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PILLOLE DI CRISTIANESIMO (PARTE SECONDA)

Post n°20 pubblicato il 20 Aprile 2012 da giugibzz1

 

7.In Eb.11:1, l'apostolo Paolo dà della fede la seguente lapidaria definizione: "Certezza delle cose che si sperano e dimostrazione di quelle che non si vedono". E poco più avanti continua: "Senza fede è impossibile piacere a Dio, poiché chiunque gli si accosta, deve credere che Egli è, ed è remuneratore per tutti quelli che lo cercano". A questo punto è appropriato rilevare la natura esistenziale della fede, che sebbene sia un dono che procede da Dio, presuppone qualcuno che lo accolga valorizzandolo come tale. Ossia, essa si radica nella libertà dell'uomo nella quale agiscono contemporaneamente apertura all'altro e motivi di accettabilità che possono essere razionalmente verificati. Nel cristiano, la fede prende soprattutto l'aspetto e il nome di una persona, Gesù Cristo, nel quale occorre credere per essere salvati, ma nello stesso tempo egli, ovverosia il credente, tiene continuamente presente a se stesso la Scrittura e la sua autorità per mostrare il compimento delle promesse avvenuto appunto in Gesù. C'è chi, nel rapporto tra fede e ragione ha messo in luce l'aspetto della follia della fede per chi non abbia avuto gli occhi aperti dalla grazia di Dio, chi ha avvertito invece, la separatezza della ragione umana dalla condizione religiosa come un abisso, invitando i credenti a fare un "salto nella fede", chi, infine, vi ha visto le caratteristiche di una scommessa e nella convenienza il baricentro di chi si trova costretto a dover puntare su due poste in gioco entrambe importanti per il giocatore ma di disuguale valore per il suo destino ultimo, perché una incentrata sulla realtà del finito, quale è quella espressa da questa vita terrena, l'altra, invece, caratterizzata dalla vita ultraterrena e senza fine del mondo celeste: il certo quindi contro l'incerto è vero, ma però controbilanciato dall'infinito contro il finito. E su quest'ultima affermazione mi soffermerò brevemente e a conclusione di tutto lo scritto. La tesi non è una prova dell'esistenza di Dio nel senso tecnico del termine, né tantomeno del cristianesimo ma mostra tuttavia due aspetti fondamentali nella struttura della fede: la sua necessità e la sua convenienza, per i quali requisiti la ragione, per esser veramente tale e uscire dallo stallo dello scetticismo, deve dare il suo assenso obbligato. Infatti non ci è possibile vivere senza la fede, cioè senza credere a qualcosa o in qualcuno. Se non altro perché saremmo costretti a credere almeno a noi stessi, nella nostra supponenza. Quindi la questione si volge inevitabilmente al contenuto delle varie fedi e sistemi filosofici propostici nel corso dei secoli e a privilegiare giudiziosamente quella religione o quella filosofia, tra le altre, che offra il maggior grado di attendibilità, di affidabilità, di purezza ed elevatezza dei valori che porta con sé. Data perciò come altamente plausibile la credenza in un dio e in particolare, come ho già mostrato in precedenti note di questo mio lavoro, nel Dio dei cristiani, e nell'al di là, visto che l'uomo in quanto mortale e il mondo in cui vive non possiedono le caratteristiche specifiche di Dio e della realtà ultraterrena e quindi mancano di affidabilità, non ci resta che considerare anche l'altro aspetto della fede sopra enunciato, quello rappresentato dalla sua convenienza. Difatti, a che cosa di veramente importante dovremo rinunciare credendo a Dio e in particolare al nostro Signore Gesù Cristo? A poco più di niente rispetto al tutto che guadagneremo con l'aderire alla fede, ma principalmente rinunceremo ai nostri vizi, ai nostri errori e alle nostre consuetudini, tutte cose che ci fanno alla lunga stare male e che ci inguaiano. Cose effimere che un giorno, prima o dopo, dato il loro carattere di forte instabilità, perderemo comunque, soprattutto i nostri beni materiali, associati come sono ai falsi valori della vita. Ad ogni modo, alla fine della nostra pur breve esistenza ci sarà la morte a fare piazza pulita e senza appello d'ogni cosa, la quale ci ritoglierà tutto, in un istante, di quanto in vita avevamo faticosamente o fraudolentemente accumulato e allora sapremo veramente chi sia stato il giocatore più assennato: se colui che avrà puntato tutto sull'al di là e avendo perso avrà lasciato praticamente nulla (con niente era venuto in questo mondo e con niente se ne ritorna), ma che avendo vinto si ritroverà ad aver guadagnato col minimo rischiato la vita eterna e beata, oppure chi aveva puntato tutto sull'al di qua, e morendo non si ritroverà più nulla in mano, neanche la sua anima. Anzi, purtroppo per lui, quella se la ritroverà, ma morta alla grazia di Dio e quindi eternamente dannata. Mi spiace, non potervi illudere al riguardo, ma è così; anzi è giusto che sia così. Può apparire crudele ma Dio, o sprovveduto e cocciuto amico, ti chiede talmente poco per salvarti (che tu creda solo nel suo unigenito Figlio) e di contro ti ha dato talmente tanto del suo amore, con l'immolazione dell'unigenito Figlio sulla croce, che non potrai accusarlo proprio di nulla quando ti presenterai alla sua presenza per essere giudicato, ma dovrai soltanto arrossire per la vergogna di una vita malamente vissuta e scioccamente sprecata. Sempre però che ti sia restato un ancorché pur minimo pudore per farlo. Ossia una briciola di dignità umana.

 

8.Se, nonostante la tua felicità familiare, la tua realizzazione nel mondo del lavoro, le tue molte e fidate amicizie, la tua ottima salute fisica, la pace della tua coscienza, ecc., ecc., riesci ancora a rivolgerti a Gesù dicendogli: "A buona parte o anche a tutto di questo sono disposto a rinunciare per te o mio Signore, che non rinunciasti a spogliarti della tua divinità, prendendo forma umana e vivendo come un reietto per amor mio, fino a dare tutto te stesso con la tua propria vita portata fino all'estremo con la morte di croce", ti dico allora che sei sulla giusta strada per essere un vero discepolo di Gesù. Ma, se oltre a ciò, molto più umanamente e prudentemente aggiungi: "Vedi Signore, io sono debole e fragile, può darsi che nonostante quel che ho promesso non trovi poi la forza di distaccarmi e di rinunciare non solo a tutte, non solo in parte, ma neppure ad una di quelle cose sopra menzionate, tuttavia ti do l'autorizzazione dove non riuscissi io, di farlo tu per me, di supplire in qualche modo tu alla mia negligenza, e soprattutto, una volta che tu abbia realizzato di compiere quanto sono stato disposto a rinunciare, che possa dirti ugualmente grazie, e mantenere inalterato tutto il mio amore per te, come quando ero nei giorni della gioia, e se possibile che ne abbia ancora di più, ora che mi trovo privo delle cose a cui tenevo maggiormente"; ecco, se riesci ad arrivare fin qui senza tentennamenti e senza cedimenti, allora sei davvero un discepolo di Gesù. E se non hai mai provato gli affetti famigliari, se sei sempre stato povero ed emarginato, senza amici, deriso, senza fissa e propria dimora e nonostante ciò non hai mai maledetto il nome di Gesù, anzi, lo hai sempre considerato come tuo migliore e fidato amico, ringraziandolo per quel poco o nulla che per gli altri tu hai sin qui ottenuto, mentre tu ti consideri ancora fortunato perché guardi a chi sta ancora peggio di te e perché possiedi una ricchezza spirituale che altri non hanno e perché puoi mettere almeno parte, anche se piccola, della tua vita a sua disposizione, fino a che ti coglie all'improvviso un'imprevista e terribile malattia e la malattia avanza, ogni giorno che passa, togliendoti sempre più le forze e segregandoti, e togliendoti anche quel poco che ti era rimasto, mentre tu preghi Gesù di non privarti completamente della tua indipendenza fisica per poter continuare a fare almeno qualcosa per lui, e non ti rendi conto invece di quanto lui stia facendo di grande per te e ciò nonostante sei trascinato ogni giorno di più sul tuo letto di dolore, condannato all'impotenza più totale, eppure tu non demordi, non ti stacchi dal tuo amore per lui, perché non vuoi perderlo assolutamente, ma non sai che è lui a non volerti staccare da sé, e tuttavia sei ancora capace di dirgli: "Signore non sono adatto a fare più niente per te, che ad offrirti completamente me stesso, la mia sofferenza, questa mia croce che mi ha inchiodato immobile a questa vita", beh, allora ti dico: Cristo si è davvero reincarnato una seconda volta in te, assimilandoti alla sua passione, con cui ci ha redenti. E si reincarnerà altrettante innumerevoli volte, ogni qualvolta ci sarà qualcuno che, all'estremo del suo dolore, sarà ancora in grado di dire, come il saggio Giobbe al colmo della sua sofferenza: "Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore". "Sì, o Padre, come si recita quotidianamente nella preghiera che tuo Figlio Gesù ha insegnato ai suoi discepoli, così ripeto fiduciosamente anch'io: La tua volontà si compia, non la mia. In cielo come in terra". Amen.

 

9."Io ho piantato, Apollo ha irrigato ma è Dio che ha fatto crescere". Così si esprime l'apostolo Paolo nella prima delle sue due lettere ai Corinzi, con riferimento alla sua opera di evangelizzazione. E subito dopo aggiunge: "Ora, né chi pianta, né chi irriga sono alcuna cosa ma Dio che fa crescere". E in un'altra lettera, quella ai Filippesi, sembra voler ribadire il concetto: "E' Dio, infatti, che suscita tra voi il volere e l'agire in vista dei suoi amabili disegni". Tutto questo ci porta ad alcune immediate considerazioni. La prima è che senza l'aiuto concreto ed incisivo di Dio i nostri sforzi sono destinati all'insuccesso. Non basta piantare, bisogna anche radicare e radicare bene, e per farlo ci vuole un terreno adatto, di modo che la pianta o il seme gettato possano attingere dal terreno sottostante tutta la linfa necessaria per crescere, e tale terreno e tale linfa sono la grazia di Dio. Così come non è sufficiente irrigare ma ci vogliono la luce e il calore del sole perché la pianta possa svilupparsi e crescere sana, e tale luce e tale calore sono la grazia di Dio. La seconda considerazione è che noi tutti siamo sottoposti alla volontà di Dio, il quale ha un progetto su ciascuno di noi. A noi non resta che assecondare o rifiutare la sua volontà, ma non possiamo evitarla. Allora non saremmo liberi di fronte a Dio? Certo che lo siamo. Non siamo però liberi di usurpare il suo potere, questo evidentemente, no. Anche perché sarebbe sciocco da parte nostra. Lui è il Creatore, noi siamo solamente la creatura. Se avessimo tutto il suo potere, ci servirebbe soltanto per ubriacarci di esaltazione, annebbiarci l'intelletto e per ritorcerlo sconsideratamente e prima di tutto proprio contro noi stessi, come un bambino alle prese con un oggetto non appropriato alla sua età e che diventa, nelle sue mani, molto pericoloso. Solo Dio sa cos'è meglio per noi, e vuole perciò unicamente che gli ubbidiamo, che gli prestiamo assoluta fiducia, che lo riconosciamo quale Egli è: in definitiva che ci sentiamo umili. Quindi la nostra libertà può essere esercitata entro il solo ristretto ambito della natura umana, capace di accettare o meno i regolamenti di Dio. E sono alla riflessione conclusiva. Non abbattiamoci più di tanto allora, se, nonostante i nostri sforzi fatti per portare l'annuncio di Cristo, vediamo la scarsezza o la sterilità dei risultati. Pensiamo prima di tutto a fare bene il nostro lavoro di evangelizzatori e a stare in pace con la nostra coscienza. Fatto ciò non dobbiamo rispondere necessariamente anche per gli altri; ognuno risponderà per se stesso di fronte a Dio, e Dio non ama che ci si prenda gioco di lui. E anche perché nessuno possa insuperbirsi degli eventuali successi ottenuti, ma riponga esclusivamente la sua fiducia nel Signore, affinché, come ci ricorda ancora l'apostolo Paolo, "Chi si gloria si glori nel Signore".

 

10.Essere discepoli di Cristo significa, innanzitutto, mettere Gesù al primo posto, sacrificare per lui, se richiestoci, quanto di più prezioso e caro abbiamo, fosse anche la nostra famiglia (genitori, moglie, figli, piccoli o grandi che siano), fino al sacrificio estremo della propria vita, così come lui, per primo, ha fatto per noi. Ma evidentemente tutto questo non basta. Oltre la disponibilità al sacrificio di noi stessi e delle nostre cose più preziose, egli ci vuole testimoni fattivi della sua persona, ovvero portatori del suo messaggio, divulgatori della sua parola. Caratteristica fondamentale del cristiano è allora l'essere un testimone di Cristo: "Andate per tutto il mondo e predicate il vangelo a tutta la creazione", questo è stato il primo e immediato mandato che Gesù ha dato ai suoi discepoli non appena risorto. Orbene, se un cristiano non predica, ovviamente la parola di Gesù non può essere ascoltata e se non viene ascoltata essa non si diffonde, e se non si diffonde non può cadere nel cuore degli uomini e, dove non cade, neppure può portare frutto: laddove il venti, laddove il sessanta, laddove il cento. Nel libro della Rivelazione o Apocalisse, Gesù è in procinto di vomitare metaforicamente dalla sua bocca i cristiani della chiesa di Laodicea, definiti né caldi né freddi, cioè tiepidi, mostrando piuttosto di preferire quelli sordi alla sua parola (i freddi), che coloro che, ricevuta la quale, la mettono poi da parte e si lasciano vegetare. Oggigiorno è così purtroppo per una gran massa di cristiani, dove sono pochi gli attivisti, e questo vale soprattutto per i fedeli delle grandi e secolari aggregazioni cristiane, mentre le piccole e più recenti chiese, considerate eretiche dalle prime, e bisognose sicuramente di trovare adepti per crescere, sono molto attive nella divulgazione della parola di Gesù. Magari spargono con essa anche una buona parte di errori dottrinali, ma intanto il verbo si diffonde, l'orecchio altrui viene stimolato e la persona di buona volontà che ha recepito il messaggio può rielaborarlo nella sua mente e nel suo cuore e giudicare di conseguenza, con l'approfondirlo in seguito e confrontarlo con la fonte della Scrittura ed altre e diverse interpretazioni provenienti da chiese concorrenti. Ma se io tengo la parola ricevuta per me e non la ritrasmetto, se la privatizzo in qualche modo, chi mi conosce come cristiano può pensare che essa abbia poco valore per la mia esistenza e per quella degli altri. Certo, vale pure la mia testimonianza di vita ben vissuta, ma spesso è una vita privata e a prima vista non si differenzia gran che dalla vita onesta di tanti non cristiani. Errore quindi del cristiano è recepire il messaggio acriticamente, cioè cadere vittima del plagio altrui, così come di chi riceve la Parola e non si affretta a seminarla, ma lascia marcire il seme tenendola per sé. In entrambi i casi, anche se opposti, vi è la stessa insufficienza d'amore per la verità e di conseguenza per colui che, oltre a definirsi "la Verità", ha anche detto: "Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità: chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce". E naturalmente, aggiungo io, la propaga.

(CONTINUA NELLA PARTE TERZA)

 

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Commenti al Post:
pgmma
pgmma il 22/04/12 alle 11:28 via WEB
Come conciliare il disagio del confessare con lo scaricamento della coscienza? Semplice, raccontando tutto ad un prete sordo. Succede nella parrocchia di Moriago della Battaglia (Treviso), dove il numero dei "rei confessi" è aumentato vertiginosamente negli ultimi tempi, superando di gran lunga la media statistica dei frequentatori dei confessionali ecclesiastici. Qui si fa la fila per confessarsi perchè il prete è sordo, "ascolta" gli snocciolatori di peccati e poi, nel dubbio, non avendo sentito se non un indistinto brontolio, assolve. E' certamente una circostanza incoraggiante, un rispetto involontario della privacy molto apprezzato che permette di spifferare senza sensi di colpa tutta la verità, nient'altro che la verità.
 
 
giugibzz1
giugibzz1 il 03/05/12 alle 03:40 via WEB
Non sono sicuro di interpretare correttamente la posizione della Chiesa al riguardo, ma secondo il buon senso comune e la retta ragione,ritengo di poter affermare che tali confessioni non sono valide, in quanto ottenute con inganno.
 
 
giugibzz1
giugibzz1 il 03/05/12 alle 03:55 via WEB
Non sono sicuro di interpretare correttamente la posizione della Chiesa al riguardo, ma secondo il buon senso comune e la retta ragione, ritengo di poter affermare che tali confessioni non sono valide, in quanto fatte con inganno e l'assoluzione è stata data senza la piena cognizione della materia da parte del confessore, ovvero del peccato commesso dal falso penitente.
 
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