezzo grosso che farò realizzare i tuoi tre più grandi desideri." Aprì lo sportellino della gabbia, ciò che Bill non sarebbe riuscito a fare neppure in mille anni.

Bill volò sul davanzale della finestra e appoggiò la spalluccia al vetro. C'era dunque soltanto una lastra di vetro tra il parrocchetto e il vasto spazio esterno. Benché Trout trattasse doppie finestre, non aveva doppie finestre nel suo alloggio.

"Sta per realizzarsi il tuo secondo desiderio" disse Trout fece di nuovo una cosa che Bill non sarebbe mai riuscito a fare: aprì la finestra. Ma quell'apertura di finestra fu un fatto così allarmante per il parrocchetto che volò di nuovo alla gabbia e vi saltò dentro.

Trout richiuse lo sportello della gabbia e ci mise il fermo. "Questo è l'uso più intelligente dei tre desideri che mi risulta sia stato mai fatto," disse poi all'uccello, "ti sei assicurato di avere ancora qualcosa che vale la pena di desiderare: uscire dalla gabbia."

 

 
 
 

La colazione dei campioni - Kurt Vonnegut

Post n°1318 pubblicato il 13 Gennaio 2016 da Pitagora_Stonato
 


Il cinema nel quale Trout se ne stava seduto con tutti i suoi pacchi in grembo proiettava solo film osceni. La colonna sonora era piacevole. Sullo schermo le ombre di un uomo e di una donna giovani si leccavano con grazia i rispettivi morbidi orifizi.

Lì seduto, Trout ideò la trama d'un nuovo romanzo. Trattava di un astronauta terrestre che arriva su un pianeta nel quale ogni forma di vita animale e vegetale è stata eliminata dall'inquinamento, tranne quella degli umanoidi. Gli umanoidi si cibano di prodotti derivati dal petrolio e dal carbone.

Viene data una festa in onore dell'astronauta, che si chiama Don. Il cibo è schifoso. L'argomento principale della conversazione è la censura. Le città sono infestate da cinema che proiettano unicamente film osceni. Gli umanoidi vorrebbero farli chiudere, ma non sanno come farlo senza violare la libertà di parola.

Chiedono a Don se anche sulla Terra i film osceni sono un problema e Don dice; "Sì". Gli chiedono se i film soli o veramente osceni e Don risponde: "I più osceni che si possano fare".

Il che suona come una sfida per gli umanoidi, i quali sono convinti che i loro film osceni battano tutti quelli della Terra. E così salgono tutti a bordo di un hovercraft e filano verso un cinema del centro.

V'arrivano durante l'intervallo e così Don ha il tempo di chiedersi che cosa mai può essere più osceno di quanto ha visto sulla Terra. Ma ancor prima che le luci si spengano è già tutto eccitato sessualmente. Le donne della compagnia che è con lui si agitano e si dimenano tutte.

Poi la sala piomba nel buio e il sipario s'apre. Sulle prime non si vede niente. Dagli altoparlanti escono gemiti e grugniti. Poi compare un'inquadratura. Si tratta d'un film di alta qualità su un umanoide maschio che mangia quel che sembra una pera. C'è un primo piano di labbra, lingua e denti dell'umanoide, tutti lucidi di saliva. L'umanoide mangia la pera con calma. Quando l'ultimo pezzetto è scomparso nella bocca grugnente l'obiettivo si fissa sui pomo d'Adamo. Il pomo d'Adamo s'agita oscenamente. Poi l'umanoide rutta soddisfatto e sullo schermo compare, nella lingua del pianeta, questa parola:

FINE

Naturalmente è tutto un trucco: le pere non esistono più. E, del resto, quella scorpacciata di pera non è l'avvenimento principale della serata, è un cortometraggio per mettere a suo agio il pubblico. Poi comincia il film vero e proprio. E su un maschio, una femmina, i loro due figli, più il gatto e il cane. Mangiano continuamente per un'ora e mezzo: minestra, carne, fette tostate, burro, verdure, purè di patate con. sugo, frutta, dolci e torta. Poche volte l'obiettivo si allontana di più d'un due palmi da quelle labbra lucide e da quei pomi d'Adamo sobbalzanti. Poi il padre mette il cane e il gatto sul tavolo perché anche loro partecipino all'orgia.

Dopo un po' gli attori non ce la fanno più a mangiare. Sono così sazi che hanno gli occhi di fuori, quasi non riesconoa muoversi. Dicono che non potranno mangiare altro per almeno una settimana e così via. Sgombrano la tavola lentamente. Si trascinano in cucina e buttano nella spazzatura qualcosa come un dieci chili di avanzi.    

Il pubblico a questo punto impazzisce.         

Quando Don e i suoi amici escono dal cinema, vengono avvicinati da prostitute umanoidi che offrono loro uova, arance, latte, burro di arachidi e così via. In realtà le prostitute non sono in grado di offrire queste leccornie, naturalmente. 

Gli umanoidi spiegano a Don che se si portasse a casa una prostituta, questa gli cucinerebbe un pasto a base di petrolio e carbone a prezzi pazzeschi. E poi, mentre lui mangia, gli direbbe paroline sconce su quel cibo fresco e succulento, che in realtà è cibo sintetico.     

 

 
 
 

La coniglietta intelligente

Post n°1317 pubblicato il 13 Gennaio 2016 da Pitagora_Stonato
 

L'eroe principale del romanzo era un coniglio che viveva come tutti gli altri conigli selvatici sebbene fosse intelligente quanto Albert Einstein o William Shakespeare. Era una femmina, quindi una coniglia: l'unico protagonista femminile di tutti i romanzi di Kilgore Trout.

Conduceva una normale vita da coniglia, nonostante il considerevole intelletto che si ritrovava. Era appunto giunta alla conclusione che quella sua mente non servisse a niente, che fosse una specie di tumore, che non avesse alcuna utilità nell'ambito degli schemi coniglieschi.

E così, saltellando, un giorno decide di andare in città per farsi asportare il tumore; ma un cacciatore, un cero Dudley Farrow, spara e l'ammazza prima che arrivi. Poi la scuoia e la sventra ma, d'accordo con la moglie Grace, decide alla fin fine che è meglio non mangiarla per via di quella testa insolitamente grande. I due, cioè, pensano quello che lei stessa aveva pensato quand'era viva: che la coniglia doveva essere malata.


da "la colazione dei campioni" Kurt Vonnegut

 
 
 

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