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ALCUNE DOVEROSE CONSIDERAZIONI FILOSOFICHE CONCERNENTI LA PRECARIETA' DELL'ESISTENZA E DI QUELLA UMANA IN PARTICOLARE

Post n°16 pubblicato il 23 Ottobre 2011 da giugibzz1

"L'essere è, il non essere non è" (Parmenide).

       

       Che l'esistenza, in questa vita, sia affetta dalla precarietà del proprio essere è cosa risaputa, tanto è evidente e sotto gli occhi di ciascuno, nel continuo e giornaliero apparire e scomparire (generazione e morte) dei molteplici individui di tutte le specie poste sotto questo cielo stellato, uomo, naturalmente, incluso. Anzi, è proprio l'uomo, in quanto unico essere razionale, per ora conosciuto, dell'universo, quello che sembra sopportare maggiormente la sofferenza e le contraddizioni contenute in questa anomala situazione. Da una parte vede i viventi, in particolare i suoi simili e le persone più care, nascere e morire, così, come dal nulla, e al nulla ritornare; dall'altra sente invece l'esigenza di perpetuare il suo essere, e di non arrendersi di fronte all'inconcepibile e alquanto assurda evidenza, quella della morte, appunto, creando perciò, col mezzo del suo ingegno, opere considerate immortali, frutto, a dire il vero, spesse volte, più della sua vanità che della necessità, e questo nel campo della musica, delle arti figurative, della letteratura, eccetera. Ma soprattutto ponendosi, gira e rigira, le stesse frequenti, identiche domande vertenti sulla sua condizione dopo la morte, sull'esistenza e l'immortalità dell'anima, sulla ricompensa dei giusti e dei malvagi; in altre parole sull'al di là, ipotizzando in esso la realtà di un essere completamente altro da lui, beato, onnipotente e immortale, che egli chiama Dio. Divinità che è oggetto in primo luogo di timore, avvolta com'è dal mistero, e da cui cerca perciò di ottenere benevolenza e favori, e di placarne l'ira, espressa, com'egli crede, dagli sconvolgimenti causati dalle forze della natura, e che deve allora ingraziarsi e alla quale rende doverosi omaggi con specifici atti di culto, composti, per lo più, da sacrifici spesso cruenti, offerte votive e orazioni: ed ecco nata la religione.        -Non va però allo stesso modo per tutti quanti gli uomini. Vi sono, purtroppo, anche i cosiddetti atei, coloro, cioè, che negano l'esistenza di un altro mondo oltre a questo, il mondo definito della trascendenza, e, soprattutto, negano l'esistenza di un creatore e reggitore dell'universo, giudice e arbitro del destino umano. Secondo gli atei, divenuti fenomeno di massa a partire principalmente dal ventesimo secolo, il mondo non sottostà a nessuna ragione che non sia quella della pura casualità. E' apparso dal nulla senza un apparente motivo, e al nulla anche se ne ritorna, dopo un percorso più o meno lungo, al modo di un cerino, che si accende improvvisamente e squarcia, per un momento, il buio fitto della notte, per poi spengersi per sempre, dopo aver bruciato se stesso. In parole "scientifiche" si potrebbe parlare della dottrina del big bang, la grande esplosione dalla quale, secondo alcune teorie cosmologiche, ha avuto origine l'universo. Anche secondo questa teoria, l'universo va piano piano, dopo la sua iniziale espansione, seguita al grande scoppio del primordiale e piccolo concentrato di energia (l'atomo dell'esistenza), verso la sua implosione, e quindi verso la sua definitiva estinzione, a meno di un altro improbabile big bang, che, comunque, non necessariamente riprodurrebbe gli stessi avvenimenti del precedente, come vorrebbero invece alcune concezioni proprie sia del pensiero occidentale che orientale, e che vanno, per questo, sotto l'altisonante nome di "eterno ritorno".        -Che cosa rispondere, dunque, dal punto di vista filosofico, a siffatte credenze che paiono contraddire i più elementari principi della ragionevolezza? Gli atei, in definitiva, affermano che dal nulla può provenire qualcosa (il mondo prima non c'era e improvvisamente, senza una ragione sottostante, seppur faticosamente e poco alla volta, è apparso). Che dal meno può provenire, per virtù propria, il più (per cui, da un piccolissimo nucleo di energia originario, si sarebbe sviluppata poi tutta la complessa e molteplice realtà delle cose). Che dagli esseri inferiori, quali ad esempio i pesci e i primati, provengono quelli superiori quali l'uomo, e che dalla materia consegue il pensiero (vedi, in particolare, la dottrina dell'evoluzionismo). Ancora, che il mondo si regge sulla casualità e sul determinismo (quindi niente spazio alla finalità, alla razionalità, alla libera volontà dell'uomo, e perciò è affermata anche la conseguente amoralità del suo comportamento). Infine, dichiarano che non esiste una verità assoluta, valida per tutti gli uomini, di ogni luogo e d'ogni tempo, ma solo opinioni, affermazioni cioè frammentarie e parziali, che possono mutare ed essere mutate secondo l'uso che di esse se ne fa, e le situazioni in cui ci troviamo ad operare.        -Proveremo naturalmente a ribattere, a cominciare proprio da quest'ultima affermazione, a ciascuna di codeste riduttive opinioni e sottolineo, non a torto, opinioni. Infatti, se non esiste una verità assoluta con cui misurare le nostre idee, anche le conclamate "verità scientifiche" di costoro non restano alla fin fine che dei semplici pareri, sebbene espressi da personaggi taluni indubbiamente autorevoli nel loro campo d'indagine, e, quindi, giacché pareri, dello stesso valore, né più né meno, dell'opinione mia, tua o di qualsiasi altro sulle questioni in questa sede posteci. Del resto, negare per principio l'esistenza della verità, è una grave contraddizione in termini, poiché, nel preciso istante in cui questa viene negata la si riafferma necessariamente. In definitiva, negando il concetto di verità aprioristicamente, senza alcuna indagine critica, ci si trova costretti ad affermare come verità assoluta il proprio, manifestamente falso e paradossale enunciato.        -Occupiamoci, a questo punto, di problemi più concreti, quali sicuramente quelli che trattano della casualità del mondo e del suo determinismo, teorie, per altro esclusive, di quei, a mio dire, "manipolatori" del pensiero appena sopra citati, a discapito della sua causalità e del suo finalismo come sembrerebbe, invece, affermare il sano, buon senso comune, che raramente erra, e sfatiamone, possibilmente anche in fretta, il seducente e subdolo intento che sottostà, a parer mio, a quelle tesi. Diciamo in proposito che nulla appare sotto il nostro sguardo come procedente a caso e che non consegua un suo fine. Non sono sicuramente un biologo, né vi sarebbe il tempo, anche qualora lo fossi, per fare dettagliate analisi in materia, ma mi reputo abbastanza intelligente e osservatore per capire che basta rivolgersi all'uomo, la più complessa e la più alta delle creature, per eludere in tal modo tutte le lungaggini procurate dallo studio delle numerose fasi intermedie e risolvere meglio e facilmente a mio favore la disputa. Infatti, egli è un esemplare unico, irripetibile e tra lui e il resto dei viventi vi è, con la sua comparsa a una certa fase della concatenazione biologica, un improvviso salto in avanti, una vera e propria frattura, un fosso incolmabile determinato essenzialmente dalla coscienza e dalla moralità del suo agire. L'uomo dunque, fornito di consapevolezza, raziocinio e libertà, non è un prodotto del caso, o del determinismo, che, come tali, escludono la possibilità di poter produrre una creatura con siffatte ed ineguagliabili caratteristiche, ma deve essere causato e finalizzato da qualcun altro, a lui superiore e che viva in una realtà che non sia contingente come la nostra. Da queste elementari premesse, grazie al suo ragionamento, egli ne deduce così una realtà trascendente e immutabile, benché invisibile e l'esistenza di un Dio, perché ne avverte su di sé gli effetti, essendo spesso impotente a dirigere gli avvenimenti transitori del suo mondo e a comprenderli, se non alla luce, appunto, di una realtà sovrastante la propria. Oltre a ciò, non può ritenersi neppure frutto del caso, anche perché egli è solito procedere per cause nelle sue attività e ordina tutto per le stesse. Ammettere la casualità come presupposto della comparsa dell'uomo, sarebbe anche qui, del resto, un ripresentare la stessa contraddizione in termini vista sopra parlando della verità. Si riaffermerebbe, ovverosia, nello stesso mentre in cui lo si vorrebbe negare, il concetto di causalità: in questo specifico caso, della casualità dell'uomo.        -Questi, d'altra parte, come già ho avuto modo d'accennare poco sopra, non è causa di se stesso, ma è causato. Difatti prima non c'era e ora suo malgrado c'è, e poi di nuovo, impotente a reagire, non ci sarà più. Qualcun altro tira, effettivamente, le fila per lui, senza che per questo sia privato del suo libero arbitrio. E neppure, sebbene sia un essere finalizzato e non determinato, e che perciò consegue dei fini e, soprattutto, un fine principale, può ritenersi fine a se stesso, ma il suo fine è altro da lui, esterno a lui. Il suo essere difatti è precario perché egli si possa bastare, deve così, inevitabilmente, appoggiarsi a un altro essere che non sia necessitato, ma sussista in sé, abbia in sé cioè la propria ragione d'esistere, e detto ente si chiama Dio. Dal nulla, inoltre, se inteso come entità metafisica, il supposto nulla assoluto, non potrebbero derivare in alcun modo, non soltanto l'uomo ma neppure altra cosa concepibile nella o fuoriuscente dalla nostra mente. Infatti, nessuna bacchetta magica, nessun illusionista riuscirebbero mai a darci neanche un'apparenza d'esistenza, se questa derivasse veramente dal nulla, perché dal nulla, come fa capire la stessa definizione del termine, non può conseguire niente, altrimenti, se contenesse in sé anche solo un pur minimo germe della futura realtà, seppure illusoria, non sarebbe più un nulla, ma, al contrario, un qualcosa (altra contraddizione in termini, che ritorna sempre, come si vede, in quelle pseudo dottrine di filosofi e scienziati, spesso dell'ultimo grido).         -A maggior motivo non è da ritenersi per certa l'altra falsa, e infondata, nonché illogica asserzione che dal meno possa procedere il più, se non v'è già contenuto in potenza e quindi in attesa di passare all'atto. Le specie superiori non possono così derivare da quelle inferiori, né l'uomo ovviamente da un primate. Se tuttavia non si ammette il creazionismo in senso stretto, si potrebbe ammettere un evoluzionismo moderato e guidato. Guidato però da chi? Non sicuramente dal caso, né dalla necessità, bensì da una mente intelligente, creatrice e ordinatrice al tempo stesso. Ed ecco riproposta l'ipotesi di Dio, perché, se il mondo fosse frutto della casualità, come esso avrebbe potuto svilupparsi con ordine e raziocinio? E come potrebbe l'uomo, se fosse solo un prodotto del caso o della necessità deterministica, creare opere tanto intelligenti? Provate a scomporre un suo capolavoro tra i più penetranti com'è sicuramente La Divina Commedia e a ricomporla a casaccio; dubito che possa essere riformata, tale e quale la conosciamo, anche dopo miliardi di tentativi: il caso proporrà sempre e solo il disordine, e la necessità prodotti freddi e privi di sentimento e di libertà creativa. Ditemi avanti, chi è nato prima l'uovo o la gallina? Qualunque sia la risposta giusta, una cosa è indubbia, dietro ad entrambe le teorie dev'essere ipotizzata una intelligenza speciale che ha creato qualcosa di speciale, sia che l'abbia fatto in un modo, o nell'altro. Ridurre l'uomo a prodotto del caso o della necessità e il suo pensiero a una reazione meccanica di atomi che vanno in collisione fra loro, o al risultato di una reazione chimica, pur complessa che sia, è svilirne la sua dignità, rimpicciolirne la sua grandezza, toglierli la responsabilità delle sue azioni, farne, cioè, da essere libero e morale qual è, una specie di automa predeterminato o, al più, un animale fra animali, e renderlo così giustificato delle sue azioni e dei suoi appetiti più bassi e volgari. Ecco a cosa ci vogliono portare i teorizzatori del materialismo meccanicistico e gli atei in particolare. Ecco smascherata la loro ingannevole intenzione: fare dell'uomo un soggetto privo di valori e di punti di riferimento che non sia egli stesso ("l'uomo misura di tutte le cose"); un borioso insomma, un altezzoso che si dimentica troppo facilmente e in fretta che è venuto dalla polvere e in polvere dovrà poi ritornare.         -Per completare ora l'argomento sul nulla quale serbatoio da cui sarebbe derivata poco a poco la realtà, in modo deterministico per taluni, e accidentale per altri, ma in entrambe le teorie senza la direzione di un pensiero antecedente ad essa, in maniera da poterla dirigere ordinatamente e costantemente verso un fine stabilito, devo anche aggiungere che del nulla, in quanto entità metafisica, non ne possiamo, in nessun caso, avere o fare, una seppur minima, fugace, soggettiva, artefatta, deficitaria, ingannevole esperienza; praticamente, esso non può essere pensato, ed è, perciò, un concetto privo di valore. Un tuo caro ad esempio muore, non c'è più, tuttavia ti rimane di lui il ricordo, e quando svanirà anche quello non è che penserai il nulla, non lo penserai e basta. Eppure costui è venuto all'esistenza un giorno, e se non è venuto dal nulla, e come si è visto dal nulla non può procedere nulla, neppure può finire nel nulla, neanche se rimanesse per sempre di lui una manciata di terra, poiché non sarebbe più lui, ma terra appunto. Se dunque non esiste il nulla quale entità metafisica, sebbene vediamo e sentiamo su di noi la precarietà e l'insufficienza del nostro essere e della realtà da noi percepita, non ci resta che congetturare, come ultima analisi di questo nostro faticoso, per quanto breve, studio, che l'esistenza di un ente metafisico. Un ente infinito, eterno, puro spirito, raziocinante, onnipotente, libero; in una parola perfetto, privo di ogni deficienza del contingente. Costui deve essere anche la causa prima non causata, non condizionata, e di per sé sussistente che ha dato origine all'universo, qualunque sia il procedimento seguito nel porlo all'esistenza. Posto fuori dallo spazio e dal tempo, immerso in un eterno presente tutti gli avvenimenti gli sono perciò noti dall'inizio alla fine. Solo in questo essere nessuno di noi scompare, ma la nostra vita rimarrà, con tutto il suo trascorso, come su una pellicola indelebile. In esso il nulla non ha dimora. Esso è difatti pienezza d'essere e sorgente di vita. Solo di lui possiamo dire con sicurezza che è l'assolutamente vero, essendo esso solo immutabile (e in effetti, si può definire filosoficamente vero, ciò le cui caratteristiche permangono costanti nel tempo). Non a torto siffatta entità è definita unanimemente Dio. Sempre presente a se stesso, è il principio e il fine di ogni realtà. Trascendente e immanente nel medesimo tempo, ogni cosa dipende dalla sua volontà. Tutto determina e da nulla viene determinato. Onnisciente e onnipresente, nessuna cosa si sottrae al suo sguardo, niente al suo giudizio.         -Giunto qui, però pure mi taccio. La filosofia ha terminato la sua indagine, oltre non può più andare; la parola deve passare alla religione, o, meglio, sarebbe a dire, alla Rivelazione. Quella rivelazione che Dio ha fatto di Sé, un giorno, nella persona del suo unigenito Figlio, Gesù Cristo, all'umanità. Solo in Lui possiamo trovare, difatti, l'estinzione alla nostra sete di verità, la valorizzazione della nostra dignità di creatura amata e voluta da Dio, nonché la risoluzione ai nostri insoluti interrogativi filosofici di sempre, e che concernono il nostro destino personale: chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo? Il tutto tradotto in una sola frase: perché esistiamo?

 

 

 

 

 

                                                                  giuliobozzi53 

Poggibonsi,23//10/2011 

 

 

 

 

 

 

                                           

 

 

 

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