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Matematica e scienza: un romanzo

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« Cosmo - di Carl SaganCosmo - di Carl Sagan »

Cosmo - di Carl Sagan

Post n°77 pubblicato il 06 Maggio 2011 da EdMax
 

Cosmo di Carl Sagan – Capitoli IX-XI

Il capitolo IX, dal titolo Le vite delle stelle, inizia con queste parole: «Per fare una torta di mele occorrono farina, mele, un pizzico di questo e di quello e il calore del forno. Gli ingredienti sono fatti di molecole, come lo zucchero e l’acqua. Le molecole, a loro volta, sono fate di atomi: carbonio, ossigeno, idrogeno e altri ancora. Da dove vengono questi atomi? Eccetto l’idrogeno, sono tutti fatti nelle stelle. Una stella è una specie di cucina cosmica in cui gli atomi di idrogeno sono cotti fino a farne atomi più pesanti. Le stelle si condensano a partire dalle polveri e dai gas interstellari, che sono per lo più idrogeno. Ma l’idrogeno si formò nel Big Bang, l’esplosione che diede inizio al Cosmo. Se volete fare una torta di mele dall’inizio, prima dovete inventare l’universo» (pag. 217-218).

È il capitolo della nucleosintesi stellare: entrano in scena gli atomi, che «sono per lo più spazio vuoto. La materia è fatta soprattutto di niente», scrive Sagan. E l’infinitamente piccolo degli atomi e l’infinitamente grande delle stelle «corrispondono a una regressione, che non solo va molto lontano, ma continua per sempre».

Ovviamente Sagan cita in una nota (pag. 219) l’Arenarius di Archimede: «Alcuni pensano, o re Gerone che il numero dei granelli di sabbia sia infinito in quantità: non intendo soltanto la sabbia che si trova nei dintorni di Siracusa e del resto della Sicilia, ma anche quella che si trova in ogni altra regione, abitata o deserta. Altri ritengono che questo numero non sia infinito, ma che non possa esistere un numero esprimibile e che superi questa quantità di sabbia. E' chiaro che coloro i quali pensano questo, se immaginassero un volume di sabbia uguale a quello della Terra, avendo riempito di sabbia tutti i mari e tutte le valli, fino alle montagne più alte, sarebbero ancor meno disposti ad ammettere che si possa esprimere un numero che superi quelli quantità. Ma io tenterò di mostrarti, attraverso dimostrazioni geometriche che tu potrai seguire, che alcuni dei numeri da noi enunciati ed esposti negli scritti inviati a Zeusippo, non soltanto superano il numero dei granelli di sabbia aventi un volume uguale a quello della Terra riempita come abbiamo detto, ma anche un volume uguale a quello dell'intero Universo» (ringrazio Federico Peiretti e il suo sito Archimede e i grandi numeri, in http://areeweb.polito.it/didattica/polymath/htmlS/Interventi/Articoli/Archimede%20e%20i%20grandi%20numeri/Archimede.htm.)

A pag. 233 Sagan scrive: «Le reazioni nucleari descritte non generano facilmente erbio, afnio, disprosio, praseodimio o ittrio, ma piuttosto gli elementi più comuni, che vengono poi sparsi nei gas interstellari […] Tutti gli elementi della Terra, eccettuato l’idrogeno e un po’ di elio, sono stati cucinati da una specie di alchimia stellare miliardi di anni fa in stelle che oggi – almeno alcune – sono nane bianche poco cospicue dell’altro lato della Via Lattea. L’azoto del DNA, il calcio dei denti, il ferro del sangue vengono tutti dall’interno delle stelle in fase di collasso. La stoffa di cui siamo fatti viene dalle stelle».

E poi, dopo che «la stella si è accesa […] alcuni degli elementi più rari sono generati nelle stesse esplosioni di supernova. Oro e uranio sono relativamente abbondanti sulla Terra solo perché molte esplosioni di supernova si sono verificate […] Vi sono forse pianeti dove si sfoggiano collane di niobio e protoattinio e l’oro è una rarità da laboratorio».

Le pagine 228 e 229 riportano quattro dipinti di Adolf Schaller che illustrano in modo macabro la «fine della Terra» quando il Sole, tra qualche miliardo di anni, diventerà una gigante rossa e lascerà la sequenza principale del diagramma HR.

Invece, a pag. 236 la celebre storia di Alice nel Paese delle Meraviglie di Lewis Carroll viene adattata per illustrare l’influenza della gravità sulla luce e sulla materia. Alice, la Lepre di Marzo e il Cappellaio Matto bevono tranquilli una tazza di tè, mentre il Gatto del Cheshire osserva sornione sull’albero. Siamo in condizioni di gravità terrestre pari a 1 g, e il fascio di luce emesso da una lanterna «non viene deflesso dalla gravità terrestre. Avvicinandosi a 0 g, il movimento più lieve da parte dei nostri amici li manda a piroettare nello spazio e il tè si raccoglie in bolle che si librano in aria. Se si torna a 1 g, Alice e compagni ricadono al suolo e per un po’ piove tè. A molti g, essi sono perfino incapaci di muoversi, ma il fascio di luce emesso dalla lanterna non mostra alcuna alterazione. A 100.000 g, tutto risulta schiacciato. A un miliardo di g, la gravità curva il fascio di luce in maniera percettibile e a vari miliardi di g la luce ricade sul terreno. A questo punto la fortissima gravità ha trasformato il Paese delle Meraviglie in un buco nero. Scrive Sagan (pag. 241): «Alla fine, niente resiste a questi tremendi valori di gravità, eccetto – per una speciale dispensa – il Gatto del Cheshire […] Un buco nero è enigmatico come il Gatto del Cheshire: quando la densità e la gravità diventano abbastanza grandi, il buco nero strizza l’occhio e sparisce dal nostro universo. Ecco perché si chiama nero: la luce non può uscire da esso […] ma la sua presenza gravitazionale è palpabile».

Il capitolo X si intitola Il ciglio dell’eternità: si parla di galassie, di quasar, di effetto Doppler e, ovviamente, di Edwin Hubble e del suo assistente Milton Humason (poco citato nei libri scolastici rispetto a Hubble). È curioso che nel libro non ci sia nessuna immagine di Hubble; il suo assistente Humason non solo viene citato più volte, ma una sua fotografia si trova a pag. 256, mentre in un grafico di pag. 335, che mostra una cronologia di alcuni fatti e persone, eccolo comparire tra Einstein e i veicoli spaziali Viking e Voyager!

In questo capitolo Sagan parla di miti della creazione, di radiotelescopi (come i 27 installati al Very Large Array di Socorro, New Mexico), di Flatlandia di Edwin Abot, di tesseratti e di regressione infinita: «il passaggio da un universo al successivo più rande, in un Cosmo caratterizzato da una infinita regressione di universi incastonati l’uno nell’altro», come recita la didascalia della bellissima illustrazione di pag. 266 del libro.

Il capitolo XI, La persistenza della memoria, parla dei canti delle balene, della “biblioteca” del DNA e del cervello, di esseri intelligenti e dei due veicoli spaziali Voyager, che «sono in rotta per le stelle. Fissato a ognuno di essi si trova un disco fonografico di rame rivestito d’oro con una testina e un braccio per microsolco e, sulla copertina di alluminio del disco, le istruzioni per l’uso. Vi mettemmo qualcosa sui nostri geni, qualcosa sui nostri cervelli e qualcosa sulle nostre biblioteche, diretto ad altri esseri che potrebbero navigare i mari dello spazio interstellare […] Quello che abbiamo voluto comunicare a quegli altri esseri è ciò che di noi stessi ci sembra unico. La nostra corteccia cerebrale e il sistema libico sono ben rappresentati; il complesso R un po’ meno. Nonostante i nostri interlocutori ignorino ogni lingua in uso qui sulla Terra, abbiamo registrato i saluti in sessanta lingue umane, e anche i “ciao” che sono solite scambiarsi le balene. Abbiamo allegato fotografie di esseri umani di ogni parte del mondo che si prendono cura l’uno dell’altro, che studiano, che fabbricano utensili. C’è un’ora e mezza di musiche squisite di provenienze diverse, che esprimono il nostro senso di solitudine cosmica, il desiderio di porre fine all’isolamento e l’ansia di entrare in contatto con altri abitanti del Cosmo. E abbiamo mandato registrazioni dei suoni che si sarebbero potuti udire sul nostro pianeta, dai giorni che precedettero l’origine della vita, fino all’evoluzione dell’uomo, fino all’epoca della nostra più avanzata tecnologia. Il disco è. quanto la vocalizzazione di una balena franca, un canto d’amore affidato alle vastità dello spazio. Molti, forse la massima parte dei nostri messaggi risulteranno indecifrabili, ma noi li abbiamo mandati perché è importante provare».

«In questo spirito – continua Sagan a pag. 287 – abbiamo messo sul veicolo Voyager i pensieri e i sentimenti di un uomo, l’attività elettrica del suo cervello, del cuore, degli occhi e dei muscoli, registrata per un’ora, trascritta in suoni compressi nel tempo e registrati sul disco. In un certo senso abbiamo lanciato nel Cosmo la trascrizione diretta dei pensieri e dei sentimenti di un essere umano nel giugno dell’anno 1977 sul pianeta Terra. Forse i suoi scopritori non sapranno che farsene, o penseranno che è l’emissione di una pulsar, a cui un poco assomiglia. O forse una civiltà di gran lunga più avanzata della nostra saprà decifrare questi pensieri e questi sentimenti e apprezzerà i nostri sforzi per condividerli con essa».

E infine (pag. 289): «Il messaggio del Voyager sta viaggiando con penosa lentezza […] Esso impiegherà decine di migliaia di anni per arrivare alla stella più vicina. Un programma televisivo impiega ore per coprire la distanza che il Voyager percorre in anni. Una trasmissione televisiva appena messa in onda nel giro di poche ore supererà il Voyager nella regione di Saturno e oltre, affrettandosi poi verso le stelle. Se è emesso in quella direzione, il segnale raggiungerà Alfa Centauri in poco più di quattro anni. Se, entro alcuni decenni o alcuni secoli, qualcuno sarà lì nello spazio a ricevere i nostri programmi televisivi – continua Sagan – spero che pensi bene di noi, che siamo il prodotto di quindici miliardi di anni di evoluzione cosmica, la trasformazione locale di materia in autocoscienza. La nostra intelligenza ci ha da poco tempo forniti di poteri tremendi. Non è ancor chiaro se avremo la saggezza necessaria per evitare l’autodistruzione, ma molti di noi ci provano con tutte le loro forze. Speriamo che presto – in una prospettiva temporale cosmica – avremo unificato pacificamente il nostro pianeta in una organizzazione che faccia tesoro della vita di ogni creatura presente su di esso, e saremo pronti ad affrontare il grande passo successivo: far parte di una società galattica di civiltà comunicanti tra loro».

Così Carl Sagan conclude il capitolo XI di Cosmo. A pag. 288 è riprodotto il disco interstellare del Voyager, il cui rivestimento «dà in notazione scientifica istruzioni per suonare il disco e informazioni sulla posizione e l’epoca attuale della Terra». Il disco è «destinato a conservarsi per un miliardo di anni».

EdMax

 
 
 
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