Romanzo scientifico

Matematica e scienza: un romanzo

Creato da EdMax il 13/03/2011

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« Personaggi delle scienzeCosmo - di Carl Sagan »

Breve storia di (quasi) tutto - Bill Bryson

Post n°73 pubblicato il 06 Maggio 2011 da EdMax
 

Bill Bryson - Breve storia di (quasi) tutto

Le scoperte geologiche più importanti sono raccontate nel capitolo 5, Gli spaccapietre. Interessante, a pag. 86, il racconto della “storia geologica” della Terra: «In origine, la storia della Terra fu divisa in quattro intervalli di tempo: Primario, Secondario, Terziario e Quaternario […] Primario e Secondario caddero del tutto in disuso, mentre il Quaternario fu abbandonato da alcuni e mantenuto da altri. Oggi, solo il Terziario rimane […], sebbene non rappresenti più il terzo periodo di niente».

Poi cita Charles Lyell (un’autorità su Dante e sui muschi), nei cui Principles of Geology (prezioso compagno di viaggio di Darwin) introduce «ulteriori suddivisioni, dette epoche o serie, per coprire il periodo che inizia a partire dall’età dei dinosauri»: dal Pleistocene (recentissimo) al Pliocene (più recente), dal Miocene (moderatamente recente) al «più vago e accattivante Oligocene (alquanto recente)».

Lyell intendeva usare il suffisso –sincrono, «infliggendoci termini–scioglilingua come Meiosincrono e Pleiosincrono. Il reverendo William Whewell, uomo influente, sollevò in proposito obiezioni etimologicamente fondate, e suggerì una desinenza in –eo, che avrebbe generato termini come Meioneo, Pleioneo e così via. La terminazione in –cene fu quindi una sorta di compromesso».

Oggi le quattro ere Precambriano, Paleozoico (vita antica), Mesozoico (vita di mezzo) e Cenozoico (vita recente) sono suddivise in periodi, come Cretaceo, Giurassico, Triassico, Siluriano, ecc.». Tra gli “spaccapietre” c’era il reverendo William Buckland e il dottor James Parkinson (noto per il suo studio fondamentale sulla malattia allora conosciuta come “paralisi agitante” e in seguito morbo di Parkinson).

Il capitolo si chiude con riferimenti ad altri pittoreschi personaggi più o meno famosi che si occuparono di datare la nascita della Terra: dall’arcivescovo James Ussher, che giunse alla conclusione che «la Terra era stata creata a mezzogiorno del 23 ottobre del 4004 a.C.», alla Freccia del tempo di Stephen Jay Gould, da Edmond Halley a Georges-Louis Leclerc conte di Buffon, che all’inizio ritrattò la sua idea che la Terra avesse un’età compresa tra 75.000 e 168.000 anni, per poi «ribadirla allegramente in tutti i suoi scritti successivi», da Charles Darwin a William Thomson (Lord Kelvin), che per la Terra postulava un’età di poche decine di milioni di anni. Pochine, se si considera che la stima attuale è di circa quattro miliardi e mezzo di anni. Ma, come dice Carl Sagan, erano uomini semplicemente «prigionieri dei loro tempi».

Altre vicende raccontate da Bryson riguardano Pierre Bouguer e Charles Marie de La Condamine, che si prefiggevano di triangolare alcune distanze attraversando le Ande, ma «a Quito gli studiosi furono cacciati dagli indigeni; il medico della spedizione fu ucciso a causa di una donna, il botanico impazzì, altri morirono per le febbri o cadute; un tal Pierre Godin fuggì con una tredicenne. Bouguer e La Condamine non si rivolsero più la parola».

Richard Norwood trascorse due anni camminando per oltre 300 km a nord fino a York svolgendo e misurando di continuo una catena e aggiustando i calcoli per tenere conto dell’inclinazione del suolo; misurando l’angolo del Sole a York nella stessa ora e nello stesso giorno dell’anno in cui lo aveva misurato a Londra, dedusse la lunghezza di un grado del meridiano terrestre, per poi calcolare la circonferenza del pianeta: i suoi risultati davano 110,72 km per grado d’arco, mentre Jean Picard nel 1699 annunciò una lunghezza di 110,46 km.

Le misurazioni in seguito coinvolsero altri personaggi: Nevil Maskelyne, noto per aver osservato il transito di Venere davanti al Sole e per aver misurato, insieme a Charles Mason e Charles Hutton (l’inventore delle curve di livello o isoipse) il valore della massa terrestre; John Michell, che ipotizzò l’esistenza dei buchi neri duecento anni prima di chiunque altro; William Herschel, che progettò uno strumento per il calcolo della massa terrestre. Dopo la sua morte, il progetto e le attrezzature passarono nelle mani di Henry Cavendish, che portò il valore della massa della Terra a 6x1021 kg.

Scienziati “spericolati”…

Se «in America Benjamin Franklin rischiava la vita facendo volare un aquilone in una tempesta elettrica», racconta Bryson, in Francia «un chimico di nome Pilatre de Rozier verificava l’infiammabilità dell’idrogeno riempiendosene la bocca e soffiando su una fiamma viva» (de Rozier è anche ricordato per il primo incidente “aereo” documentato con la sua mongolfiera). A sua volta, Cavendish si sottoponeva a scariche elettriche di intensità crescente, a volte fino alla perdita di coscienza.

Gran parte di quello che sappiamo sulla sopravvivenza in condizioni estreme lo si deve a John Scott Haldane e al figlio J.B.S. Haldane padre studiò le elmintiasi che affliggevano i minatori, calcolò la durata delle pause da effettuare durante la risalita per evitare l’embolia gassosa, studiò il mal di montagna degli scalatori e i colpi di calore nelle regioni desertiche, si somministrò il monossido di carbonio smettendo sul punto di perdere il controllo muscolare. Haldane figlio – Jack, noto ai posteri come J.B.S. – aiutò il padre nei suoi esperimenti, ma ebbe il merito di aver coniugato i principi evoluzionistici darwiniani con la genetica mendeliana, producendo quella che è nota tra i genetisti come Sintesi Moderna. Trovò la Prima guerra mondiale «un’esperienza molto piacevole», apprezzando «l’opportunità di uccidere». Dopo la guerra diventò un divulgatore di successo e scrisse 23 libri. In uno dei suoi esperimenti simulò su se stesso una pericolosa risalita rapida, che causò l’esplosione delle otturazioni dei denti. «Quasi tutti gli esperimenti» scrive Norton «finivano con qualcuno che sanguinava, vomitava o aveva una crisi convulsiva».

Lo stesso Haldane ebbe una crisi convulsiva in seguito a un’inalazione eccessiva di ossigeno, riportando lo schiacciamento di diverse vertebre e rischiando il collasso dei polmoni e la perforazione del timpano. Anche la moglie, sottoposta alla simulazione di un’immersione in profondità, ebbe una crisi che durò 13 minuti. Quando alla fine smise di contorcersi sul pavimento, la aiutò a rimettersi in piedi e poi la spedì a casa a preparare la cena. Sotto gli esperimenti di privazione dell’ossigeno capitò anche un ex primo ministro spagnolo, Juan Negrìn, che poi lamentò un leggero formicolio e «una curiosa sensazione vellutata alle labbra». Un esperimento simile di privazione di ossigeno lasciò lo stesso Haldane senza sensibilità alle natiche e alla parte inferiore della spina dorsale per sei anni.

A profondità superiori a 30 metri, l’azoto diventa anche un potente inebriante e produce repentine alterazioni dell’umore, condizioni che attirarono l’attenzione di Haldane.

Intorno al 1830, il naturalista inglese Edward Forbes sondò i fondali del Atlantico e del Mediterraneo dichiarando che al di sotto dei 600 metri di profondità, senza luce e vegetali e a pressione elevatissime, non c’era alcuna forma di vita. Così fu una sorpresa quando, nel 1860, uno dei primi cavi telegrafici transoceanici, ripescato da più di 3 km di profondità per effettuare riparazioni, fu trovato ricoperto di spesse incrostazioni di coralli, molluschi bivalvi e altri detriti organici. Per tre anni e mezzo, a partire dal 1872, la Challenger, un’ex nave da guerra, solcò i mari del globo campionando acqua, catturando pesci, dragando i sedimenti del fondale, scoprendo organismi marini sconosciuti, fondando così l’oceanografia. Scoprì anche che nel bel mezzo dell’Atlantico sembravano esserci montagne sommerse che fecero pensare ad Atlantide. La prima batisfera («sfera di profondità») fu progettata da Otis Barton, anche se il merito venne attribuito al socio Charles William Beebe. Si trattava di una robusta camera di ghisa spessa 4 cm con due piccoli oblò che poteva ospitare solo due uomini in stretta intimità. La sfera non aveva alcuna manovrabilità, era solo appesa all’estremità di un robusto cavo. Per neutralizzare la loro stessa anidride carbonica, i due prepararono fusti aperti di calce sodata, e per assorbire l’umidità aprivano una vaschetta di cloruro di calcio, sulla quale agitavano foglie di palma in modo da incoraggiare le reazioni chimiche. La prima immersione avvenne nel giugno del 1930 alle Bahamas, scendendo a 183 metri Nel 1934 giunsero a 900 metri, sebbene vi fossero evidenti prove acustiche della pressione esercitata su ogni bullone. Con una lampadina di 250 watt che i due tenevano vicini all’oblò, Beebe restò sbigottito nello scorgere un serpente gigantesco «lungo oltre sei metri e molto grosso». Barton scese fino a 1370 metri nel 1948.

Gli svizzeri Auguste e Jacques Piccard, padre e figlio, stavano progettando un batiscafo battezzato Trieste, in onore della città in cui fu costruito, che nel 1954 scese fino a 4000 metri di profondità. Nel 1960 Jacques Piccard e Don Walsh si immersero lentamente fino a giungere sul letto del più profondo canyon sottomarino, la fossa delle Marianne, nel Pacifico occidentale, precedentemente scoperta da Henry Hess con il suo scandaglio. Ci vollero quasi 4 ore per scendere a 10.918 metri. Malgrado la pressione, i due toccarono il fondo disturbando una creatura simile a una sogliola. Non avevano l’attrezzatura per fare fotografie e non esistono immagini che documentano l’evento. Dopo 20 minuti di permanenza sul fondale oceanico più profondo del pianeta, Piccard e Walsh tornarono in superficie. Abbiamo mappe di Marte ben più dettagliate di quelle dei nostri fondali oceanici.

… e scienziati “sfortunati”

Un uomo molto sfortunato fu sicuramente Gideon Algernon Mantell. «Nel 1822 la signora Mantell trovò una pietra marrone ricurva che il marito identificò in un dente fossile appartenuto a un animale erbivoro, un enorme rettile vissuto nel Cretaceo. La creatura fu battezzata iguanodonte per via della somiglianza con i denti delle iguane sudamericane. […] Il merito fu attribuito al reverendo William Buckland e non a Mantell, il quale […] per far fronte ai debiti fu costretto a vendere la maggior parte della sua collezione. Subito dopo la moglie con i 4 figli lo lasciarono. Ma i problemi per Mantell erano appena cominciati. Era assente alla cena del 31 dicembre 1853 (preparata all’interno dell’iguanodonte non ancora finito) alla quale partecipò Richard Owen, il luminare che descrisse l’Archeopterix (scoperto nel 1861 in Baviera) e che nel 1841 coniò i termini herpeton (dal greco rettile) e dinosauria (lucertole terribili). Quando Mantell giunse a Londra, fu coinvolto in uno spaventoso incidente in carrozza: si impigliò nelle redini e fu trascinato dai cavalli in preda al panico. Riemerse curvo, storpio e afflitto da dolori cronici, con danni alla colonna vertebrale. Approfittando dell’incidente, Owen cancellò i suoi contributi da tutti i lavori, rinominando specie a cui Mantell aveva già assegnato un nome e attribuendosene la scoperta. Nel 1852, incapace di sopportare ulteriori pene e vessazioni, Mantell si tolse la vita. La sua colonna vertebrale fu affidata per tragica ironia allo stesso Owen. Il necrologio descriveva Mantell come un mediocre anatomista, gli sottraeva la scoperta dell’iguanodonte per attribuirla a Cuvier e Owen. Owen morì nel 1892, Buckland perse la ragione e trascorse gli ultimi anni in un manicomio, e la colonna vertebrale di Mantell rimase esposta per quasi un secolo prima di essere pietosamente distrutta da una bomba tedesca nel 1940» (pag. 98-109).

Un altro sfortunato scienziato è stato Antoine-Laurent Lavoisier (1743-1794), considerato il padre della chimica moderna. Nel 1780 Lavoisier «mosse critiche alla teoria della combustione di Jean-Paul Marat, che non gliele perdonò mai. Scartò l’esistenza del flogisto e dell’aria metifica, identificò l’ossigeno e l’idrogeno per quello che erano attribuendogli il nome moderno e, con la moglie, scoprì che un oggetto non diminuiva di peso quando arrugginiva, anzi, aumentava. Nel processo l’oggetto attraeva in qualche modo le particelle elementari dell’aria. Il concetto portò alla formulazione della legge di conservazione della massa, un’autentica rivoluzione. Purtroppo andò a coincidere con un’altra rivoluzione, quella francese: nel 1791 Marat denunciò Lavoisier in quanto membro dell’odiata Ferme Général che riscuoteva gabelle per lo stato. Marat venne ucciso nel bagno dalla giovane Charlotte Corday, nel 1793 Maria Antonietta fu mandata alla ghigliottina e nel novembre dello stesso anno Lavoisier fu arrestato mentre pianificava con la moglie di riparare in Scozia. A Maggio, assieme a 31 colleghi appaltatori delle gabelle, fu condotto davanti al Tribunale Rivoluzionario (in un’aula sulla quale dominava la statua di Marat). Otto di loro furono assolti, Lavoisier e gli altri furono portati nella Place de la Révolution (oggi Place de la Concorde). Lavoisier assistette alla decapitazione del suocero, poi toccò a lui (il 27 luglio toccò a Robespierre). Una statua in memoria di Lavoisier fu eretta, ma lo scultore ammise di avere usato la testa del matematico e filosofo marchese di Condorcet nella speranza che nessuno se ne accorgesse. Durante la Seconda guerra mondiale la statua fu trascinata via e fusa come rottame» (pag. 116). Il matematico Lagrange commentò l’evento: «È bastato un momento per tagliare quella testa, e forse non basterà un secolo per generarne un'altra pari alla sua».

Agli inizi del secolo Pierre Curie cominciò ad avvertire i primi sintomi della malattia da radiazioni. Non sappiamo se sarebbe peggiorata poiché nel 1906 fu investito e ucciso da un’autovettura a Parigi. Per lungo tempo si pensò che la radioattività dovesse essere benefica. Dentifrici e lassativi contenevano torio radioattivo. Marie Curie morì di leucemia nel 1934, anno in cui la presenza di sostanze radioattive fu bandita dai prodotti di consumo. Tutti i suoi appunti e ricettari da cucina sono troppo pericolosi per essere maneggiati. I suoi appunti di laboratorio sono conservati in scatole piombate, e chi desidera consultarli deve indossare abiti protettivi.

Alfred Wegener non visse a lungo da vedere vendicate le sue idee. Nel 1930, nel corso di una spedizione in Groenlandia, si allontanò da solo, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno, alla ricerca di rifornimenti paracadutati. Non fece più ritorno. Fu ritrovato qualche giorno dopo, morto assiderato sul ghiaccio. Lo seppellirono sul posto e lì giace ancora – sebbene un metro più vicino al Nord America, rispetto al giorno in cui morì. Anche Einstein morì a Princeton nel 1955, prima che Hapgood stroncasse la teoria della deriva dei continenti. Quanto a Hess, un suo studente, Walter Alvarez, avrebbe finito per cambiare il mondo.

Altri personaggi sfortunati furono Rosalind “Rosy” Franklin, la quale non condivise il Nobel con James Watson, Francis Crick e Maurice Wilkins per la scoperta della struttura del DNA in quanto morì nel 1958, a soli 37 anni, forse a causa dell’esposizione ai raggi X. Nella sua biografia di Rosalind Franklin, Brenda Maddox fa notare che la scienziata raramente indossava le protezioni di piombo e spesso passava incurante davanti al fascio di raggi.

Parleremo diffusamente di “Rosy”.

Max Planck fu sicuramente un uomo molto fortunato, se si considera il fatto che pose le basi della fisica quantistica coniando nel 1900 il termine “quanto”, ma «nella vita Planck fu spesso sfortunato. La prima moglie morì prematuramente nel 1909, il figlio più giovane rimase ucciso nella Prima guerra mondiale. Una delle due figlie gemelle morì di parto; l’altra si occupò del bambino ma anche del cognato e anch’essa morì di parto. Nel 1994, quando aveva 85 anni, una bomba cadde sulla sua casa distruggendo tutto, documenti, diari, il lavoro di una vita. L’anno seguente l’unico figlio sopravvissuto fu giustiziato perché coinvolto in una cospirazione per assassinare Hitler. Planck, tuttavia, visse fino all’età di 89 anni e ancora oggi è famoso per la costante h che prende il suo nome, nonché per il famoso Max Planck Institute.

EdMax

 

 
 
 
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